Nelle ultime settimane, si sta parlando molto dei numerosi incendi che stanno coinvolgendo diverse regioni nel mondo. In un tweet dello scorso 12 agosto, l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (Omm) ha mostrato con un grafico interattivo che il fumo dei roghi in Siberia è arrivato a ricoprire una superficie di circa 5 milioni di chilometri quadrati. Un’area grande più dell’Europa e più della metà degli Stati Uniti.
Come ha registrato a luglio il Servizio di monitoraggio atmosferico Copernicus (Cams) dell’Ue, inoltre, da inizio giugno ci sono stati oltre cento incendi lungo le coste artiche, coinvolgendo non solo la Russia, ma anche l’Alaska, il Canada e la Groenlandia.
Negli stessi giorni, ha ricevuto molta attenzione la notizia secondo cui ci sarebbe un record di incendi in Amazzonia, mentre da sabato un violento incendio ha devastato l’isola di Gran Canaria, la seconda più grande dell’arcipelago spagnolo nell’Atlantico.
Ma c’è davvero un aumento degli incendi in giro per il mondo? Che cosa ci dicono queste notizie? Abbiamo verificato.
Attenzione ai numeri
Non è semplice monitorare un fenomeno come quello degli incendi. Esistono diverse agenzie e organizzazioni – come quelle già citate – che cercano di quantificare il numero di roghi in singole aree del pianeta, attraverso strumenti diversi, come le immagini satellitari e non solo.
I ricercatori si concentrano su una serie di parametri diversi, che vanno dalla superficie bruciata alle emissioni prodotte.
Come mostra un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Earth System Science Data, è complesso calcolare quanti incendi ci sono stati nel mondo in un anno. I ricercatori possono infatti costruire i loro modelli dando più rilevanza ai dati delle superfici bruciate, oppure su quelli delle emissioni rilevate nell’atmosfera.
Come ricorda il Global Fire Atlas, infatti, gli incendi sono una fonte significativa dei gas e dell’areosol atmosferico: le aree che di recente hanno visto un aumento della frequenza dei roghi di conseguenza hanno poi registrato anche maggior CO2 nell’aria.
Di conseguenza, a seconda della metodologia utilizzata, i numeri possono essere diversi. Sono necessari anni per avere stime precise sulla quantità di roghi effettivamente verificatasi.
Le immagini satellitari in tempo reale sono comunque un buon punto di partenza per quantificare il fenomeno. Per esempio, lo studio citato in precedenza (e pubblicato ad aprile 2019) raccoglie una mappatura mondiale degli incendi – con grandezza, durata e direzione – che va dal 2003 al 2016.
Quanti incendi nel 2019
Il Global Forest Watch Fires (Gfwf) del World Resources Institute (un’organizzazione di ricerca che opera in oltre 60 Paesi al mondo) ha elaborato da inizio anno i dati provenienti dai satelliti della Nasa (combinandoli con altri indicatori), per quantificare il numero di incendi registrati sul pianeta in tempo reale.
Come spiega Gfwf sul suo sito, le statistiche provengono da varie rilevazioni satellitari che mappano dallo spazio la localizzazione dei roghi attraverso le variazioni di temperatura causate dalle fiamme nella banda della radiazione infrarossa.
L’accuratezza di questo sistema è migliorato negli anni, grazie a nuovi algoritmi che cercano di eliminare fonti di disturbo come i riflessi della luce solare.
Da inizio anno a oggi, secondo il Gfwf, le osservazioni registrate dal Moderate-resolution Imaging Spectroradiometer (MODIS), qui consultabili anche dal sito della Nasa) avrebbero rilevato oltre 2 milioni e 910 mila “allerte incendio”. Nello stesso periodo del 2018, erano stati quasi 100 mila in meno; nel 2017, circa 200 mila in meno.
Un “record”, oppure no?
Di recente, sembra dunque esserci stato un leggero aumento, anche se che nel 2016 e nel 2015 questo dato era stato più alto, aggirandosi intorno ai 3 milioni di allerte incendio in tutto il mondo.
È vero però che alcune anomalie si stanno registrando in alcune regioni.
Come ha spiegato il 29 luglio su Twitter Mike Parrington (ricercatore del progetto Copernicus), gli incendi registrati quest’anno nel Circolo polare artico sono stati costantemente sopra la media rispetto al periodo tra il 2003 e il 2018.
«Soltanto a giugno 2019, i roghi in questa porzione geografica hanno emesso nell’atmosfera 50 milioni di tonnellate di diossido di carbonio, l’equivalente di quelle prodotte in un anno dalla Svezia», si legge sul sito ufficiale di Copernicus. «Questa quantità è più grande di quella prodotta da tutti gli incendi registrati in questa zona tra il 2010 e il 2018».
A proposito dell’Amazonia, invece, sta circolando in questi giorni una statistica dell’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpe), che da inizio anno ha calcolato oltre 75.300 incendi in tutto lo Stato del Sud America. Un 84 per cento in più rispetto all’anno scorso.
Secondo Inpe, inoltre, la superficie andata a fuoco ad agosto 2019 è stata il 40 per cento in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
È vero dunque che in Brasile quest’anno si sta registrando un numero di incendi record almeno rispetto agli ultimi 7 anni (come mostrano i dati Inpe), ma è anche vero che l’area dell’Amazzonia è più ampia di quella contenuta dai confini brasiliani.
Il 60 per cento della foresta pluviale (oltre 4 milioni di chilometri quadrati) è compreso nel Brasile, mentre il restante 40 per cento è suddiviso tra altri Paesi sudamericani, come l’Ecuador, la Guyana, il Perù e il Venezuela.
Secondo i numeri del Global Fires Atlas (elaborati sulla base di quelli della Nasa), dal 1° gennaio 2019 ad oggi, in tutta la regione amazzonica si sono registrati 99.590 incendi, contro i 53.935 dello stesso periodo del 2018. Tra il 1° gennaio 2016 e il 21 agosto 2016 (anno con il dato più lontano nel tempo disponibile) erano però stati di più: 106.404.
A fine 2018, il numero totale dei roghi in Amazzonia era stato 192.515, contro i 301.2016 dell’anno precedente.
Che cosa c’entra il riscaldamento globale
Ma che collegamento c’è tra i cambiamenti climatici e i grandi incendi che si stanno registrando in giro per il mondo?
Come ha spiegato a maggio 2019 un approfondimento del World Economic Forum, il riscaldamento globale sta rendendo più diffuse e facili le condizioni che permettono alle fiamme di divamparsi in grandi aree geografiche. Un po’ quello che succede anche con gli uragani.
Per esempio, un pianeta sempre più caldo avrà periodi di siccità sempre più lunghi, su aree sempre più vaste. Questo significa che il suolo e le piante, private dell’acqua, saranno più predisposte a prendere fuoco.
Come ha spiegato il ricercatore Parrington di Copernicus a Cnn, le ondate anomale di caldo registrato nell’Artico sono tra le cause dei roghi tra Siberia e Alaska.
Discorso analogo vale per il nostro Mar Mediterraneo. Uno studio pubblicato a ottobre 2018 su Nature ha mostrato che il riscaldamento causato dall’essere umano aumenterà l’area bruciata dagli incendi nell’Europa mediterranea.
«Maggiore sarà il livello di aumento medio delle temperature in futuro, maggiore sarà la quantità di superficie devastata dalle fiamme, in un intervallo che va dal 40 per cento al 100 per cento a seconda degli scenari», scrivono i ricercatori nella loro ricerca.
Un altro studio pubblicato su Nature a luglio 2015 ha mostrato che tra il 1979 e il 2013 la stagione in cui gli incendi sono più frequenti durante l’anno è aumentata in durata del 18,7 per cento.
In sostanza, una Terra più calda significa anche una Terra con un maggiore rischio incendi. E questo legame innescherà un circolo vizioso, in cui i roghi, aumentando con le fiamme le emissioni nell’atmosfera, faciliteranno il conseguente aumento delle temperature.
Conclusione
Ricapitolando: dalle notizie di questi giorni è possibile dire che gli incendi nel mondo stanno aumentando rispetto al passato?
Sostanzialmente sì: alcune aree come l’Artico e l’intero Brasile stanno vivendo delle situazioni più critiche rispetto agli anni scorsi. L’evidenza scientifica continua a rilevare – e prevedere – peggioramenti a causa del riscaldamento globale: molto probabilmente, in un futuro prossimo, l’aumento generale delle temperature medie renderà normali situazioni “anomale” come gli incendi nell’Artico e in Siberia.