Il senatore di Forza Italia ed ex ministro Maurizio Gasparri ha dichiarato il 24 febbraio che lo "spot governativo" sulle pensioni "contiene delle palesi bugie. Si dice che non ci saranno penalizzazioni per i cittadini mentre invece chi andrà in pensione con “quota 100” subirà un drastico taglio del proprio assegno per tutta la vita".
La dichiarazione è corretta o meno a seconda di che cosa si intende con “penalizzazione”. Capiamo meglio insieme qual è la situazione.
Lo spot del governo
La Presidenza del Consiglio ha presentato il 7 febbraio, sul proprio sito istituzionale, lo spot di cui parla Gasparri, insieme a uno dedicato al reddito di cittadinanza.
"La campagna - si legge - ha l'obiettivo di informare i cittadini, le imprese e l’opinione pubblica sulle opportunità offerte dalle nuove misure nonché sulle modalità e i tempi per la presentazione delle domande per beneficiarne". E ancora, "i due spot televisivi sono in corso di diffusione sulle reti Rai dal 5 febbraio 2019. La campagna durerà complessivamente trenta giorni".
L’audio della pubblicità istituzionale recita testualmente: "Dal 29 gennaio, se hai 62 anni e 38 di contributi puoi finalmente richiedere di andare in pensione, senza alcuna penalizzazione".
Anni di età e di contribuzione sono gli stessi riportati nel d.l. 4/2019 (artt. 14 e ss.) che ha introdotto la cosiddetta “quota 100”. La misura è “sperimentale” per il triennio 2019-2021.
Ma vediamo allora la parte sulla “penalizzazione”.
La “penalizzazione” in senso stretto
In senso stretto, con “penalizzazione” si intende una riduzione della pensione prevista esplicitamente dalla legge nel caso di determinate scelte del lavoratore. Ad esempio, la scelta di andare in pensione prima di aver sviluppato i requisiti standard viene di solito penalizzata.
Un esempio: la riforma Fornero (d.l. 201/2011 art. 24 co. 10, come modificato in sede di conversione dalla legge 214/2011), che conteneva una penalizzazione poi abolita dal governo Gentiloni con la legge di Bilancio per il 2017 (l. 232/2016 art. 1 co. 194).
In quel caso si prevedeva, per il lavoratore che decidesse di andare in pensione anticipatamente, una penalizzazione dell’1% sulla quota di trattamento che dipendeva dall’anzianità contributiva maturata prima del 2012 (se l’anticipo era contenuto nei due anni). La penalizzazione aumentava poi al 2% per ogni anno ulteriore di anticipo.
Intesa in questo senso, non è prevista una penalizzazione per chi approfitterà di “quota 100”.
Penalizzazione in senso lato
Se invece con “penalizzazione” intendiamo, più in generale, una riduzione dell’assegno pensionistico di chi decide di optare per quota 100, allora Gasparri ha ragione.
Il motivo è molto semplice: andando in pensione cinque anni prima del previsto, il lavoratore versa cinque anni in meno di contributi e di conseguenza il suo assegno pensionistico si riduce. Ma di quanto?
Le parole del presidente dell’Inps
Tito Boeri, presidente uscente dell’Inps, ha dato una prima stima il 17 ottobre 2018, nel corso di un’audizione alla Camera dei deputati (dal min. 45.25).
Secondo Boeri, un lavoratore con uno stipendio di 40 mila euro lordi all’anno - che fino al 2011 ha usufruito del metodo retributivo e dunque al 2018 ha solo 7 anni di contributi versati - che approfittasse di quota 100 subirebbe un taglio approssimativo di circa 500 euro al mese al proprio assegno pensionistico.
La previsione dell’Upb
L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), a novembre 2018, aveva sostenuto che "chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda [...] da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l’anticipo è di oltre 4 anni".
Dunque un “taglio” che oscillerebbe tra il 5 e il 30 per cento, secondo la stima dell’Upb di novembre.
Le simulazioni di Progetica
Infine, la società indipendente di consulenza Progetica - ha condotto delle simulazioni per conto del Corriere della Sera, pubblicate a metà gennaio.
Come spiega uno degli autori dello studio di Progetica: "Il parametro è quello della ricchezza pensionistica complessiva, cioè l’importo dell’assegno, moltiplicato per gli anni durante i quali lo si percepirà considerate le statistiche sull’aspettativa di vita. Il risultato è di una perdita di ricchezza pensionistica compresa tra l’11% e il 35%".
Per capire meglio facciamo un esempio. Se il lavoratore A va in pensione a 67 anni, e l’aspettativa di vita per ipotesi è di 80 anni, i suoi assegni pensionistici sommati di 13 anni avranno valore X.
Il lavoratore B, che è andato in pensione a 62 anni e che ha la stessa aspettativa di vita del lavoratore A, in 18 anni riceverà – secondo la simulazione – tra l’11 e il 35 per cento in meno di X.
Dunque con “quota cento” il numero maggiore di anni in cui si percepisce la pensione non basta a compensare la riduzione del valore della pensione stessa. Il singolo assegno risulterà quindi inferiore di più dell’11-35 per cento, se si considera che quella riduzione è già “normalizzata” col maggior numero di anni in cui si percepirà la pensione.
Tiriamo le fila
Un “taglio dell’assegno”, come afferma Gasparri, sembra che in molti casi ci sia. Quanto sia “drastico” dipende ovviamente dalla situazione singola del lavoratore, ma potendo arrivare fino a più di un terzo della pensione si può giudicare non infondata la dichiarazione del senatore forzista.
Conclusione
Se adottiamo una definizione limitata di “penalizzazione”, non è vero che lo spot governativo su “quota 100” contenga una bugia. Non è infatti prevista una decurtazione per legge dell’assegno di chi approfitterà di questa misura per andare in pensione in anticipo.
Vero però che, in concreto, chi sfrutterà quota 100 riceverà un assegno inferiore a quello che avrebbe percepito se avesse atteso di maturare i requisiti previsti dalla riforma Fornero. Questo perché il lavoratore avrà versato meno contributi. L’entità della riduzione varia molto a seconda della situazione soggettiva del lavoratore, ma secondo una stima potrebbe arrivare fino a un terzo della pensione.
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