Il primo agosto, nel corso di una conferenza stampa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi ha dichiarato: "L’Istat, da quando ha iniziato a rilevare i dati nel 1977, ci dice che a giugno per la prima volta abbiamo avuto il 48,8% di occupazione femminile, cioè il dato più alto dal 1977 ad oggi. Sappiamo che c'è ancora molto da fare perché purtroppo siamo sotto la media europea per occupazione femminile".
E' record, ma dire che è solo merito del governo...
Boschi ha ragione: dalle serie storiche Istat (che partono dal 1977) risulta che il dato di giugno 2017, il 48,8%, sia il più alto mai registrato da che l’istituto di statistica raccoglie i dati (qui si possono consultare i dati mensili dal 2004 ad oggi, con il percorso “Lavoro e retribuzioni” - "Offerta di lavoro” - “Occupazione” - “Tasso di occupazione”).
Tuttavia, il governo non sembra del tutto giustificato nel darsi i meriti di questo record. Come fatto notare dall’analista economico Mario Seminerio su Phastidio.net, l’aumento dell’occupazione riguarda soprattutto la fascia di lavoratrici più anziane, tra i 55 e i 64 anni.
Cercando infatti nel database Istat (col percorso “Lavoro e retribuzioni” – “Offerta di lavoro” – “Occupazione” – “Occupati” – “”Occupati – livello ripartizionale”) risulta che negli ultimi 3 anni (dal primo trimestre 2014 al primo trimestre 2017) siamo passati da 1,379 milioni di lavoratrici a 1,674 milioni nella fascia d’età 55-64 anni. “Il 21% in più in soli tre anni”, scrive Seminerio.
Se invece guardiamo la classe delle lavoratrici più giovani, di età compresa tra i 25 e i 34 anni, negli ultimi 3 anni siamo passati da 1,810 milioni nel 2014 a 1,721 milioni nel 2017. Un calo del 5% circa. Anche senza tenere conto della demografia, è chiaro come l’aumento delle lavoratrici sia stato molto più marcato nella fascia d’età più anziana.
Dunque, senza entrare troppo nel dettaglio, la ragione del record attuale non sarebbe tanto merito delle politiche di questo governo – Jobs Act in testa – quanto piuttosto delle numerose riforme previdenziali (da Amato alla Fornero) che hanno innalzato la soglia di età per la pensione anche per le donne, aumentando “fisiologicamente” il numero di donne occupate.
In pensione alla stessa età
Fino a pochi anni fa, infatti, la legge prevedeva che le donne andassero in pensione prima degli uomini. Fu l’Unione Europea, con la Corte di Giustizia nel 2008 e nel 2010 anche per bocca della Commissione, a chiedere l’equiparazione poi portata a compimento – a livello previsionale - con la riforma Fornero del 2012.
Nel 2012 era solo “previsionale”, in quanto il processo di equiparazione si dovrebbe completare solo nel 2018: è infatti previsto che solo dal primo gennaio 2019 le lavoratrici raggiungano l’età pensionabile ai 66 anni e 7 mesi, come gli uomini.
Negli anni passati si è proceduto per “scalini” e il percorso è stato graduale. Per le dipendenti private, certifica l’Inps, si è passati a 62 anni nel 2012 e 62 anni e 3 mesi nel 2013, quindi a 63 anni e nove mesi nel 2014 e nel 2015, a 65 anni e 7 mesi nel 2016 e nel 2017. Dopo il 2018, quando si arriverà ai 66 anni e 7 mesi per tutti, il graduale innalzamento dell’età pensionabile (in base alle aspettative di vita), fino ai 70 anni nel 2050, varrà per uomini e donne indistintamente.
Per le lavoratrici autonome i gradini sono stati leggermente diversi, come risulta dal sito dell’Inps: dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2012 l’età pensionabile si è alzata a 63 anni e 6 mesi; dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013 a 63 anni e 9 mesi; dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2015 a 64 anni e 9 mesi; dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 a 66 anni e 1 mese, e dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 a 66 anni e 7 mesi.
Le lavoratrici del settore pubblico sono state quelle più duramente colpite dalla riforma, considerato che hanno visto già dal primo gennaio 2012 l’età pensionabile salire da 61 a 66 anni, in un unico “scalone”.
La media europea
Boschi ha ragione anche a proposito del fatto che l’Italia resta sotto la media europea. Guardando ai dati si può anzi dire che questo sia un eufemismo e che la nostra situazione sia lontanissima dalla media.
In base ai dati Eurostat relativi al 2016 (quando avevamo un tasso di occupazione femminile del 48,1%) siamo i penultimi in tutta l’Unione europea. Peggio di noi fa solo la Grecia, col 43,3%. Anche considerando l’aumento al 48,8%, non ci muoviamo dalla penultima posizione. Davanti a noi c’è Malta, col 52,6%.
La media della Ue a 28 Stati è del 61,4%, ben più di 10 punti sopra l’Italia.
Il record tra gli stati dell’Unione spetta alla Svezia, col 74,8%, seguita dalla Danimarca, al 72%.
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