Il leader di Liberi e uguali Pietro Grasso ha lanciato una proposta per il programma della sua lista: abolire le tasse universitarie. Il costo, secondo il presidente del Senato, sarebbe di 1,6 miliardi di euro. “Avere un'università gratuita, come avviene già in Germania e tanti altri Paesi europei”, sostiene Grasso, “significa credere davvero sui giovani, non a parole ma con fatti concreti. Ne beneficerà il Paese: dare a tutti la possibilità di studiare”.
Contrario a questa proposta si è già detto Carlo Calenda. Il ministro dello Sviluppo economico ha dichiarato a Circo Massimo (min. 5’15”), trasmissione di Radio Capital, che si tratterebbe di una misura “trumpiana”. Secondo il ministro infatti sarebbe un “supporto fondamentale alla parte più ricca del Paese”, perché “oggi sono già esentati gli studenti con reddito basso”. Con la proposta di Grasso, ha proseguito Calenda, a pagare sarebbero tutti gli italiani, cioè “anche i redditi bassi, che non hanno figli a scuola, devono pagare per poter mandare in molti casi persone che hanno reddito medio a scuola”.
Abbiamo analizzato le dichiarazioni di Grasso e Calenda e questo è uno di quei casi nei quali si può dire che abbiano ragione entrambi.
Quanto costa l’università?
Partiamo da Grasso. Davvero tagliare le tasse universitarie costerebbe 1,6 miliardi? In sintesi, sì. Vediamo perché.
Una premessa: Grasso non specifica quali tasse universitarie intenda, se cioè solo quelle per i corsi di laurea o anche per i dottorati e i master e le altre tipologie di corsi presenti. E neppure se si riferisca ai soli atenei pubblici o anche a quelli privati.
Vediamo i numeri, nel caso si riferisca a tutte le tasse indistintamente.
I dati più recenti del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca si riferiscono all’anno accademico 2015/2016. Il costo in quell’anno delle tasse universitarie per gli studenti e le loro famiglie è stato pari a 2,8 miliardi (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei sommati > Tabella A > Tutte le modalità distinte). Una cifra ben diversa rispetto a quella riferita da Grasso. Ci sono però diversi aspetti da considerare prima di valutare come errata l’affermazione del presidente del Senato.
Innanzitutto possiamo ipotizzare che il leader di Leu si riferisse al costo previsto per l’anno accademico in corso: l’Istat, nel suo report sui Prezzi al consumo di dicembre 2017, precisa che “a seguito dell’entrata in vigore, nel mese di ottobre 2017, delle nuove norme sulla contribuzione studentesca” il costo delle tasse si ridurrà del 39,3%. Questo perché le classi di reddito con esenzione totale o parziale sono state elevate e in questo modo più studenti di famiglie a reddito basso o medio-basso pagheranno meno tasse.
Quindi è già previsto che le tasse universitarie pagate dagli studenti scendano per l’anno accademico 2017/2018 a circa 1,7 miliardi. Un totale simile a quello riportato da Grasso.
Se Grasso si riferisse invece alla decontribuzione totale per le sole università statali, nel 2016 (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei statali sommati > Tabella A > Tutte le modalità distinte) gli studenti di atenei pubblici hanno pagato tasse per 2 miliardi di euro, che però andrebbero ridotti a 1,6 miliardi considerando le tasse solo per “corsi di laurea, corsi di laurea magistrale, corsi del vecchio ordinamento”. La cifra è così identica a quella riportata da Grasso.
Anche qui sarebbe poi corretto ridurre il totale del 39,3% come indicato dall’Istat per l’anno accademico 2017/2018. Il costo di una simile manovra sarebbe quindi ancora più basso: poco meno di un miliardo di euro, a una prima stima.
Insomma, Grasso ha ragione se intende le tasse di tutti i corsi di tutte le università, anche private. Sarebbe invece persino “largo” con i conti se si riferisse alle sole università statali, non considerando che già il governo attuale ha ridotto le tasse di quasi il 40%.
Chi paga e chi no?
Veniamo alla critica di Carlo Calenda. Il ministro sostiene che non sia corretto abolire in toto le tasse universitarie: trattandosi di un tipo di contribuzione progressiva, oggi chi ha un reddito basso non paga, mentre la cifra aumenta in corrispondenza dell’aumentare del reddito.
Si tratta cioè del criterio di progressività del fisco garantito dalla Costituzione per il sistema tributario. Questo aspetto è stato sottolineato anche dalla deputata Irene Tinagli (ex Scelta civica, oggi Pd) che a sua volta cita l’economista Andrea Ichino.
Nel 2016 gli studenti universitari in Italia sono stati 1.693.040 (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei sommati > Tabella G > Tutte le modalità distinte), tra corsi di laurea - che con 1.584.112 studenti attirano la grandissima parte del totale, il 93,5% degli studenti - dottorati, specializzazioni e master.
Di questi, 176.861 (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei sommati > Tabella C > Tutte le modalità distinte) sono stati completamente esonerati dal pagamento delle tasse, mentre altri 134.660 (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei sommati > Tabella D > Tutte le modalità distinte) hanno ottenuto esoneri parziali.
Nel complesso gli interventi a favore di questi studenti hanno ammontato a circa 1,4 miliardi di euro (Contribuzione 2016 > Tutti gli atenei sommati > Tabella F > Tutte le modalità distinte), per la stragrande maggioranza in carico allo Stato e in misura minore anche alle Regioni.
Queste cifre naturalmente non tengono conto della decontribuzione per il 2017/2018, che secondo il Sole 24 Ore allargherà a quasi 600mila studenti la totale esenzione dalle tasse e ad altri quasi 500mila l’esenzione parziale.
La proposta di Grasso, di fatto, appianerebbe l’attuale criterio di pagamento delle tasse universitarie in base alle differenze reddituali: quando il leader di Leu dice che togliere le tasse universitarie significa “dare a tutti la possibilità di studiare” non è preciso.
Già oggi infatti, a maggior ragione con la nuova decontribuzione introdotta dal governo, oltre un terzo degli studenti con i redditi più bassi non paga le tasse universitarie e circa un altro terzo paga importi agevolati in base a un criterio di progressività. Solo gli studenti con famiglie con Iseeu superiore a 30 mila euro annui pagano le tasse universitarie integralmente.
Conclusioni
Anche se non è chiaro a quali contributi si riferisca, Grasso ha ragione quando sostiene che abolire le tasse universitarie costerebbe 1,6 miliardi di euro. Con 1,7 miliardi si potrebbero togliere tutte le tasse per tutti i tipi di corsi universitari sia per gli atenei privati sia per quelli statali. Se invece si riferisse solo alle tasse per i corsi di laurea degli atenei statali, questa cifra si abbasserebbe a meno di un miliardo per il prossimo anno accademico.
Ha però ragione anche il ministro Calenda quando sostiene che una misura di questo tipo annullerebbe il criterio di progressività fiscale.