Il governo italiano ha dato il via a un nuovo scontro diplomatico: dopo la Francia, questa volta è toccato all’Olanda. Il ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, il 25 gennaio, ha scritto su Facebook di aver inviato una lettera al governo olandese chiedendo, tra le altre cose, di "predisporre, con urgenza, gli adempimenti relativi all’organizzazione della presa in carico e del trasferimento in territorio olandese dei 47 migranti a bordo della nave olandese Sea Watch".
Lo scontro Italia vs Olanda
Poche ore prima anche l’altro vicepresidente del Consiglio, nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio aveva espresso una posizione simile, che chiamava in causa Amsterdam per l’accoglienza dei migranti salvati nel Mediterraneo dalla nave Sea Watch, gestita da una Ong tedesca ma battente bandiera olandese.
Il governo olandese ha risposto, per bocca del segretario di Stato per l’Asilo e le migrazioni Mark Harbers, che finché non ci saranno accordi europei per soluzioni strutturali alla questione migratoria l’Olanda non prenderà parte a soluzioni estemporanee, e che Amsterdam "non è responsabile per la Sea Watch".
Al di là della contrapposizione politica tra governi, cerchiamo di capire se in effetti esista qualche obbligo giuridico del Paese di bandiera di una nave che abbia salvato dei migranti in mare.
Una nave olandese è territorio olandese
Uno degli argomenti che si leggono più spesso tra i sostenitori della linea del governo, è che le navi – così come gli aeroplani – sono un’estensione territoriale dello Stato di bandiera. Quindi una nave che batte bandiera olandese, di fatto, è un pezzo di territorio olandese.
Questa parte del ragionamento è corretta. In base al diritto internazionale del mare – v. Convenzione di Montego Bay del 1982, artt. 91 e ss – lo Stato di bandiera esercita una giurisdizione esclusiva sulla nave che ha la sua bandiera.
Dunque, secondo il ragionamento che vorrebbe attribuire all’Olanda la responsabilità dei migranti salvati dalla Sea Watch, se i migranti sono arrivati di fatto in territorio olandese salendo a bordo della nave, allora in base al Regolamento di Dublino tocca ad Amsterdam farsi carico delle loro domande di asilo e dell’accoglienza necessaria.
Il Regolamento di Dublino infatti prevede che (art. 13), salvo eccezioni, se "il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro" allora è quello Stato a essere "competente per l’esame della domanda di protezione internazionale".
Salendo a bordo della Sea Watch, dunque, i migranti avrebbero varcato la frontiera dello Stato olandese, che dovrebbe quindi essere il responsabile dell’esame delle domande di asilo e dell’accoglienza dei richiedenti.
Questa conclusione del ragionamento, che a prima vista sembra corretta, è però sbagliata. Vediamo il perché.
I richiedenti asilo devono sbarcare nel porto sicuro più vicino
Della questione aveva parlato in termini molto chiari il Contrammiraglio Nicola Carlone, della Guardia costiera italiana, nel corso di un’audizione parlamentare del 3 maggio 2017. Qui Carlone aveva spiegato che "Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra".
Il “caso Hirsi” è una vicenda che ha visto l’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2012, per la politica dei “respingimenti in mare” dei migranti voluta dall’ultimo governo Berlusconi, in particolare dal ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni.
Nella sentenza veniva chiarito che le procedure per l’esame della situazione di un migrante - se sia un perseguitato che ha diritto alla protezione internazionale o meno - sono talmente complesse che non è pensabile vengano fatte a bordo di una nave. Devono quindi essere fatte a terra, dopo aver sbarcato i migranti nel porto sicuro più vicino.
Il porto sicuro più vicino alla costa libica per i richiedenti asilo, non potendo considerare tali la Libia stessa, la Tunisia e gli altri Stati della costa africana del Mediterraneo, è l’Italia. Che la nave battente bandiera olandese sia di una Ong, e non ad esempio un mercantile di passaggio - che è comunque tenuto a salvare i naufraghi alla stessa maniera - non è rilevante.
Possiamo spiegare la questione con un esempio paradossale: se i migranti fossero stati salvati nel Mediterraneo da una nave mercantile australiana che sta trasportando merci da Brisbane a Londra, non sarebbe pensabile che di questi migranti se ne dovesse fare carico l’Australia.
Non sarebbe infatti legittimo che le domande di asilo venissero esaminate a bordo della nave, come chiarito dal caso Hirsi, e non sarebbe legittimo trattenere dei potenziali rifugiati su una nave per le settimane necessarie a compiere il percorso fino all’Australia. Dovrebbero comunque essere sbarcati nel porto sicuro più vicino al luogo di salvataggio. Qui verrebbero poi esaminate le richieste di asilo.
Conclusione
L’Olanda, in quanto Paese di bandiera della nave Sea Watch, non ha nessuna obbligazione giuridica ad accogliere i migranti salvati in mare e a esaminarne le richieste di asilo. Il fatto che la nave stessa sia un’estensione del territorio olandese non è infatti rilevante ai fini del Regolamento di Dublino, che individua il Paese dove devono essere compiuti gli accertamenti necessari per stabilire chi abbia o no il diritto alla protezione internazionale.
In base al diritto internazionale del mare, al diritto internazionale sui rifugiati e al Regolamento di Dublino, i migranti salvati nel Mediterraneo – da navi Ong, vascelli militari o mercantili, non cambia – devono essere accompagnati e sbarcati nel porto sicuro più vicino (per i barconi partiti dalla costa libica, spesso si tratta dell’Italia). Solo successivamente il Paese di sbarco sarà chiamato a esaminare le domande di asilo.
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