Dopo la vittoria dei conservatori e di Boris Johnson, sostenitore della Brexit, alle ultime elezioni britanniche è tornato di attualità il tema dell’indipendenza della Scozia. Diverse elezioni hanno dimostrato infatti che una maggioranza degli scozzesi (il 62 per cento al referendum sulla Brexit) non vede di buon occhio l’abbandono della Ue.
Che cosa può succedere adesso dunque? E come si è creata la situazione attuale?
Le ultime elezioni
Il Partito Conservatore guidato da Boris Johnson ha ampiamente vinto le elezioni britanniche del 12 dicembre, aggiudicandosi 365 seggi su 650, ben più della maggioranza assoluta della Camera dei Comuni. Di conseguenza è praticamente certo che il nuovo Parlamento approverà l’accordo sulla Brexit mediato da Johnson con la Ue il 17 ottobre (ne avevamo scritto qui) e bocciato, di fatto, dal precedente Parlamento il 22 dello stesso mese.
Tuttavia in Scozia il partito nazionalista scozzese (Scottish National Party, Snp), fortemente contrario alla Brexit e dichiaratamente a favore dell’indipendenza dal Regno Unito in caso di uscita dalla Ue, ha vinto nelle ultime elezioni 48 seggi sui 59 in palio (degli 11 restanti 6 sono andati ai conservatori, favorevoli alla Brexit, 4 ai liberali e uno ai laburisti).
La leader del Snp, Nicola Sturgeon, ha ribadito alla luce dei risultati elettorali di voler chiedere un referendum sull’indipendenza, e che la Scozia non vuole abbandonare la Ue (cosa già chiara dai risultati del referendum sulla Brexit). Boris Johnson ha replicato di non voler concedere questo referendum e di voler preservare l’integrità del Regno Unito, ma alle sue parole ha ulteriormente risposto Sturgeon, sottolineando la sconfitta dei conservatori in Scozia e il diritto del popolo scozzese di esprimersi in un secondo referendum.
Ma quando si era tenuto il primo?
Il precedente del 2014
La Scozia, che non è più indipendente dall’Inghilterra dal 1707, ha già tentato la strada dell’indipendenza via referendum il 18 settembre 2014: allora i “no” vinsero col 55 per cento dei voti. Secondo i conservatori, quell’esito sarebbe valido anche oggi, mentre secondo gli indipendentisti la Brexit avrebbe completamente cambiato le carte in tavola.
Ora si parla, quindi, di un “secondo referendum” (Indyref2) per l’indipendenza, un tema di cui comunque Johnson e Sturgeon – da posizioni diverse – stanno discutendo.
Si vedrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi come evolverà la situazione, ma quali sarebbero in teoria i passaggi necessari perché la Scozia ottenga l’indipendenza dal resto del Regno Unito? E quali perché possa tornare a far parte dell’Unione europea?
Come chiedere un secondo referendum
Lo Scotland Act del 1998 è l’atto legislativo del Parlamento britannico con cui vengono devolute al Parlamento scozzese (detto “Holyrood” dalla zona di Edimburgo in cui si trova) le competenze in determinate materie. In base ad esso (Schedule 5) Holyrood non può approvare leggi nelle materie riservate alla competenza esclusiva del Parlamento britannico, tra cui proprio l’unione dei regni di Scozia e Inghilterra.
Quindi, secondo quanto riporta l’autorevole think tank britannico Institute for Government, l’interpretazione maggioritaria – ma ancora mai testata in nessuna corte del Regno Unito – è che qualsiasi referendum sull’indipendenza scozzese debba avere il via libera dalla Camera dei Comuni britannica.
Per il referendum del 2014 si è proceduto in questo modo: nel 2012 è stato approvato dalla Camera dei Comuni l’Edinburgh Agreement, che dava temporaneamente a Holyrood la competenza per indire un referendum sull’indipendenza.
Se il “no” del governo conservatore britannico a concedere un secondo referendum dovesse perdurare, sarebbe teoricamente possibile per la Scozia agire unilateralmente e sperare che la Corte Suprema smentisca l’interpretazione maggioritaria dello Scotland Act, garantendo validità alla consultazione.
Ad oggi, comunque, la leader del Snp Nicola Sturgeon ha dichiarato di voler procedere nella direzione di un referendum sicuramente legale – e quindi concesso da Westminster e poi approvato da Holyrood.
Nel Parlamento scozzese, che conta 129 membri, ad oggi i nazionalisti del Snp hanno 62 seggi ma, contando anche i Verdi scozzesi a loro volta favorevoli all’indipendenza, gli indipendentisti risultano in lieve maggioranza (68 su 129, tre più della maggioranza). Le prossime elezioni in Scozia sono previste per il 2021 ma non è ancora chiaro se un eventuale referendum si potrebbe tenere prima o dopo tale consultazione. Tutto dipende dalla possibilità di trovare un accordo, e quale, con il governo britannico.
Ma, nell’ipotesi in cui un referendum per l’indipendenza venga concesso da Westminster, approvato da Holyrood e poi vinto dai “sì”, come potrebbe la Scozia rientrare nell’Unione europea?
Il ritorno della Scozia nella Ue
Ad oggi, nella storia della Ue, non è mai successo che un Paese uscisse dall’Unione. Dunque, a maggior ragione, non si è mai verificata l’eventualità che un Paese nato dalla scissione di uno Stato uscito dalla Ue chieda di essere riammesso. Qualsiasi previsione in proposito è quindi inevitabilmente caratterizzata da un ampio margine di incertezza.
Gli Stati membri dell’Ue possono infatti sempre modificare i Trattati – all’unanimità – e cambiare le regole stabilite.
In base a quanto era emerso in vista del referendum indipendentista scozzese del 2014, tuttavia, sembrerebbe che l’Unione europea sia orientata a considerare un’eventuale Scozia indipendente come uno “Stato terzo”, che quindi dovrebbe fare richiesta di ammissione (in base all’art. 49 Tue) alla pari di qualsiasi altro Stato non membro dell’Ue che voglia entrare a farne parte.
Per la sua ammissione sarebbero quindi necessari l’approvazione all’unanimità di tutti gli Stati della Ue (sia dei governi che dei parlamenti), il via libera della Commissione e del Parlamento europeo, e dei negoziati dedicati. Durante questi si dovrebbe poi capire a che condizioni la Scozia entrerebbe nella Ue, con quale valuta in particolare, se con l’euro o con una nuova valuta autonoma.
La precedente partecipazione della Scozia, in quanto parte del Regno Unito, alla Ue dovrebbe ovviamente facilitare i negoziati, considerato che già oggi la legislazione scozzese è allineata a quella comunitaria, ma la durata dell’intero processo è comunque imprevedibile.
Conclusione
Dopo la vittoria di Johnson nelle ultime elezioni britanniche si è tornato a parlare della possibilità che la Scozia chieda l’indipendenza via referendum.
Per ottenere la possibilità di indire il referendum, il Parlamento scozzese deve però probabilmente avere il via libera dal Parlamento britannico e i conservatori guidati da Johnson – che sono in maggioranza a Westminster – non sembrano per ora intenzionati a concederlo.
È teoricamente possibile che anche un referendum indetto unilateralmente dalla Scozia abbia validità, ma ci sono seri dubbi interpretativi sulla questione e oltretutto la leader dei nazionalisti, Nicola Sturgeon, non sembra intenzionata a muoversi in questa direzione.
Se, in ogni caso, Sturgeon dovesse convincere Johnson a concedere un secondo referendum, questo venisse approvato dal Parlamento scozzese e poi i “sì” vincessero, per il ritorno della Scozia nella Ue si aprirebbe probabilmente un percorso lungo, uguale a quello che aspetta qualsiasi Stato non membro della Ue che voglia entrare nell’Unione.
Un eventuale regime di vantaggio per la Scozia, in considerazione della sua precedente appartenenza alla Ue, dovrebbe infatti essere prima approvato da tutti gli Stati dell’Unione.
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