L'uomo sospettato di aver orchestrato 'la grande rapina di bitcoin', uno dei furti piu' audaci nel mondo delle criptovalute, è riuscito a fuggire da una prigione islandese, a prendere un aereo, raggiungere la Svezia e far perdere le proprie tracce. Sindri Thor Stefansson era uno degli undici arrestati, lo scorso febbraio in Islanda, con l'accusa di aver organizzato una serie di furti di macchine specializzate per il mining, l'estrazione di bitcoin. In quattro colpi diversi, tra dicembre e gennaio, erano stati rubati ben 600 server dai data center islandesi, per un valore complessivo di quasi 2 milioni di dollari. I server non sono stati ritrovati ma la polizia aveva poi arrestato la presunta banda criminale, responsabile per quella che sui media era già stata ribattezzata "la grande rapina di bitcoin".
Nel mondo delle criptovalute i furti e gli attacchi informatici non mancano, in genere diretti alle piattaforme di cambio o ai portafogli elettronici degli utenti. Ma il colpo islandese si era invece concentrato sull'hardware, che in teoria non dovrebbe passare inosservato. Stefansson sarebbe scappato da una finestra di una prigione a bassa sicurezza in una zona rurale, avrebbe raggiunto l'aeroporto di Keflakiv a 59 km di distanza e si sarebbe imbarcato per la Svezia su un aereo di linea che, curiosamente, portava pure il primo ministro islandese, Katrin Jakobsdottir.
L'Islanda negli ultimi anni è diventata un luogo d'attrazione per il mining di criptovalute grazie ai suoi data center, al clima freddo e all'elettricità a buon prezzo.