Il 7 novembre 2019, secondo fonti stampa, il Tribunale di Imperia ha assolto dall’accusa di apologia del fascismo due persone – tra cui un ex assessore comunale ed esponente di Forza Nuova – per aver fatto nel 2015 il saluto romano, gridando: «Presente!», durante una celebrazione in memoria dei caduti della Repubblica sociale italiana nel cimitero di Sanremo.
Una decisione simile è arrivata quest’anno, il primo maggio, da parte del Tribunale di Milano, che aveva assolto quattro militanti del gruppo di estrema destra Lealtà Azione accusati di apologia del fascismo durante una commemorazione al Cimitero maggiore di Milano.
Pochi giorni dopo, il 16 maggio, la Cassazione aveva invece confermato la condanna a un avvocato, per aver fatto nel 2013 il saluto romano durante una riunione del Consiglio comunale di Milano.
Ma che cosa dice la legge in materia? Quand’è reato, o meno, fare il saluto fascista? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.
La legge Scelba del 1952
Come ha spiegato a maggio 2019 l’ex presidente della Corte di Cassazione Carlo Brusco, in un articolo sulla rivista di settore Questione Giustizia, quando si parla di disciplina normativa di contrasto al fascismo, la prima fonte «ha rango costituzionale e riguarda in particolare la ricostituzione del disciolto partito fascista».
La disposizione numero 12 delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione – che hanno gestito il passaggio all’ordinamento repubblicano – dice infatti che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».
Nel 1952, in applicazione di questa disposizione, è stata approvata la cosiddetta “legge Scelba” (n. 645 del 20 giugno 1952) che all’articolo 1 chiarisce che cosa si intende per «riorganizzazione del disciolto partito fascista».
Questo si ha, stabilisce la norma, quando «una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista».
L’articolo 2 stabilisce le sanzioni penali per chi viene condannato per questo reato, mentre l’articolo 4 norma il reato di «apologia di fascismo», che si ha quando chiunque – al di fuori di quanto previsto dall’articolo 1 – «pubblicamente esalta esponenti, principii, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista».
Sembrerebbe dunque che il saluto romano rientri in questa categoria di comportamenti, ma come vedremo tra poco le cose sono più articolate di così.
La legge Mancino del 1993
La seconda legge a occuparsi, sebbene indirettamente, della punibilità delle esternazioni e delle manifestazioni di stampo fascista è la cosiddetta “legge Mancino” (n. 205 del 25 giugno 1993).
Questo provvedimento ha introdotto una serie di norme per contrastare la discriminazione razziale, etnica e religiosa, attuando i principi della convenzione di New York del 1966 contro la discriminazione razziale.
Come ha spiegato l’ex magistrato Brusco nel suo approfondimento, la legge Mancino ha l’obiettivo di punire chi diffonde idee basate sull’odio e la superiorità razziale, chi istiga a commettere discriminazioni e chi crea (o partecipa a) organizzazioni che si fondano su questi valori e comportamenti.
Dato che in alcune occasioni gli individui e le organizzazioni di stampo fascista propagandano l’odio e la superiorità razziale, i giudici devono decidere quale delle due leggi applicare.
Sulla base di questo possibile elemento di incertezza, sono arrivate negli anni alcune sentenze delle varie corti che hanno giudicato in maniera diversa episodi apparentemente simili.
Le decisioni della Corte costituzionale
Con due sentenze arrivate tra il 1957 e il 1958, la Corte Costituzionale ha escluso che con apologia di fascismo si possa intendere qualsiasi difesa elogiativa di questa ideologia (per esempio, fare il saluto fascista).
Al contrario, la Corte ha ritenuto classificabile come apologia di fascismo solamente «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista» o quelle manifestazioni che sono idonee a «creare un effettivo pericolo» di riorganizzazione.
Proprio per questo motivo esiste in Italia un partito come il “Movimento fascismo e libertà-Partito socialista nazionale” (Mfl-Psn) che, come si legge sul suo sito ufficiale, si definisce «dichiaratamente Fascista».
È lo stesso Mfl-Psn a spiegare perché le sue attività non sono perseguibili dalla legge, giustificando il proprio orientamento politico, e la libertà di poterlo manifestare pubblicamente, perché non ha intenzione di «riorganizzare il disciolto Partito fascista».
Fatti simili, giudizi diversi
Non tutte le esternazioni fasciste, in quanto tali, possono dunque essere punite dalla legge, ma è compito dei giudici stabilire di volta in volta quali di questi episodi avvengano in violazione della legge.
Per esempio, la condanna all’avvocato che aveva fatto il saluto fascista durante un Consiglio comunale di Milano confermata dalla Cassazione a maggio 2019, riportano fonti stampa citando la Corte, è dovuta al fatto che «la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista» (per di più, in un contesto istituzionale).
Discorso diverso vale per l’altra sentenza, citata nell’introduzione, che ha riguardato l’assoluzione di quattro membri di Lealtà e Azione, e una sentenza simile, che a febbraio 2019 ha visto il Tribunale di Milano assolvere alcuni manifestanti di estrema destra, accusati di apologia del fascismo durante una commemorazione.
«Benché sia indubbio che sia stato posto in essere un gesto avente una precisa simbologia fascista (ossia il saluto romano) [...] – si legge nel testo della sentenza di febbraio – le circostanze concrete tuttavia portano ad escludere che tale gesto si sia verificato in ambiti tali da determinare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista».
Conclusione
Periodicamente tornano al centro del dibattito pubblico sentenze di tribunali che assolvono, o condannano, persone che fanno il saluto fascista in luoghi pubblici.
Il 7 novembre, secondo fonti stampa, il Tribunale di Imperia ha assolto dall’accusa di apologia del fascismo due persone che nel 2015 hanno fatto il saluto romano durante una celebrazione in memoria dei caduti della Repubblica sociale italiana.
Come abbiamo visto, i verdetti diversi dei giudizi si basano sull’applicazione delle due leggi Scelba e Mancino, che rispettivamente puniscono l’apologia di fascismo e l’incitamento all’odio e alla violenza. Entrambe queste casistiche, però, non so così chiare come potrebbero sembrare a prima vista.
In sostanza, le interpretazioni più diffuse negli ultimi anni sulla normativa vigente stabiliscono che non è reato fare un saluto fascista se non c’è il pericolo di riorganizzazione di un nuovo partito fascista o del perseguimento di finalità antidemocratiche e discriminatorie.