Le recenti notizie di cronaca che arrivano dal Trentino-Alto Adige, dove nell’ultimo fine settimana del 2019 quattro persone hanno perso la vita in due distinti incidenti, hanno riportato il tema delle morti in montagna al centro dell’attenzione.
Ma quante sono le vittime della montagna ogni anno? Quali sono le attività più pericolose? Andiamo a vedere i numeri.
La situazione attuale
In attesa che vengano diffusi i dati relativi al 2019 abbiamo contattato l’ufficio stampa del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (Cnsas), la struttura della Protezione civile che si occupa degli interventi di soccorso in montagna.
Il Cnsas riferisce che sicuramente questo inizio inverno 2019/2020 ha visto un aumento rispetto all’anno scorso degli interventi di soccorso in montagna e, purtroppo, dei decessi. I numeri precisi non sono ancora stati aggregati ma da ottobre in poi gli interventi sono stati più di milleseicento e le vittime, solo negli ultimi giorni, più di una decina.
I motivi di questo aumento, spiega sempre l’ufficio stampa del Cnsas, sono molteplici: in primo luogo le abbondanti nevicate di fine autunno e inizio inverno, seguite da giornate di bel tempo, hanno spinto più persone rispetto all’anno scorso ad andare in montagna e a fare attività come sci, camminate, alpinismo, ciaspolate e via dicendo. In secondo luogo il forte vento degli ultimi giorni ha creato accumuli di neve che aumentano il rischio di valanghe pericolose.
Per questi motivi il Cnsas richiama tutte le persone che intendono fare attività in montagna in questo periodo alla massima prudenza, in particolare a non intraprendere gite in alta montagna senza la guida a fronte di un rischio di valanghe di livello 3 o più (“rischio marcato” o superiore).
I dati del 2018
A inizio 2019 è stato diffuso il rapporto del Cnsas che contiene i dati aggregati per quanto riguarda il 2018. Da questo risulta che le vittime siano state nel complesso 458, in calo rispetto alle 485 del 2017. Come abbiamo scritto in passato, per fare un confronto, i morti sul lavoro in Italia negli ultimi anni sono stati poco più del doppio (1.133 nel 2018) e i morti per omicidio volontario addirittura meno (331 nel 2018).
I decessi rappresentano comunque una minoranza rispetto al totale degli interventi operati dal Cnsas: nel 2018 sono stati effettuati 9.554 interventi, e di questi solo il 4,9 per cento ha riguardato persone decedute, il 45 per cento feriti lievi, il 33,5 per cento illesi e il 13,2 per cento i feriti gravi.
Le persone soccorse nel 46,5 per cento dei casi erano cadute o scivolate, nel 25,2 per cento erano incapaci di proseguire e nel 10,7 per cento avevano avuto un malore. La percentuale rimanente si suddivide tra “altre” (6,5 per cento), “maltempo” (5,1 per cento), valanghe (1,1 per cento), frane (1 per cento) e cause con un’incidenza inferiore all’uno per cento (shock anafilattico, folgorazione, falsa chiamata e via dicendo).
Quanto alle attività svolte, la maggioranza relativa degli interventi del Cnsas (il 40,4 per cento) ha riguardato persone impegnate in attività di escursionismo (le passeggiate, per intenderci). Nell’elenco seguono poi, a distanza, lo sci (16,7 per cento), l’alpinismo (6,2 per cento), la mountain bike (6,1 per cento), la residenza in montagna (4,9 per cento), la ricerca di funghi (4 per cento) e lo sci alpinismo (3,4 per cento).
Ma per quanto riguarda specificamente i decessi, in quali attività si verificano più di frequente?
Il rapporto non contiene questi dati ma, sempre dall’ufficio stampa del Cnsas, ci hanno comunicato che nel 2018 la prima causa di decesso è stata l’escursionismo – che è l’attività in cui si cimenta il maggior numero di persone –, seguito dalla raccolta di funghi. Questa è praticata spesso da persone più anziane, a cui può essere fatale anche un banale malore che non venga però immediatamente curato.
L’alpinismo, attività più “estrema” e quindi in teoria pericolosa, arriva terzo e a una certa distanza dalle prime posizioni. Seguono poi il lavoro (come ad esempio quello di boscaiolo), la caccia, il torrentismo e – dunque al fondo della classifica – lo scialpinismo e in generale lo sci fuori pista.
Conclusione
Ogni anno in Italia muoiono in montagna più persone di quante non ne muoiano per omicidi volontari. Le persone decedute rappresentano tuttavia una piccola minoranza, circa il 5 per cento, del totale dei soggetti per cui si muove il soccorso alpino. La grande maggioranza è infatti composta da feriti lievi e illesi.
Le valanghe e le frane, e in generale gli eventi estremi, rappresentano una minoranza degli eventi che rendono necessario un intervento: la maggior parte è causata da cadute, scivolate, incapacità e malori.
Le attività per cui si registra il maggior numero di interventi è l’escursionismo, cioè le passeggiate in montagna. Qui si registra anche il maggior numero dei morti. Al di sotto di questa prima posizione però la classifica degli interventi e quella dei decessi si separano: secondo per numero di interventi arriva infatti lo sci, mentre per numero di morti la raccolta di funghi (sesta per numero di interventi). Terzo a distanza, in entrambe le classifiche, si piazza l’alpinismo. Lo sci alpinismo e lo sci fuori pista sono invece in fondo alla classifica.
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