AGI - La sostenibilità è ovunque. Se ne parla nelle scuole, nei talk show, nelle strategie aziendali, persino nelle pubblicità. Forse se ne parla sin troppo. Quasi sempre se ne parla male. Ma proprio ora, che il 2030 si avvicina con l'ineluttabilità di una scadenza che non saremo in grado di rispettare, siamo di fronte a un punto di rottura.
Quell'anno simbolo, fissato dall'Agenda 2030 per raggiungere obiettivi globali di sviluppo sostenibile, rischia di diventare un muro contro il quale si scontrerà non soltanto un set di obiettivi che sappiamo saranno difficilissimi da raggiungere, ma un intero modello ideale.
E mentre l’Europa prova ad avanzare, gli Stati Uniti – con crescenti pressioni interne – iniziano a scagliarsi apertamente contro le politiche internazionali di sostenibilità, minando alla radice la già fragile coesione globale sul tema. Siamo dunque a un bivio: o continuiamo a cullarci tra slogan e approcci idealistici, o iniziamo a trattare la sostenibilità per ciò che è davvero: una sfida sistemica che non riguarda solo un futuro da disegnare, ma un presente da costruire.
Eppure, mai come oggi, ciò che diciamo di sapere è distante da ciò che effettivamente comprendiamo.
Il Paradosso della consapevolezza: i dati dell'Osservatorio
È questo il paradosso confermato dalla quarta edizione dell'Osservatorio per la Sostenibilità Digitale che la Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha realizzato in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici San Pio V, i cui dati (la sintesi dei quali è disponibile sulla pagina della ricerca “Generazioni”) sono stati presentati questa settimana a Roma, nel corso del Digital Sustainability Day 2025, organizzato appunto dalla Fondazione.
I dati sono chiari, e dobbiamo avere il coraggio di affermarli con forza non per declinare un fallimento, ma per partire da una condizione di realtà dalla quale costruire le strategie per il presente e per il futuro. Quasi un italiano su due – anche tra i più giovani – riconosce esplicitamente di non sapere cosa significhi davvero “sostenibilità”.
Ma non è solo un problema semantico. È una vera e propria crisi di consapevolezza, aggravata dal fatto che meno di un terzo degli italiani è in grado di collegare le proprie convinzioni ideologiche con le conseguenze pratiche che esse hanno su ambiente, economia e società. Questo significa che, anche quando ci dichiariamo sostenibili, spesso lo facciamo in modo superficiale, se non del tutto incoerente.
Un cambio generazionale che non c’è (ancora)
Ci si aspetterebbe che le nuove generazioni – cresciute tra Fridays for Future, social media e allarmi climatici – siano naturalmente più sensibili alla questione. Ma i dati ci dicono altro: i giovani sono più sensibili degli adulti ai temi ambientali, ma solo se si guarda al tema con una certa superficialità. Anzi, ben un italiano su quattro (a prescindere dall’età) considera il cambiamento climatico importante, sì, ma rimandabile. E il quadro è reso ancora più complesso dalla relazione ambivalente tra generazioni e tecnologia. I Millennials e la Gen Z sono più esposti e abituati all’uso degli strumenti digitali, ma non necessariamente più consapevoli del loro potenziale trasformativo per la sostenibilità. Allo stesso modo, i Baby Boomers e la Gen X si mostrano spesso diffidenti verso il digitale, soprattutto in ambito professionale, pur utilizzandolo con disinvoltura per l’intrattenimento e il tempo libero. E, ancora peggio, se si guarda alla capacità dei nostri concittadini di correlare le visioni ideologiche con i loro effetti concreti su ambiente, economia e società, meno di un terzo è in grado di farlo. Ancora una volta indipendentemente dall’età.
Tecnologia e sostenibilità: due mondi ancora troppo lontani
Un italiano su otto ritiene che il digitale genererà problemi ambientali, economici e sociali, e in parte ha ragione. Il digitale non è intrinsecamente sostenibile: lo diventa solo se indirizzato e gestito con consapevolezza. Ma la percezione dominante resta distorta: il 25% degli italiani pensa che la tecnologia non serva affatto per raggiungere obiettivi di sostenibilità, e anche tra i più giovani – pur più pronti a utilizzarla – manca la comprensione del suo ruolo sistemico.
Gli ambientalisti tradizionali restano tra i più critici verso la tecnologia, mentre i giovani, pur meno ostili, non sembrano cogliere fino in fondo il potenziale del digitale come alleato per l’ambiente, l’inclusione sociale, l’economia circolare.
Serve una nuova alfabetizzazione: sostenibile e digitale
Questi dati non vanno letti come un atto d’accusa, ma come un invito urgente all’azione culturale. La sostenibilità non si costruisce solo con tecnologie verdi o policy ambientali: si fonda su una cittadinanza consapevole, capace di comprendere le relazioni tra comportamento individuale, trasformazione digitale e impatti sistemici.
Serve una nuova alfabetizzazione sostenibile e digitale che connetta ciò che facciamo online con ciò che succede nel mondo reale. Che insegni a leggere la realtà attraverso la lente dell’interconnessione. Che trasformi i dati in conoscenza, la conoscenza in responsabilità.
Non è solo questione di età
Il divario generazionale esiste, ma non è una condanna. La sfida non è tra giovani e anziani, tra nativi e immigrati digitali, tra innovatori e nostalgici. La sfida è tra chi sceglie di capire e chi preferisce restare alla superficie. Tra chi è disposto a imparare – a qualunque età – e chi pensa che sia sempre compito di qualcun altro.
Se vogliamo che la sostenibilità sia davvero digitale e la digitalizzazione davvero sostenibile, dobbiamo colmare questo divario culturale. Con politiche educative, strumenti di analisi critica, incentivi all’innovazione inclusiva. Ma soprattutto con una nuova narrazione, capace di coinvolgere le generazioni, non di contrapporle.
Perché il futuro – digitale o sostenibile che sia – non si eredita: si costruisce. Insieme.