Poche attività sono energivore come "l'estrazione" di nuovi Bitcoin, per la quale è necessario eseguire una serie di complesse operazioni matematiche, spesso attraverso reti che condividono la potenza di calcolo di vari computer (i cosiddetti "mining pool"). Non per niente, in Russia gira l'idea di proporsi come hub mondiale delle criptovalute grazie alle ingenti risorse di idrocarburi presenti nel sottosuolo della Federazione. Molti "miner", però, preferiscono utilizzare fonti rinnovabili, meno inquinanti. Da questo punto di vista, l'Islanda è il luogo ideale per estrarre criptovalute, data la vasta disponibilità di energia proveniente da impianti geotermici e idroelettrici e il clima rigido, che riduce il pericolo di surriscaldamento dei terminali. E nell'isola si starebbero sviluppando talmente tante compagnie dedite al "crypto mining" che nel 2018 l'estrazione di criptovaluta sarebbe destinata a consumare più energia delle abitazioni di tutte le famiglie islandesi messe assieme.
Rischio di blackout?
A fornire la stima all'Associated Press è Johan Snorri Sigurbergsson, manager della compagnia energetica Hitaveita Sudurnesja, secondo il quale nel 2018 la quantità di energia consumata dai "miner" raddoppierà dai 50 megawatt del 2017 a 100 megawatt, una cifra superiore ai consumi domestici dei 340 mila abitanti del Paese. "Non avrei mai potuto prevedere questa tendenza", ha spiegato Sigurbergsson, che afferma di essere appena stato contattato da una "mining company" intenzionata ad acquistare - da sola - 18 megawatt. E, proprio per il fatto di godere di un mix energetico composto quasi per intero da energia verde, l'intensificazione delle attività di mining, che hanno reso alcune città - come la località costiera di Keflavik - veri e propri hub del settore, sorge il rischio che non ci sia più abbastanza energia per le esigenze dei cittadini e che possano verificarsi dei blackout. “Se tutti i progetti d´installazione di computer per il Bitcoin mining annunciati in Islanda verranno realizzati, non avremo piú abbastanza energia”, avverte il manager.
La situazione è talmente preoccupante da suscitare allarme anche nel "tecnoentusiasta" Partito Pirata, che nel 2016 aveva inserito la necessità di regolare il comparto tra i punti del proprio programma elettorale e oggi chiede di tassare gli utili delle "mining company". "Stiamo spendendo decine, se non centinaia, di megawatt per produrre qualcosa che non ha un'esistenza tangibile e nessuna vera utilità per le persone al di fuori del regno della speculazione finanziaria", ha dichiarato all'agenzia stampa usa Smari McCarthy, esponente del partito, "questo non può essere positivo".