Riproponiamo questo articolo, pubblicato il 22 maggio scorso, dove si calcolano i costi effettivi della rinuncia alla Tav alla luce delle rivelazioni che vorrebbero vicina una rinuncia del governo all'opera.
Nel testo definitivo dell’accordo di governo tra Lega e M5S, tra le altre cose, è scritto (punto 27): “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”.
Questa promessa ha scatenato le polemiche tra favorevoli e contrari all’opera. Uno degli aspetti su cui si è concentrato il dibattito è il costo, o comunque le conseguenze, dell’eventuale rinuncia italiana al progetto.
Sono previste penali o si possono prevedere le conseguenze di un atto simile? Vediamo di mettere in fila i fatti e le opinioni contrapposte.
Lo scontro
Il vicepresidente della regione Auvergne-Rhône-Alpes Etienne Blanc, intervistato dal Corriere della Sera, ha dichiarato che “viste le penali da pagare, per l’Italia sarebbe più costoso interrompere i lavori che proseguirli fino alla fine come concordato”.
Un’affermazione che riecheggia quanto già affermato da Paolo Foietta, Commissario straordinario del Governo per l'asse ferroviario Torino – Lione, pochi giorni prima.
Secondo Foietta, “sono già stati investiti oltre 1,4 miliardi in studi, progetti ed opere finanziati per metà dall’Unione Europea e al 25 per cento a testa tra Italia e Francia. L’Europa ha inoltre già assegnato una prima tranche di 813 milioni di euro di finanziamento, nell’ambito del programma Tent-T 2015-2019, per i lavori definitivi a finanziamento del 40 per cento dei costi sostenuti nel periodo. Il solo costo diretto complessivo da restituire a Ue e Francia risulterebbe senz'altro superiore a 2 miliardi”.
Stephane Guggino, delegato generale del comitato della Transalpine, che promuove la linea ad alta velocità Lione-Torino è dello stesso parere: “La Francia ha sbloccato dei crediti, l’Europa ha fatto altrettanto. Se si decide unilateralmente di sospendere il progetto, di chiudere il cantiere, ciò comporterebbe necessariamente la conseguenza che il Paese che si ritira rimborsi all’Europa e al suo partner francese le somme che hanno speso”.
Una versione, quella dei favorevoli all’opera, rigettata dai No TAV, che sul loro sito hanno pubblicato una nota dal titolo “Ma quali penali!”, in cui si sostiene che “Non ci possono in ogni caso essere penali, posto che non sono stati ancora nemmeno indetti gli appalti per far iniziare i lavori”, e dunque le affermazioni che pronosticano due miliardi di euro di penali sono “falsità”.
Proviamo a fare chiarezza
In base a quanto ci hanno riferito sia fonti della Commissione europea sia Paolo Beria - professore del Politecnico di Milano esperto di trasporti - pur nell’opacità (e complessità) dei dettagli che circondano la TAV, è vero - come sostengono i No-TAV - che non siano previste penali europee nel caso in cui l’Italia abbandoni il progetto.
Abbiamo allora contattato il dottor Foietta per avere ulteriori precisazioni. “Confermo che penali a livello europeo non ci dovrebbero essere, e del resto io non ho mai parlato di penali. Il punto è che se l’Italia uscisse unilateralmente dal progetto TAV gli altri attori istituzionali coinvolti, Unione europea e Francia, potrebbero rivalersi e chiedere il risarcimento dei costi sostenuti”.
“In particolare – prosegue Foietta – sono già stati spesi 1,4 miliardi di euro per le opere preliminari. Di questi oltre un miliardo provenivano dall’Unione europea (700 milioni circa) e dalla Francia (350 milioni circa). Se l’opera non venisse completata per una decisione dell’Italia, chi ha speso quei soldi per un’opera che poi non viene compiuta potrebbe chiederceli indietro”.
Oltre a questi eventuali risarcimenti, ci sarebbero altre cifre da restituire. “A questo miliardo circa possiamo poi aggiungere gli 813 milioni di finanziamento europeo per il 2014-2019, già stanziati, che l’Italia dovrebbe restituire e non potrebbe spendere – come alcuni dicono – per scuole, ospedali o altro. C’è infatti un chiaro vincolo di destinazione.”
Gli 813 milioni di fondi europei non sarebbero però una perdita secca. Come spiega il professor Beria, “si tratta di un co-finanziamento. Cioè oltre a quei soldi l’Italia dovrebbe spenderne altri, propri, per completare l’opera. Se l’opera viene ritenuta inutile, è vero che non ho i fondi europei per farla e dunque li devo restituire, ma non spendo nemmeno fondi italiani, e dunque di fatto ho un risparmio”.
C’è infine un terzo capitolo di spese a cui si dovrebbe far fronte, anche se qui i dettagli sono più incerti e gli esiti finali in parte arriverebbero dopo procedimenti giudiziari. Dice infatti il commissario Foietta: “Se consideriamo i costi per la chiusura dei cantieri esistenti e per la messa in sicurezza degli scavi, oltre a possibili contenziosi con le imprese che hanno già ottenuto l’incarico per i lavori, si arriva facilmente a più di due miliardi di euro”.
A questi costi diretti vanno aggiunti, conclude Foietta, “i costi indiretti, in termini di perdita di credibilità dell’Italia e di diventare il ‘missing ring’, l’anello mancante, di un progetto europeo che va dal Portogallo all’Ucraina”, che a detta del commissario “sono incalcolabili”.
I due miliardi sono insomma costituiti da “voci” con diverso grado di certezza: per metà rimborsi che l’Italia potrebbe dover dare a Francia e Ue per il mancato completamento di un’opera, e per metà scarsa finanziamenti già stanziati che andrebbero restituiti senza poterli spendere altrimenti. In questo secondo caso, però, non si tratterebbe di nuove spese, ma di somme che sono state assegnate all’Italia per un fine e dovranno essere ridate. Infine, ci sono altri costi connessi alla chiusura dei cantieri e ai possibili procedimenti legali intentati dalle imprese già coinvolte.
Conclusione
Non risultano “penali” in senso stretto per l’Italia nel caso in cui decida di uscire dal progetto TAV. Roma dovrebbe però restituire un finanziamento europeo di oltre 800 milioni di euro, che non potrebbe usare per altri scopi. In questo caso però non spenderebbe nemmeno i fondi italiani necessari, insieme a quelli europei, per il completamento dell’opera.
Il problema maggiore dunque è quello dei possibili risarcimenti che Francia e Unione europea potrebbero chiedere all’Italia se questa uscisse unilateralmente dalla TAV: un miliardo abbondante di euro, che questi due attori hanno già speso per le opere preliminari (senza contare i 350 milioni spesi dall’Italia, “inutilmente” a quel punto).
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