La revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi) è da tempo al centro del dibattito politico. Il M5s la chiede da più di un anno, in seguito al crollo del ponte Morandi di Genova (avvenuto il 14 agosto 2018). Alcune ricostruzioni giornalistiche recenti hanno riportato come anche il Pd abbia iniziato a prendere in considerazione questa ipotesi.
Aspi è la società responsabile della gestione del tratto di autostrada in cui si trovava il ponte crollato ed è controllata dal gruppo Atlantia, una società per azioni il cui pacchetto di maggioranza relativa è nelle mani della famiglia Benetton.
Ma è possibile revocare le concessioni autostradali? E a quale prezzo? Andiamo a vedere i dettagli.
La procedura di revoca
La concessione è un atto amministrativo, in particolare un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto, con cui la pubblica amministrazione consente a un concessionario l’uso di risorse oppure l’esercizio di un’attività. Nel caso di Aspi si tratta di una “concessione di servizi”(art. 3 del codice dei contratti pubblici).
La concessione può essere revocata, in base all’art. 176 del codice dei contratti pubblici, per diversi motivi: «per inadempimento dell'amministrazione aggiudicatrice o [...] per motivi di pubblico interesse» oppure «per inadempimento del concessionario».
Nel secondo caso si applica l’art. 1453 del codice civile, secondo cui l’inadempimento deve essere accertato dalla magistratura. Se viene accertato, allora l’amministrazione aggiudicatrice (nel caso di Autostrade per l’Italia, lo Stato) può revocare la concessione al concessionario (Aspi) senza dover pagare penali. Anzi, lo Stato può anche chiedere il risarcimento del danno.
Se invece lo Stato decide di revocare senza attendere il responso dei giudici, o andando contro una sentenza che non dichiari l’inadempimento del concessionario, a quel punto è costretto a risarcire i costi sostenuti, pagare lui le eventuali penali e indennizzare il mancato guadagno.
Di quanti soldi stiamo parlando
La convenzione tra Stato e Aspi – scaricabile qui dal sito del Ministero dei Trasporti (Mit) – dà qualche altro dettaglio sulle condizioni di revoca della concessione che, entrata in vigore nella sua forma attuale nel 2008 (l. 101/2008, art. 8 duodecies), scadrebbe normalmente nel 2038 (nel 2018 la scadenza è stata prorogata, con il via libera della Ue, al 2042).
In base alla convenzione, in caso di revoca – anche se questa dipendesse dal grave inadempimento del concessionario – lo Stato sarebbe comunque tenuto a pagare ad Aspi i ricavi “prevedibili” fino alla scadenza del contratto, al netto delle varie spese e di alcune correzioni (artt. 9 e 9bis).
In caso di grave inadempimento accertato dai giudici, Aspi dovrebbe pagare una penale allo Stato pari al 10 per cento dell’indennizzo ricevuto. In sostanza, nella condizione più sfavorevole per Autostrade per l’Italia la convenzione prevede comunque che lo Stato dia ad Aspi circa il 90 per cento dei guadagni che avrebbe avuto, al netto delle varie spese, fino al 2038.
Di quanti soldi stiamo parlando? Secondo una stima riportata da Il Sole 24 Ore – basata sulla moltiplicazione del ricavo di gestione annuo di Aspi per i 19 anni di vita residua della concessione – se lo Stato italiano volesse procedere con la revoca, in base alla convenzione dovrebbe pagare ad Aspi una cifra che oscilla tra i 15 e i 20 miliardi di euro: l’equivalente di due o tre anni di finanziamento del reddito di cittadinanza.
La penale che invece dovrebbe pagare Aspi di conseguenza sarebbe pari a 1,5-2 miliardi di euro.
Insomma, in base alla convenzione stipulata procedere con la revoca della concessione sarebbe molto oneroso per le casse dello Stato, sia nel caso che i giudici trovino un grave inadempimento da parte di Aspi sia nel caso contrario.
Le incognite giudiziarie
A fine giugno 2019, quando era in carica il precedente governo e il precedente ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, acceso sostenitore della necessità della revoca della concessione, non risultava aperta nessuna procedura per ottenerla.
Nella relazione semestrale di Atlantia del 30 giugno 2019, infatti, si legge che «anche sulla base di pareri resi da autorevoli professionisti», le «comunicazioni» da parte dello Stato «non possano qualificarsi come il primo atto del procedimento di decadenza».
Dalla stessa relazione risulta però che lo Stato (e in particolare il Mit) abbia ipotizzato, in una nota del 5 aprile 2019, la nullità dell’art. 9-bis della convenzione, proprio quello che prevede esplicitamente che «il concessionario avrà diritto [...] ad un indennizzo/risarcimento a carico del concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione».
Di conseguenza Aspi il 4 giugno 2019 ha aperto un contenzioso «a fini puramente cautelativi», cioè per evitare che passi oggi un’interpretazione della convenzione che potrebbe avere conseguenze negative domani, davanti al Tar del Lazio.
Il 28 giugno 2019 i giuristi interpellati del Mit avevano ribadito di nuovo, in un proprio parere, che la clausola contenuta nell’art. 9-bis della convenzione sia nulla, in quanto non distingue tra la revoca per colpa (anche grave) del concessionario e la revoca per altri motivi, come invece fa il codice degli appalti pubblici (art. 176).
Se i giudici amministrativi – che ad oggi risulta non abbiano ancora preso una decisione – dessero ragione al Mit, ci sarebbe forse la possibilità di una revoca senza l’indennizzo miliardario di cui si è parlato. Se invece dessero ragione ad Aspi, il problema dei costi per lo Stato in caso di revoca rimarrebbe.
Nel programma di governo tra Pd e M5s, in ogni caso, non si parla di “revoca” ma di “revisione” delle concessioni autostradali. Una rinegoziazione, insomma, con Aspi dei termini della concessione che eviti il contenzioso e il risarcimento miliardario.
Conclusione
È teoricamente possibile per lo Stato revocare la concessione ad Aspi, la società che gestisce numerose tratte autostradali in Italia, tra cui il tratto di A10 su cui si trovava il ponte Morandi. Ma ad oggi non risulta che questa procedura di revoca sia stata avviata.
Questo probabilmente dipende dal fatto che, in base alla convenzione tra Stato e Aspi, se anche i giudici stabiliscono che la revoca avviene in seguito a gravi inadempimenti da parte del concessionario, lo Stato italiano sarebbe tenuto a pagare una somma ingente di denaro (stimata in 15-20 miliardi di euro) solo in minima parte bilanciata dalla penale che dovrebbe pagare Aspi (1,5-2 miliardi).
Questo aspetto della convenzione è però oggetto di un contenzioso giudiziario tra lo Stato, che ne sostiene la nullità, e Aspi. Se i giudici del Tar del Lazio dessero ragione allo Stato, si aprirebbe uno spiraglio per l’ipotesi della revoca. Altrimenti i costi elevati dell’operazione rendono questa strada molto difficile da percorrere.
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