Una nave della Marina Militare ha ritrovato il sommergibile “Guglielmotti”, affondato durante la Prima Guerra Mondiale a largo dell’isola di Capraia; questo ritrovamento, così come la misurazione dei parametri ambientali sottomarini nelle isole Svalbard nell’Artico norvegese, non sarebbe stata possibile senza l’utilizzo di droni subacquei.
Il 16 e 17 novembre a Gallipoli si terrà il “Sea Drone Tech Summit 2018”, il primo congresso in Italia dedicato ai droni e ai robot per impiego marino e subacqueo. Il primo congresso dedicato quindi a quella che probabilmente si rivelerà come una delle più importanti innovazioni nel campo delle scoperte nell’ambito della biologia marina. Ma non solo.
Come spiega l’organizzatore Luciano Castro: “Basti pensare che solo l’Italia possiede oltre 7mila chilometri di coste e oltre mille siti archeologici sommersi conosciuti. Un patrimonio che andrà esplorato, studiato e tutelato anche grazie a droni e robot capaci di immergersi ed operare a lungo a profondità inaccessibili all’uomo”.
Sì, perché è questa la peculiarità dei droni subacquei, che rappresentano l’evoluzione delle esplorazioni, coloro che porteranno gli occhi dell’uomo a profondità in passato impensabili da raggiungere. Il mare, dunque, non avrà più segreti. A confermarcelo anche Giorgio Tranchida, dell’Istituto per L’Ambiente Marino Costiero, dove attualmente si sta testando uno di questi droni subacquei, che in realtà sarebbe meglio chiamare AUV, che sta per Autonomous Underwater Vehicle. “Questo strumento ha un’autonomia di circa 10 ore ed è in grado in maniera autonoma di eseguire una missione scientifica. Le funzionalità sono diverse: può raccogliere informazioni sull’acqua relativamente a variabili di tipo chimico/fisico utilizzando una sonda multiparametrica che ci riferisce informazioni su temperature, conducibilità dell’acqua e salinità, per esempio".
Aggiunge Tranchida: "E queste informazioni non sono solo utili alla ricerca ma anche al drone stesso, perché quando l’AUV viene messo in acqua non è più manovrabile, non lo si pilota, si deve impostare una missione a priori. Quindi lui, se subisce una corrente che lo sposta rispetto ad un’ideale traiettoria, deve avere delle informazioni tali da aggiustare di volta in volta la sua rotta per evitare che si perda. Altre informazioni che ci invia sono relative al fondo del mare, quindi può fare una mappatura del fondale, una ricostruzione topografica del tratto di mare che sta indagando. È anche utile dal punto di vista geologico dandoci informazioni sui primi cm di terra, individuando se un fondo è sabbioso, ghiaioso e roccioso. Fondamentale è la funzione di sensori, utilizzati soprattutto in archeologia subacquea, che ricostruiscono una sorta di fotografia di tutto ciò che incontra. A bordo ci sono anche dei sensori per raccogliere informazioni relativamente ai suoni, è quindi possibile registrare e studiare il linguaggio dei cetacei”.
Quanto costa di un AUV? Poco più di un milione di euro questa illustrata dal dottor Tranchida, ma arrivano anche a più di 4 milioni. Ma a prescindere dall’immenso valore delle scoperte e ricerche che questa nuova tecnologia può permetterci, letteralmente, di portare a galla, c’è un secondo fattore, affatto secondario, di immensa importanza: questi droni subacquei possono essere utilizzati per il controllo di tubature o strutture sottomarine, per il monitoraggio dell’ecosistema sommerso, per la mappatura dettagliata delle aree portuali o per fornire dati in caso di naufragi (furono molto utilizzati anche nella tragica vicenda della Costa Concordia), o in campo militare. Insomma, per la nostra sicurezza. Oltre che in mare, questi droni e robot posso naturalmente operare pure in altri generi di bacini, ad esempio per il controllo dell’inquinamento dei fiumi, per le verifiche strutturali delle dighe e addirittura per individuare le perdite all’interno di grandi tubature sotterranee per la distribuzione dell’acqua.