Secondo i dati più aggiornati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), al 18 febbraio i casi confermati di contagio da nuovo coronavirus erano oltre 73.300 in 25 Paesi del mondo. Di questi, il 98,9 per cento era in Cina, dove a causa del virus si stima siano morte 1.870 persone, mentre sono stati tre i decessi fuori dai confini cinesi.
Ma quanti morti ci sono ogni anno a causa dell’influenza stagionale? È possibile fare un confronto con il nuovo coronavirus?
Andiamo a vedere che cosa dicono i numeri.
Che cos’è l’influenza stagionale
"L’influenza rappresenta un serio problema di sanità pubblica e una rilevante fonte di costi diretti e indiretti per la gestione dei casi e delle complicanze della malattia e l’attuazione delle misure di controllo", ha scritto il Ministero della Salute nel rapporto “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2018-2019”. "È tra le poche malattie infettive che di fatto ogni uomo sperimenta più volte nel corso della propria esistenza indipendentemente dallo stile di vita, dall’età e dal luogo in cui vive".
Da un punto di vista clinico, come spiega Epicentro (il portale dell’epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità), l’influenza "è una malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali". È definita "stagionale" perché si presenta generalmente durante il periodo invernale.
Dal 1933 – data del primo isolamento – sono stati individuati quattro tipi di virus influenzali (A, B, C e D, tutti della famiglia Orthomixoviridae), ma sappiamo con certezza che solo i primi tre possono colpire gli esseri umani. Tra questi, quelli di tipo A e B sono ritenuti i responsabili dei sintomi – come febbre, mal di testa, mal di gola e tosse – della classica influenza (i virus di tipo C generano al più un raffreddore).
Per comprendere l’epidemiologia dell’influenza stagionale bisogna sottolineare un aspetto centrale.
Tutti i virus influenzali hanno una "marcata tendenza" a variare, spiega l’Iss, "cioè ad acquisire cambiamenti nelle proteine di superficie che permettono loro di aggirare la barriera costituita dalla immunità presente nella popolazione che in passato ha subito l’infezione influenzale". In parole povere: questi virus mutano in modo da evitare che gli anticorpi creati dalle precedenti versioni del virus siano ancora efficaci.
Questa peculiarità ha due conseguenze dirette: da un lato la composizione dei vaccini influenzali va aggiornata ogni anno; dall’altro è fondamentale l’attività di sorveglianza per monitorare stagionalmente la diffusione della malattia e le sue caratteristiche, come il numero dei contagiati.
Quanti sono i contagiati
Ogni stagione invernale, InfluNet (il sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza, coordinato dal Ministero della Salute con la collaborazione dell’Iss) pubblica settimanalmente sul suo sito i risultati del monitoraggio a partire dalla settimana n. 42 di un anno (metà ottobre) alla settimana n. 17 dell’anno seguente (fine aprile).
In base ai dati più aggiornati, dal 14 ottobre 2019 al 9 febbraio 2020 – dunque a quasi i due terzi del periodo monitorato – il numero di casi simil-influenzali è stato di 5.018.000 (il rapporto completo è consultabile nel link in fondo alla pagina).
Ad oggi le regioni maggiormente colpite sono la Val D’Aosta, l’Umbria, le Marche, il Lazio, l’Abruzzo, il Molise e la Basilicata. Il picco stagionale è stato raggiunto nella quinta settimana del 2020.
Al termine della stagione influenzale 2018-2019, i casi erano stati 8.104.000, tra il 2017 e il 2018 8.677.000 e tra il 2016 e il 2017 5.441.000.
Questi numeri ci danno un’idea della portata del fenomeno, ma non riguardano tutti i reali casi di contagio. "Si sottolinea che l’incidenza dell'influenza è spesso sottostimata poiché la malattia può essere confusa con altre malattie virali e molte persone con sindrome simil-influenzale non cercano assistenza medica", ha scritto il Ministero della Salute nelle sue raccomandazioni.
Secondo i dati dell’Iss, è possibile dire che ogni anno le sindromi simil-influenzali coinvolgono circa il 9 per cento dell’intera popolazione italiana, "con un minimo del 4 per cento, osservato nella stagione 2005-06, e un massimo del 15 per cento registrato nella stagione 2017-18".
Le fasce più colpite della popolazione sono quelle in età pediatrica (0-4 anni e 5-14 anni) e con 65 anni e oltre.
Secondo il Ministero della Salute, che riporta i dati del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc), ogni anno in Europa si stimano circa 50 milioni di casi sintomatici di influenza, e fino a un miliardo nel mondo, secondo dati dell’Oms.
Ma quante sono le morti in Italia causate dall’influenza stagionale?
I numeri sui morti
"In Italia i virus influenzali causano direttamente all’incirca 300-400 morti ogni anno, con circa 200 morti per polmonite virale primaria", ha spiegato a Pagella Politica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore all’Università degli Studi di Milano. "A seconda delle stime dei diversi studi, vanno poi aggiunti tra le 4 mila e le 10 mila morti “indirette”, dovute a complicanze polmonari o cardiovascolari, legate all’influenza".
I virus influenzali possono infatti creare delle complicazioni – soprattutto in adulti e bambini con malattie gravi, persone con più di 65 anni, donne in gravidanza e alcune categorie professionali, come gli operatori sanitari – che aumentano il rischio di morte.
"L’influenza fa crescere la temperatura corporea, aumenta la gittata cardiaca, rende più difficile la respirazione, e gli studi mostrano che questo, per esempio, ha una correlazione con un rischio di infarto maggiore", ha spiegato a Pagella Politica Pregliasco. "Chi respira già male può prendersi la polmonite per colpa dell’influenza, per esempio quella batterica secondaria".
In generale, spiega l’Iss, si stima comunque che il tasso di letalità dell’influenza stagionale (ossia il rapporto tra morti e contagiati) sia inferiore all’uno per mille.
Il confronto con il COVID-19
Possiamo quindi dire che l’influenza stagionale è più pericolosa del nuovo coronavirus (ora chiamato SARS-CoV-2, che causa la malattia ribattezzata dall’Oms COVID-19), considerato che solo in Italia i morti per la prima sono ogni stagione più alti di quelli registrati finora in Cina a causa del secondo?
A livello generale la risposta, che come vedremo si basa per ora su dati provvisori, è “no”. Per quanto riguarda l’Italia, invece, la risposta è positiva.
"L’influenza stagionale, in questo momento in Italia, è un problema ed è l’unico problema che c’è perché il nuovo coronavirus non ce lo abbiamo", ha sottolineato Pregliasco. Ma questo dipende dal fatto che in Italia non si è diffuso il nuovo coronavirus. Se guardiamo ai numeri, provvisori, le cose cambiano.
Abbiamo visto nell’introduzione che su oltre 73.300 contagiati da SARS-CoV-2, i morti per COVID-19 sono stati 1.870. Questo lascerebbe suggerire che il tasso di letalità del nuovo coronavirus sia del 2,5 per cento circa, dunque 25 volte più alto di quello dell’influenza. Tuttavia è ancora decisamente troppo presto per trarre conclusioni in proposito. I dati alla base di questo calcolo sono infatti non definitivi e, secondo gli esperti, probabilmente incompleti.
"Si parla di numeri altamente provvisori", ha sottolineato ancora Pregliasco. "Per esempio, in Cina non abbiamo l’esatto valore del denominatore, ossia dei contagiati, che potrebbero essere molti di più. Quella che si ha adesso sulla mortalità è quasi sicuramente una sovrastima". Insomma non si può escludere che il tasso di letalità del coronavirus, alla fine, non sia poco più alto da quello di una comune influenza stagionale. La differenza però è che mentre il primo non è diffuso in Italia – ci sono solo pochissimi casi e attentamente monitorati – la seconda sì.
Ad oggi, dunque, il nuovo coronavirus in Italia non è pericoloso, e come spiega l’Iss, sebbene i sintomi lievi del COVID-19 siano molto simili a quelli dell’influenza stagionale, nel nostro Paese non c’è bisogno di fare allarmismo. Anche se la situazione resta grave e come tale va affrontata a livello internazionale, per quanto riguarda il controllo e la prevenzione, in Italia sintomi come febbre e tosse sono attribuibili nella stragrande maggioranza dei casi all’influenza, e nella restante parte ad altre malattie.
"Il problema che pone il nuovo coronavirus è di tipo potenziale perché uno scenario possibile per il futuro è quello pandemico – ha sottolineato Pregliasco – in cui venga contagiata una buona parte della popolazione". Ma questo, appunto, è una eventualità, evitabile se per esempio si riuscirà a contenere il contagio, concentrato attualmente in Cina.
Conclusione
Secondo le stime del Ministero della Salute e dell’Istituto superiore della sanità, in Italia ogni anno circa il 9 cento della popolazione è colpito da sindromi simil-influenzali, con un numero di morti che oscilla tra i 300 e i 400 decessi diretti dovuti all’influenza, e tra i 4 mila e i 10 mila decessi tra chi sviluppa complicanze gravi a causa dei virus influenzali.
Il tasso di letalità (ossia il rapporto tra morti e contagiati) si attesterebbe quindi intorno allo 0,1 per cento (l’uno per mille), mentre un discorso diverso vale per il nuovo coronavirus, che ad oggi non è presente in Italia.
Per quanto ne sappiamo finora, i dati sul SARS-CoV-2 ci dicono che il suo tasso di letalità potrebbe aggirarsi intorno al 2,5 per cento, ma è ancora troppo presto per avere conclusioni epidemiologiche solide, dal momento che non è soprattutto chiaro quanti effettivamente siano i contagiati totali. Potrebbe infatti esserci un numero molto elevato di persone che non si sono recate negli ospedali, avendo accusato solo dei sintomi lievi e facendo affidamento a rimedi tradizionali, soprattutto nelle prime fasi di diffusione del virus.
Ad oggi, in Italia la pericolosità del nuovo coronavirus è comunque solo potenziale, mentre quella dell’influenza stagionale (seppure con numeri sulla letalità più bassi) è reale. Per questo motivo, soprattutto per le categorie più a rischio, sono raccomandate le vaccinazioni.