L’economista e senatore del Pd Tommaso Nannicini ha scritto il 14 giugno sulla propria pagina Facebook: “Quando siamo arrivati al governo in Italia si spendevano 40 milioni in via sperimentale per il contrasto alla povertà; ce ne siamo andati lasciando quasi 3 miliardi strutturali (ogni anno e per sempre)”. Si tratta di un’affermazione sostanzialmente corretta.
La caotica spesa italiana
Facciamo una premessa necessaria: la spesa per contrastare la povertà, in senso lato, in Italia esiste da anni. Se prendiamo in considerazione pensioni sociali, servizi dei Comuni alle famiglie, detrazioni fiscali per familiari e molto altro, il totale, sparso in decine di misure differenti, ammonta a più di 70 miliardi.
Ma si tratta appunto di un sistema caotico e frammentato di versamenti, detrazioni e misure – qui spiegato bene dal Post – spesso criticato dagli esperti.
Nannicini non fa riferimento a questa spesa sociale, quanto alle misure di contrasto alla povertà in senso stretto.
La situazione nel 2013
Quando il centrosinistra è tornato al governo con Enrico Letta, nell’aprile 2013, esisteva già una misura di contrasto alla povertà, il Sostegno di Inclusione Attiva (SIA). Il SIA era a sua volta un’evoluzione della Carta acquisti ordinaria istituita nel 2008 col d.l. 112 (art. 81 co.32).
Si trattava di una misura di carattere sperimentale. Questo era chiaro fin dal momento della sua istituzione: il decreto legge n. 5 del 9 febbraio 2012 (art. 60) si stabiliva che “al fine di favorire la diffusione della carta acquisti […] tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno, anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla povertà assoluta, è avviata una sperimentazione nei comuni con più di 250.000 abitanti”.
Era anche “categoriale”, e cioè, come spiega un approfondimento della Camera dei deputati, era “rivolto esclusivamente ai nuclei familiari con minori in situazione di difficoltà”. Erano insomma stabiliti una serie di criteri (come la disoccupazione) per poter accedere al sussidio.
La misura era finanziata con 50 milioni di euro (art 60. Co.3 del d.l. 5/2012), dieci in più di quanto affermato da Nannicini, provenienti dal “Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche dei cittadini meno abbienti” (un fondo istituito nel 2008, per la Carta acquisti ordinaria precedente).
Il governo Letta, con la legge di stabilità per il 2014 (art. 1 co. 216) aumentò le risorse per il Fondo speciale, con 250 milioni per il solo 2014 e 120 milioni da spalmare nel triennio 2014-2016, con l’obbiettivo di estendere a poco a poco la misura sperimentale a tutto il territorio nazionale.
L’allargamento del SIA
Terminata la fase sperimentale nel 2015, il governo Renzi, con la legge di stabilità per il 2016 (commi 386-390 della legge 208/2015), ha disegnato una serie di interventi per il contrasto alla povertà in vista dell'introduzione di un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà.
In particolare è stato istituito il Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale (in sostituzione del precedente Fondo speciale), da cui le varie misure prendono le risorse necessarie. In attesa della definizione della misura unica di contrasto alla povertà, è poi stato esteso il SIA a tutto il territorio nazionale.
L’estensione è stata prevista dal decreto ministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali/Mef del 26 maggio e le risorse sono conseguentemente aumentate, per il 2016, a 737,325 milioni di euro. Le modalità di accesso al SIA per il 2017 sono state ulteriormente ampliate dal governo Gentiloni, con il decreto 16 marzo 2017.
Il Reddito di inclusione
A fine 2017, dunque col governo Gentiloni, la misura unica di contrasto alla povertà – dopo diversi passaggi legislativi - ha finalmente visto la luce. Con il d.lgs. 147 del 13 ottobre è stato istituito il Reddito di inclusione (REI), che dal primo gennaio 2018 ha sostituito il SIA.
Ma, alla sua nascita, il REI non era ancora universale. Erano infatti previsti una serie di requisiti familiari per poterne usufruire, come la presenza di un minorenne, di una persona disabile, di una donna in gravidanza, di un disoccupato ultra 55enne.
La legge di Bilancio per il 2018 ha previsto (art. 1 co. 192) la decadenza di questi requisiti dal primo luglio 2018, quando il REI diventerà così davvero universale.
Le risorse, come calcolato da un articolo del centro di ricerca “Secondo Welfare”, grazie alla legge di Bilancio 2018 “aumentano di i 300 milioni di euro nell'anno 2018, di 700 milioni di euro nell'anno 2019, di 783 milioni di euro nell'anno 2020 e di 755 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021”.
Complessivamente, la dotazione del fondo povertà arriva così a 2 miliardi di euro per il 2018, 2,5 miliardi per il 2019 e 2,75 miliardi annui a decorrere dal 2020.
Conclusione
Nannicini ha sostanzialmente ragione: quando si è insediato il governo Letta l’unica misura di contrasto alla povertà in vigore era il Sostegno di inclusione attiva (SIA), avviato in fase sperimentale solo nelle città con più di 250 mila abitanti e finanziato con 50 milioni di euro (non 40 milioni, come dice Nannicini).
La misura lasciata dal governo Gentiloni, il Reddito di inclusione (REI), è invece universale - dal primo luglio 2018 – e strutturale, cioè non ha una data di scadenza. È finanziata ad oggi con 2 miliardi di euro e a partire dal 2020 in poi con 2,75 miliardi all’anno, i “quasi 3 miliardi” citati da Nannicini.
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