Uno degli ultimi test è avvenuto lo scorso 2 febbraio a Guangzhou. Sei vetture senza conducente hanno concluso con successo un percorso di 2,8 chilometri di fronte a numerosi giornalisti e curiosi riversatisi in strada per assistere al collaudo. In Usa, Google è già piuttosto avanti nello sviluppo delle self driving car ma potrebbe essere la Cina il primo Paese dove questa innovazione prenderà piede.
La ragione non è la superiorità tecnologica ma la maggiore predisposizione dei cinesi a cedere i propri dati personali, a quanto risulta da un'indagine di TÜV Rheinland, che ha intervistato un migliaio di maggiorenni dotati di patente di guida, sia cinesi che statunitensi.
I cinesi non solo sono più disposti degli americani (il 71% contro il 42%) a cedere i propri dati personali per utilizzare nuovi servizi. La grande maggioranza di loro (85%) si definisce "ben informata sull'utilizzo dei dati e sulla loro protezione", percentuale che scende al 45%, ovvero meno della metà, tra gli statunitensi, che risultano inoltre più spaventati dai crimini informatici (63% contro il 67% degli americani). Non solo, ben il 71% dei cittadini dell'ex Celeste Impero si dice "fiducioso" nella competenza dei costruttori di auto nel campo della cybersicurezza, percentuale che tra gli americani crolla al 41%.
Risultati che collimano con quelli di un sondaggio dello scorso dicembre, a cura di Ford, dal quale emergeva che l'83% dei cinesi guarda "con speranza" allo sviluppo delle auto che si guidano da sole, laddove in Usa ben il 50% degli intervistati guarda a questa innovazione con diffidenza e scetticismo.
Ma quali sono le ragioni di tanta sfiducia?
Secondo un'indagine del Pew Research Center, il 42% degli americani non si fiderebbe di salire su un'auto senza conducente. Un altro 30% teme per la propria sicurezza e un 9%, semplicemente, ama guidare. Interessante sottolineare come solo il 2% degli intervistati teme che i veicoli possano essere hackerati, laddove la sicurezza informatica appariva come una grande fonte di preoccupazione per il campione intervistato da TÜV Rheinland.
È lecito supporre che, sotto un governo autoritario, i cittadini siano più propensi - o abituati - a cedere i propri dati personali e che questo fattore abbia influenzato l'orientamento degli intervistati. Nondimeno, la Cina ha ampiamente dimostrato che il suo "capitalismo di Stato" non è affatto nemico dell'innovazione, anzi, potrebbe essere la ragione principale per la quale Pechino è riuscita a colmare con tale rapidità i gap tecnologici che la distanziavano dall'Occidente in una serie crescente di settori, dalle energie rinnovabili ai treni ad alta velocità. Per tacer dei campi dove il sorpasso potrebbe essere già avvenuto.