C'è una data in cui Bitcoin nasce e una in cui inizia a camminare. La prima è il 31 ottobre 2008: Satoshi Nakamoto (chiunque o qualsiasi cosa sia) pubblica “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, il documento che battezza la prima criptovaluta. Il 3 gennaio 2009 Nakamoto “mina” i primi bitcoin. Chiude il “blocco numero 0”, il primo della catena che ancora oggi lega tutte le transazioni, e riceve come ricompensa 50 bitcoin. Valore? Praticamente nullo. Anche perché Nakamoto non sa che farci e non sa dove spedirli.
Dal primo blocco alla prima transazione
Solo il 9 novembre viene rilasciato il primo software open source che rende la blockchain potabile. Poche ore dopo, lo sviluppatore statunitense Hal Finney lo scarica e, il 12 novembre, riceve da Nakamoto 10 bitcoin: è la prima transazione. Si tratta di date e riscontri sicuri. Ma qui si fermano le certezze sulla genesi e sui suoi primi due protagonisti. Ammesso che siano due, perché potrebbero essere di più o anche meno.
A dieci anni di distanza, non si conosce l'identità di Nakamoto, né si sa se sia una persona o un gruppo di lavoro. Tra le tante versioni che circolano, c'è quella secondo cui chi ha inviato e ricevuto le prime criptovalute sarebbero la stessa persona. Perché la prima transazione è stata incassata proprio da Finney? Finney appartiene a quella rete ristretta di cyperpunk nella quale sarebbe stato coltivato il germoglio delle criptovalute.
È possibile che Nakamoto abbia scelto lui solo perché è stato tra i primi a interessarsi alla moneta e ad aprire un portafogli digitale. Ma in questo cyber-Cluedo c'è chi pensa che Finney avrebbe (quantomeno) partecipato al progetto Bitcoin. Potrebbe quindi aver conosciuto Nakamoto, o persino essere Nakamoto. Lui ha sempre negato. E, se ha avuto un segreto da custodire se l'è portato nella tomba: colpito da Sla, è morto a 58 anni, il 28 agosto del 2014.
Bitcoin tra intenzioni e realtà
Nonostante il nome “protocollo” possa spaventare, il documento firmato da Nakamoto è chiaro e di semplice comprensione. Contiene i principi e gli obiettivi della criptovaluta: l'idea è quella di creare “una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico che permetterebbe di spedire direttamente pagamenti online da un'entità ad un'altra senza passare tramite un'istituzione finanziaria”. In quei giorni Lehman Brothers sta crollando e il cyber-punk vuole quello che il pank ha sempre voluto: un sistema che eviti le autorità costituite e rimuova l'intermediazione.
Questo il punto di partenza. È stato così? Al momento Bitcoin si è proposto di essere tante cose (una moneta, un bene rifugio, un asset speculativo) e non si sa esattamente cosa sarà. Ha sicuramente inaugurato l'universo delle criptovalute. Ci sono attività che accettano bitcoin, ma non abbastanza per parlare di moneta, cioè di un mezzo per comprare qualcosa su vasta scala. Dal blocco zero a oggi passando per la prima transazione, la valuta digitale di Satoshi Nakamoto ha fatto ricco qualcuno, rovinato qualcun altro. E di certo non è stato un investimento per deboli di cuore.
Dieci anni per cuori forti
Dal 3 gennaio 2009, si dovrà aspettare il 2011 prima che un bitcoin raggiunga un dollaro. Nel luglio dello stesso anno c'è il primo balzo: supera i 30 dollari. È una mini-fiammata che si spegnerà presto. Il 2013 è l'anno della prima grande galoppata, anche se non certo lineare. Ad aprile si sale oltre i 100 dollari e alla fine dell'anno oltre i mille. La febbre cresce e, abbinata a un mercato privo di controlli, porta al crac. Proprio quando il prezzo prende slancio, nel febbraio 2014 crolla Mt.Gox, la piattaforma di scambio più grande del mondo. Bancarotta. Il bitcoin va in picchiata e rivedrà quota mille solo dopo tre anni.
Il tappo salta nel 2017: in 105 giorni il bitcoin passa da 1.000 a 2.000 dollari. Ne bastano poco più di 20 per arrivare a 3000. Dieci per scavalcare i 4000. Il bitcoin tira il fiato alla fine dell'estate: impiega due mesi per arrivare a quota 5.000. Poi in un mese e mezzo è già oltre i 9.000 dollari. Giovedì 7 dicembre si arrampica fino a sfiorare i 17.000 dollari. Si gonfia la bolla e il 16 dicembre si sfiorano i 20.000 dollari. Il 22 dicembre 2017, in 24 ore, il bitcoin perde quasi un terzo del proprio valore e scende sotto i 14.000 dollari. In un mese, tra l'inizio di gennaio 2018 e i primi giorni di febbraio, si dimezza.
Non si avvicinerà più ai massimi, ma le fibrillazioni continuano fino all'inizio dell'estate, quando la volatilità diminuisce e il valore regge oltre i 6.000 dollari. Continuano le fibrillazioni, anche se su prezzi decisamente inferiori. L'8 marzo il bitcoin scende sotto quota 10.000. Ma questa volta non tornerà più oltre questa soglia. Con l'arrivo dell'estate, la volatilità frena. Tra settembre e ottobre oscilla di qualche centinaio di dollari poco oltre i 6.000 dollari. Nel giorno del suo decimo compleanno, il 31 ottobre, un bitcoin vale 6.276 dollari. Il 14 novembre, però, negli stessi giorni in cui si “biforca” Bitcoin Cash, riprende la caduta: la moneta virtuale perde il 10% in un solo giorno e il 30% in una settimana. Il 24 novembre scende sotto i 4.000 dollari. A metà dicembre sfiora i 3.000. Chiude il 2018 a 3.689 dollari 2018, un quarto rispetto al valore del primo gennaio.
Che 2019 sarà
Che 2019? La grande febbre è passata. Non è detto che sia una brutta notizia. Lo è per chi ha acquistato ai valori massimi, ma potrebbe essere un segnale di maturazione del mercato. Si va verso maggiori controlli e regolamentazioni definite su Ico, piattaforma di scambio e monete virtuali. La Sec (la Consob americana) ha tirato il freno sull'introduzione degli Etf e ha puntato gli occhi su società, manovre e progetti troppo disinvolti (quando non fraudolenti). Le norme raffreddano gli entusiasmi, ma sono negative solo per chi guadagna nel Far West. Difficile pensare al ritorno di prezzi stellari, perlomeno con la rapidità vista nel 2017.
Chi guadagna dal mining dovrà quindi essere più accorto, per fare i conti con margini più sottili. Il calo del prezzo, infatti, ha due effetti principali: riduce la ricchezza di chi possiede bitcoin e rende meno conveniente estrarne di nuovi. È una produzione digitale, ma non a costo zero: impone delle spese in componenti e (soprattutto) energia.
Un'analisi di Alex de Vries, economista ed esperto di blockchain, stima che il processo di creazione di bitcoin bruci 7,67 gigawatt. Cioè circa lo 0,5% del consumo elettrico globale e quasi quanto quello di uno Stato come l'Austria. Se le criptovalute valgono troppo poco, c'è il rischio che i costi superino l'incasso. Nel corso del 2018 è diventato poco o per nulla conveniente estrarre bitcoin nei Paesi dove l'energia costa di più.
Ico e cripto-progetti hanno avuto una contrazione: il 2019 dirà se si è trattato di una bocciatura o (più probabilmente) di una sana scrematura. Il quadro all'interno del quale muoversi non si è però disintegrato: è cambiato. Il settore resta vivace e le grandi imprese lo esplorano con sempre maggiore convinzione. Perché Bitcoin, da buon primogenito, ha aperto una strada. Dove porterà? Difficile dirlo. Solo maghi e tifosi hanno certezze.
Tre domande e un punto di partenza
Bitcoin diventerà una moneta? A oggi, è una delle prospettive meno probabili, almeno nell'immediato. Improbabile che, di colpo, chiunque inizi a comprarci il pane dal fornaio. Bitcoin è finito? Non è ai livelli (insani) di fine 2017, ma resta pur sempre oltre i 3.500 dollari. Una cifra paragonabile a quella di un anno e mezzo fa e molto lontana dal valore delle colleghe: un gettone della seconda valuta digitale per capitalizzazione, Ethereum, costa 133 dollari e quello della terza, Ripple, 33 centesimi.
Si può essere certi che non ci sarà un'altra bolla? No. In fondo a gonfiarla sono stati elementi strutturali e psicologici. I primi (mercato piccolo se confrontato con l'attenzione ricevuta, scarsa trasparenza, attività concentrate su poche piattaforme) stanno in parte mutando ma sono ancora lì. E la psicologia della bolla è sempre simile a se stessa. La prospettiva di guadagni facili incoraggia l'euforia e gonfia i prezzi. Quando subentrano pessimismo o (peggio) panico, il prezzo cala e le vendite generano vendite. Con la speculazione che alimenta gli sbalzi d'umore.
Non sempre gli errori del passato insegnano. Nonostante l'anno di crisi però, c'è un segnale positivo: secondo il Cambridge Centre for Alternative Finance, il numero degli utenti che hanno scambiato criptovalute (non solo bitcoin) è raddoppiato tra il 2017 e i primi nove mesi del 2018: da 18 a 35 milioni di persone. Ed è una stima per difetto. Si riparte da qui, si spera con più sale in zucca.