Il 19 marzo, ospite a Circo Massimo su Radio Capital, l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha criticato (min. 01:03:35) le politiche del governo Conte in materia fiscale.
Secondo il neo-eletto presidente del Partito democratico, «le tasse sono gradualmente diminuite costantemente negli ultimi sei anni» – pur restando sopra la media dell’Unione europea – mentre con Lega e Movimento 5 stelle «aumentano di nuovo», con uno «0,4 per cento in più di pressione fiscale».
Ma le tasse sono davvero tornate a salire? Abbiamo verificato.
La pressione fiscale negli ultimi sei anni
L’indicatore della pressione fiscale misura il rapporto tra il Prodotto interno lordo (Pil) e il totale delle risorse raccolte dagli enti pubblici locali e dallo Stato (tra imposte dirette e indirette e contributi sociali) per il finanziamento della spesa pubblica.
Questo numero non rappresenta quindi la percentuale di tasse pagate dai cittadini in rapporto al proprio reddito, quanto piuttosto l’ammontare complessivo delle tasse.
Qual è stato l’andamento di questo indicatore negli ultimi sei anni? Secondo i dati della Banca d’Italia, nel 2012 la pressione fiscale nel nostro Paese era al 43,6 per cento, in aumento di due punti percentuali rispetto al 2011 (41,6 per cento), ma rimasta poi stabile nel 2013 (43,6 per cento).
Negli anni successivi, la pressione fiscale ha iniziato una graduale diminuzione, scendendo al 43,3 per cento nel 2014, al 43,1 per cento nel 2015, al 42,4 per cento nel 2016 e al 42,2 per cento nel 2017 (ultimo anno disponibile nei dati della Banca d’Italia).
Una precisazione: i dati sopracitati relativi al periodo tra il 2014 e il 2017 non considerano il bonus degli 80 euro introdotto dal governo Renzi nel 2014. Se infatti si calcola il bonus [https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=49842] come una riduzione delle imposte, il rapporto tra tasse raccolte e Pil risulterebbe più basso. Se gli 80 euro vengono invece considerati una maggiore spesa dello Stato – come suggerito dalle norme contabili europee – questo rapporto risulta più alto.
Per il 2018, a gennaio 2019 – nel suo Aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica – il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha certificato una pressione fiscale del 41,9 per cento, ancora in calo rispetto all’anno precedente.
Ricapitolando: negli ultimi sei anni, si è dunque passati da una pressione fiscale del 43,6 per cento a una pressione fiscale del 41,9 per cento. Una riduzione di circa 1,7 punti percentuali.
Un confronto con l’Europa
Nonostante il risultato ottenuto nella passata legislatura, la pressione fiscale in Italia resta comunque sopra la media europea, come correttamente riportato da Gentiloni.
Secondo l’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat), nel 2017 (dati più aggiornati) in media il rapporto tra le tasse raccolte dai 28 Stati membri – inclusi i contributi sociali – e il loro Pil era del 40,2 per cento, quasi due punti percentuali in meno rispetto al dato italiano.
Al primo posto troviamo la Francia (48,4 per cento), seguita dal Belgio (47,3 per cento), dalla Danimarca (46,5 per cento) e dalla Svezia (44,9 per cento).
Nel 2017, i Paesi Ue con la pressione fiscale più bassa sono stati l’Irlanda (23,5 per cento), la Romania (25,8 per cento) e la Bulgaria (29,5 per cento).
Che cosa è successo con il nuovo governo?
Nel Capitolo 11, dedicato al “Fisco”, il Contratto di governo – firmato da Lega e Movimento 5 stelle il 18 maggio 2018 – contiene la promessa di abbassare le tasse: «Il contesto che ci caratterizza rende pertanto necessaria l’adozione di coraggiose e rivoluzionarie misure di riforma, nell’ottica di una riduzione del livello di pressione fiscale». È stata mantenuta?
Nel Documento programmatico di bilancio – pubblicato a ottobre 2018 dal Ministero dell’Economia e Finanza – il governo aveva previsto che nel 2019 la pressione fiscale sarebbe rimasta stabile intorno al 41,8 per cento, ossia sui livelli del 2018, senza riduzioni rilevanti.
Il 27 dicembre 2018 – quando il Parlamento stava per approvare la versione definitiva della legge di Bilancio 2019 – il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro, in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, aveva però dichiarato che la manovra avrebbe aumentato la pressione fiscale fino al 42,4 per cento nel 2019 e al 42,5 per cento nel 2021.
In realtà, Pisauro – rispondendo a una domanda di Renato Brunetta (Forza Italia) aveva aggiunto con cautela che «dare i numeri in questo modo è una stima che sembra una sorta di tombola. Si può dire che la pressione fiscale aumenta leggermente» nel 2019.
A certificare l’aumento della pressione fiscale per quest’anno è stato però lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze a gennaio.
Nel documento Aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica, che abbiamo già citato, il governo ha stimato una crescita dal 41,9 per cento al 42,3 per cento: un aumento dello 0,4 per cento, come correttamente indicato da Gentiloni.
Ricordiamo comunque che si tratta di una previsione basata sulle politiche del nuovo esecutivo e dall’andamento dell’economia del Paese: per sua natura, infatti, l’indicatore della pressione fiscale dipende da come si comporterà il Pil italiano nei prossimi mesi.
Conclusione
L’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha ragione, anche se la sua previsione di un aumento della pressione fiscale è, appunto, una previsione, e dunque può essere smentita.
È comunque vero che negli ultimi sei anni la pressione fiscale in Italia è stata in leggero ma continuo calo, passando dal 43,6 per cento del 2012 al 41,9 per cento del 2018. È corretto anche dire che questa percentuale resta superiore alla media europea (40,2 per cento).
Infine, il neo-eletto presidente del Pd ha ragione quando dice che la pressione fiscale, con Lega e Movimento 5 stelle, dovrebbe tornare a crescere. Secondo le previsioni più recenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 2019 è prevista una crescita dello 0,4 per cento.
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