Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di un referendum come strumento per decidere, una volta per tutte, il destino della Tav.
L’11 marzo la società Tunnel Euralpin Lyon-Turin (Telt) – responsabile della realizzazione della sezione transfrontaliera della Tav – ha comunicato di avere avviato le procedure di gara relative ai lavori per il tunnel di base sul lato francese, per un importo stimato di 2,3 miliardi di euro.
Telt ha specificato che «gli avvisi di avvio delle gare contengono l’esplicitazione della facoltà di interrompere senza obblighi e oneri la procedura in ogni sua fase». Ciò era già previsto dalla legge francese in materia, ma è stata considerata una sorta di “vittoria” dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
In sostanza, l’esecutivo a guida Lega-M5s ha preso ancora tempo sulla decisione di realizzare la linea ferroviaria tra Torino e Lione, per ridiscuterne i termini con la Francia.
La nuova scadenza è tra sei mesi, quando Telt dovrà inviare i capitolati dei lavori alle aziende vincitrici. Entro quella data la società si è impegnata «a verificare le volontà dei due governi al termine della selezione delle candidature» di proseguire con il progetto.
Referendum sì, referendum no
In questa situazione, il fronte dei favorevoli ha rispolverato lo strumento del referendum.
Il 12 marzo, infatti, il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino (Partito democratico) – apertamente a favore della Tav – ha inviato una lettera al ministro dell’Interno Matteo Salvini per verificare la possibilità di tenere una «consultazione popolare» sulla Tav il 26 maggio prossimo. Salvini è stato interpellato perché il suo dicastero è il responsabile dello svolgimento delle consultazioni elettorali.
Lo stesso giorno, il presidente del Consiglio Conte ha dichiarato che non è previsto un referendum per la Torino-Lione perché «non ci sono gli strumenti giuridici: se qualcuno li dovesse introdurre ben vengano, ma non è all’ordine del giorno».
Anche lo stesso Salvini si è espresso sulla vicenda, dicendo che un referendum «si potrebbe fare cambiando la Costituzione, cosa che sono dispostissimo a fare perché io i referendum li adoro. Magari, se Chiamparino vuole, lo dice ai suoi amici del Pd a Roma e partiamo con una legge costituzionale per fare un referendum consultivo come si fece ai tempi sull'Europa».
Ma che cosa chiede davvero il Piemonte? Un referendum sulla Tav si può davvero fare o bisogna modificare la Costituzione? Abbiamo verificato.
In breve: un conto è un referendum legalmente vincolante che metta fine al progetto della Tav, che quasi certamente non si può fare a causa della Costituzione; un altro è un voto popolare, con valore consultivo, magari da tenersi solo in Piemonte.
Che cosa prevede la Costituzione
L’idea di tenere un referendum sulla Tav non è una novità.
Nel 2007, l’allora consigliere della Regione Piemonte Angelo Burzi (Forza Italia) aveva proposto la deliberazione di una consultazione popolare «sulla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione», che poi non si era concretizzata. Il quesito proposto era il seguente: «Siete favorevoli alla realizzazione del tratto ferroviario ad alta velocità Torino-Lione (Tav) come parte del corridoio 5?».
Nel 2008, invece, la presidenza del Consiglio dei ministri – all’epoca presieduta da Romano Prodi – aveva rilasciato una nota in cui ribadiva l’impegno a «un coinvolgimento diretto dei cittadini» sulle nuove modifiche al tracciato della Torino-Lione. Una dichiarazione che secondo alcuni quotidiani si sarebbe tradotta in un referendum popolare sull’opera.
Nel 2015, lo stesso Salvini – in una visita al comune di Giaveno, in Val Sangone, in Piemonte – si era espresso a favore di un referendum sulla Tav: «Io sono sempre perché decidano i cittadini. Qualora fossi io al governo ci sarebbero dei referendum perché fossero i cittadini a decidere, sempre e comunque».
Ma vediamo che cosa dice la Costituzione in merito.
Referendum abrogativo
La Costituzione prevede referendum popolari per «l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali» (art. 75). Sono escluse da questa consultazione, tra le altre, le leggi di «autorizzazione a ratificare trattati internazionali».
Diverse leggi che coinvolgono la Tav rientrano in questa ipotesi (come anche rientrava l’uscita dell’Italia dall’euro, per esempio). La realizzazione della linea Torino-Lione è infatti caratterizzata da numerosi accordi internazionali, siglati tra Italia e Francia, che, prevedendo tra le altre cose «oneri alle finanze» dello Stato, sono dovuti passare anche per il voto del Parlamento.
Per esempio, a fine 2016, Camera e Senato hanno approvato una legge sulla ratifica e l’esecuzione dell’accordo tra governo italiano e quello francese siglato a Parigi nel 2015 (e integrato con un protocollo firmato a Venezia nel 2016) per l’avvio definitivo dei lavori della sezione transfrontaliera della Tav.
Ma non è questa la modifica della Costituzione di cui parla Salvini.
Referendum d’indirizzo
In teoria, sulla Tav sarebbe possibile tenere un cosiddetto “referendum di indirizzo”: una consultazione non vincolante per il governo, che non è presente nel testo della Costituzione e ha un unico precedente, quello citato dal ministro dell’Interno quando parla di un «referendum consultivo come si fece ai tempi sull'Europa».
Nel 1989, infatti, il Parlamento ha approvato una legge costituzionale ad hoc (n. 2 del 3 aprile 1989) per dare la possibilità – una volta sola – di organizzare un referendum di fatto consultivo sul tema della trasformazione delle Comunità europee in una Unione a tutti gli effetti. Il 18 giugno 1989, i “Sì” all’evoluzione europeista vinsero con oltre l’88 per cento dei voti, con un’affluenza dell’80 per cento degli aventi diritto di voto.
La stessa Costituzione (art. 138) specifica il procedimento che deve essere attuato per introdurre una legge di questo tipo: il procedimento è lo stesso che per modificare la Costituzione. Prevede due successivi voti da parte di ciascuna Camera, in un intervallo non minore di tre mesi. Per scongiurare un altro referendum popolare di conferma, poi, la legge deve stata approvata a maggioranza di due terzi nella seconda votazione da ciascuna delle Camere.
In sostanza, se in entrambe le Camere ci fosse ampia volontà di introdurre questa forma di referendum consultivo (come avvenuto nel 1989, in cui la legge fu approvata all’unanimità dal Parlamento), questo scenario sarebbe percorribile senza passare a propria volta da un referendum popolare che ne confermi la validità.
Che cosa chiede il Piemonte
Questa è la situazione per i referendum nazionali. In realtà, come ha chiarito Chiamparino in una conferenza stampa del 12 marzo, la Regione Piemonte chiede una cosa diversa.
Come spiegato dallo stesso Chiamparino nel Consiglio regionale del 26 febbraio, la richiesta è di una «consultazione popolare», uno strumento previsto dallo Statuto della Regione Piemonte. Già il 26 febbraio il Consiglio regionale aveva approvato una mozione di sostegno all’iniziativa (con voto contrario del M5s).
Lo Statuto della Regione Piemonte, infatti, dice che «la Regione può deliberare la consultazione di particolari categorie o settori della popolazione su provvedimenti di loro interesse» (art. 86). Una disposizione di carattere molto generale, diversa da quella prevista dall’articolo 83 dello Statuto, che norma l’istituto del “referendum consultivo” nella Regione su «iniziative legislative o determinati provvedimenti amministrativi».
La richiesta di Chiamparino (criticata dal M5s) al Ministero dell’Interno è dunque quella di accorpare una consultazione popolare sulla Tav alle elezioni regionali che si terranno in Piemonte il 26 maggio.
Lo stesso Chiamparino ha specificato che se questo non sarà possibile, «di sicuro non faremo una consultazione popolare in altra data, non faremo spendere 15 milioni ai piemontesi».
Il quesito, secondo il presidente della Regione Piemonte, potrebbe essere il seguente (min. 00:30): «Vuoi che i lavori che si sono già avviati per la linea ad alta velocità Torino-Lione, parte del Corridoio Mediterraneo europeo, siano continuati oppure no?».
La questione costituzionale
Sulla costituzionalità di un quesito simile per una consultazione popolare potrebbe però esprimersi la Corte costituzionale, su richiesta dello Stato italiano, come già accaduto in passato con alcuni referendum consultivi di altre Regioni.
Nel 2017, per esempio, la Corte ha giudicato incostituzionale il quesito referendario proposto dalla Regione Veneto (con la legge n. 16 del 2015) e che chiedeva agli elettori di esprimersi sull’indipendenza.
In questo caso, la Tav riguarda i rapporti di politica estera tra l’Italia e un Paese straniero, ossia la Francia, e l’Unione europea. E in alcuni precedenti che riguardavano questo ambito, la prassi della Corte costituzionale è stata restrittiva.
«Basti ricordare la notissima sent. n. 256 del 1989, che ha stabilito l’incostituzionalità delle leggi regionali che prevedono referendum consultivi capaci di condizionare le scelte (statali) di politica estera», ha spiegato l’attuale presidente dell’Associazione costituzionalisti italiani Massimo Luciani, in una pubblicazione del 2006. «In questo modo il referendum consultivo, alla fin fine, è stato ridotto alle sole questioni di rilevanza strettamente regionale, con conseguenze piuttosto prevedibili quanto alla residuale capacità dell’istituto di suscitare l’interesse della politica».
Dal punto di vista formale, la consultazione popolare evocata da Chiamparino è cosa diversa da un referendum consultivo (anch’esso previsto dallo Statuto della Regione Piemonte). Ma in ogni caso il Consiglio regionale dovrebbe votare una delibera per approvare la consultazione e il governo potrebbe, probabilmente, opporsi in qualche modo a questa scelta di fronte alla Corte costituzionale.
Perché solo il Piemonte?
La consultazione popolare promossa da Chiamparino – che, ricordiamo, avrebbe solo un ruolo consultivo e limitato al Piemonte – subisce alcune obiezioni avanzate anche dai favorevoli all’opera.
Nel 2008, per esempio, l’allora presidente dell’Osservatorio del governo per la Torino-Lione Mario Virano – oggi direttore generale di Telt – aveva mostrato i propri dubbi: quello principale era stabilire quale popolazione si debba coinvolgere in un ipotetico referendum.
Quale territorio bisogna considerare come riferimento fisico (nazionale o regionale) per un progetto come la Tav?
Anche altre regioni potrebbero voler tenere consultazioni simili, che sono previste ad esempio dallo statuto lombardo ma anche delle regioni del Sud Italia (come la Puglia). Queste ultime potrebbero sentirsi chiamate in causa per la rilevanza nazionale dell’opera ferroviaria in questione.
Insomma, dalla richiesta di tenere un referendum solo in Piemonte potrebbero seguire altre richieste di consultazioni locali da parte di altre Regioni italiane.
Conclusione
Con l’avvio delle procedure di gara per la realizzazione del tunnel di base della Tav, si è tornato a parlare di referendum.
Da un lato, la Costituzione italiana non permette di organizzare un referendum vincolante per abrogare la legge che regola gli accordi internazionali tra Italia e Francia relativi alla Torino-Lione, ma dall’altro lato lascia aperta l’eventualità che si possa svolgere un referendum consultivo (tramite approvazione di una legge costituzionale ad hoc), come avvenuto nel 1989.
Questa legge non modificherebbe la Costituzione e richiederebbe con ogni probabilità diversi mesi per essere approvata. In generale, permetterebbe solo di avere un’opinione non vincolante della popolazione italiana sulla realizzazione della nuova linea ferroviaria.
Un esito simile, ma ristretto alla popolazione piemontese, si avrebbe anche nel caso in cui la Regione Piemonte – sulla base del suo Statuto – tenesse una consultazione popolare solo tra i suoi cittadini.
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