Renato Brunetta, deputato ed ex ministro di Forza Italia, l’11 marzo ha scritto su Twitter: "Il Governo ha accantonato 2 miliardi da utilizzare per coprire maggior deficit, ma gli italiani non hanno ancora realizzato che si tratterà di 2 miliardi di tagli a imprese, trasporti e atenei".
Di questi due miliardi si è parlato diverse volte a proposito dell’eventualità di una manovra correttiva. Ad esempio il ministro dell’Economia Giovanni Tria, rispondendo il 20 febbraio a una domanda in proposito, aveva sostenuto che fosse prematuro parlare di manovra correttiva e che, appunto, due miliardi accantonati con la legge di Bilancio per il 2019 fossero "più che sufficienti".
Cerchiamo allora di capire meglio di cosa si tratta e se, come sostiene Brunetta, si tratti in realtà di tagli a imprese, trasporti e atenei.
I due miliardi nella legge di Bilancio
Nella legge di Bilancio per il 2019 si legge (art. 1, co. 1118) che "per l’anno 2019, le dotazioni del bilancio dello Stato [...] sono accantonate e rese indisponibili per la gestione, per un importo complessivo pari a 2 miliardi di euro, secondo quanto indicato nell’allegato 3 annesso alla presente legge".
Entro luglio, come ricorda il comma successivo, il Def aggiorna il monitoraggio sugli andamenti della finanza pubblica. Se questi andamenti sono coerenti con gli obiettivi fissati, le risorse accantonate vengono rese disponibili. Se invece non lo sono (art. 1, co. 1120), gli accantonamenti sono confermati... oppure sono resi comunque disponibili (sulla natura contorta di questa garanzia, per cui le risorse possono essere rese disponibili sia che le cosa vadano bene sia che vadano male, si è espresso criticamente Carlo Cottarelli).
Insomma, la legge di Bilancio per il 2019 prevede una “riserva” di due miliardi, la cui destinazione viene decisa verso la metà dell’anno successivo. A una prima verifica, non sembra che le due leggi di bilancio precedenti prevedessero simili accantonamenti.
Quando si parla di “tagli”
Prima di andare a vedere da dove arrivino questi due miliardi di accantonamenti, possiamo fare una prima considerazione sulla loro natura.
Come si legge nella legge di Bilancio, queste risorse sono "dotazioni del bilancio [...] accantonate e rese indisponibili". Cioè soldi che sono teoricamente già stanziati ma non possono essere spesi dai vari ministeri.
Se gli andamenti della finanza pubblica rendessero necessario utilizzarle, ad esempio se il rapporto deficit/Pil si rivelasse superiore al 2,04% previsto dal governo, si potrebbe parlare di “taglio”?
Da un lato sembra di sì, perché sono appunto risorse già stanziate, anche se al momento congelate, che verrebbero invece sottratte e indirizzate ad altri scopi. Dall’altro invece si potrebbe sostenere che non si tratti di tagli, perché le risorse non sono mai entrate nella disponibilità dei ministeri.
Al di là di questa questione di termini, andiamo a vedere come si compongono questi due miliardi.
L’allegato 3 alla legge di Bilancio
Il comma che parla di questi due miliardi rimanda a un allegato tecnico (all. 3) annesso alla legge di Bilancio per i dettagli sulla loro composizione.
Qui vediamo come gli accantonamenti sono suddivisi tra i vari ministeri. Il peso maggiore è sostenuto dal Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef), che contribuisce per 1,18 miliardi circa. Le voci che subirebbero un impatto maggiore, se fosse necessario utilizzare i due miliardi, sono “Competitività e sviluppo delle imprese”, che verrebbe tagliata per 481 milioni di euro, e i “Fondi da ripartire”, che verrebbero ridotti di 584 milioni.
Le imprese verrebbero poi penalizzate anche dagli accantonamenti del Ministero dello Sviluppo economico (Mise), che subirebbe un taglio di 150 milioni di euro alla voce “Competitività e sviluppo delle imprese”.
Altri 100 milioni verrebbero poi sottratti al Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur): 30 milioni in meno per “Diritto allo studio e sviluppo della formazione superiore”, 40 milioni in meno per “Sistema universitario e formazione post-universitaria” e altri 30 milioni in meno per “Ricerca scientifica e tecnologica di base e applicata”.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit), terzo esempio citato da Brunetta, subirebbe poi un taglio di 300 milioni alla voce “Sviluppo e sicurezza della mobilità locale”.
Le altre voci più significative, non citate da Brunetta, sono la “Pianificazione generale delle Forze Armate e approvvigionamenti militari” del Ministero della Difesa, che verrebbe privata di 150 milioni di euro; la “Cooperazione allo sviluppo” del Ministero degli Esteri, che rischia un taglio di 40 milioni di euro; e i “Trasferimenti assistenziali a enti previdenziali, finanziamento nazionale spesa sociale, programmazione, monitoraggio e valutazione politiche sociali e di inclusione attiva”, del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, anch’essi a rischio di subire un taglio di 40 milioni di euro.
I ministeri che invece sarebbero chiamati a contribuire in misura minore a questi due miliardi sono il Ministero per le Politiche agricole, che rischia “solo” 5,5 milioni di euro circa, il Ministero dell’Interno (3,5 milioni scarsi), il Ministero della Giustizia, (meno di 3 milioni), quello della Salute (poco più di 2 milioni), quello dei Beni culturali (circa 1,5 milioni), e quello dell’Ambiente, meno di un milione.
Conclusione
Brunetta ha ragione nel sostenere che il governo abbia accantonato due miliardi di euro da utilizzare nel caso gli andamenti di finanza pubblica - probabilmente il rapporto deficit/Pil - rendessero necessaria una correzione dei conti.
Sono somme teoricamente già suddivise tra i ministeri, ma non entrate nella loro disponibilità: si può discutere se, nel caso questi due miliardi fossero effettivamente utilizzati, si tratti di un taglio oppure no. Entrambe le posizioni sembrano sostenibili.
È poi vero che a pagare, in termini di risorse sottratte, sarebbero imprese, trasporti e atenei. Ma non solo. Anche la difesa, la cooperazione allo sviluppo e le politiche sociali dovrebbero rinunciare a una quantità significativa di risorse, che passerebbero dall’essere “indisponibili” all’essere inesistenti, perché spese in altro modo.
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