Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (M5s) ha sostenuto (min. 25.00) il 23 gennaio, intervistato su La7 a Otto e mezzo, che "gli innocenti non finiscono in carcere". Questo però, come vedremo, non è vero e, dopo la polemica che è nata dalle sue parole, lo stesso Bonafede è tornato sulla questione il 24 gennaio per specificare che lui si riferiva solo a "coloro che vengono assolti (la cui innocenza è, per l’appunto, “confermata” dallo Stato)".
Vediamo allora in primo luogo perché non è vero che gli innocenti non vanno in carcere e quali sono i numeri del fenomeno negli ultimi due decenni.
Perché gli innocenti finiscono in carcere
Prima di addentrarci nei dettagli delle singole ipotesi, diamo una rapida panoramica sui casi in cui un innocente può finire in carcere.
In primo luogo è possibile che un imputato venga prima portato in prigione per effetto di una “misura cautelare”: già in questo caso, come vedremo, un “innocente” si trova in carcere. Se poi l’imputato viene assolto al termine del processo, parliamo di “ingiusta detenzione”.
In secondo luogo è possibile che una persona condannata al carcere – con sentenza definitiva, dopo tre gradi di giudizio – venga successivamente scagionata, in questo caso parliamo di “errore giudiziario”.
Andiamo a vedere meglio i presupposti normativi di queste due ipotesi.
L’ingiusta detenzione
In base all’articolo 27, comma 2 della Costituzione, "l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Vige insomma una presunzione di innocenza, nei confronti dell’imputato, fino a che il processo non si è concluso e la sentenza non è diventata non impugnabile.
Per esigenze di prevenzione, tuttavia, è possibile che i giudici dispongano, prima che il processo si sia concluso, delle “misure cautelari” nei confronti dell’imputato, la più severa delle quali è la “custodia cautelare in carcere” (art. 285 del codice di procedura penale). In questo caso finisce in carcere un soggetto che è formalmente innocente.
Si richiedono due presupposti per disporre le misure cautelari: i gravi indizi di colpevolezza da un lato e il pericolo nel lasciare a piede libero l’indagato dall’altro (in particolare pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove).
Se al termine del processo l’imputato viene condannato, il tempo che ha trascorso in carcere – per effetto della misura cautelare – da formalmente “innocente” viene sottratto (art. 657 c.p.p.) dalla durata della pena definitiva. Ma, al di là della forma, possiamo dire che in sostanza non è stato messo in carcere un innocente.
Se al termine del processo l’imputato viene invece assolto, e nel frattempo ha subito la misura cautelare della custodia in carcere, siamo sicuramente di fronte a un caso di innocente che è finito in prigione, un caso insomma di “ingiusta detenzione”.
Il codice di procedura penale prevede (artt. 314 e 315) che chi ha subito un’ingiusta detenzione abbia diritto a “un’equa riparazione” per la custodia cautelare subita, un risarcimento economico che può arrivare massimo a circa mezzo milione di euro.
L’errore giudiziario
Nel caso in cui il processo si sia concluso con una sentenza definitiva di condanna, non opera più la presunzione di innocenza dell’art. 27 della Costituzione e il soggetto è anche formalmente colpevole.
È però possibile che anche al termine dei tre gradi di giudizio sia stato commesso un errore (e dunque in carcere si trovi un innocente che non è stato assolto, come invece ha sostenuto Bonafede anche nella sua precisazione). L’ordinamento penale italiano prevede uno strumento per impugnare straordinariamente anche la sentenza definitiva, la “revisione”, disciplinata dall’art. 630 del codice di procedura penale.
Si può chiedere la revisione della sentenza definitiva solo in alcuni casi precisi: se i fatti alla base della condanna sono inconciliabili con quelli posti alla base di un’altra sentenza definitiva; se dopo la condanna si scoprono nuove prove che dimostrano che il condannato deve essere prosciolto; se viene dimostrato che la condanna è dipesa da falsità in atti o in giudizio o da un altro fatto previsto dalla legge come reato (per esempio si scopre che i testimoni chiave erano stati corrotti o minacciati).
Se la revisione porta all’assoluzione della persona che era stata ingiustamente condannata, questa ha diritto (art. 643 c.p.p.) a una riparazione economica, commisurata al tempo della pena subita e alle conseguenze familiari e personali subite, in forma di somma di denaro o di vitalizio.
Andiamo ora a vedere quali sono i numeri sulle ingiuste detenzioni e sugli errori giudiziari disponibili, con l’ovvio avvertimento che per quanto riguarda i secondi è sempre possibile che esistano innocenti in carcere che non sono ancora stati riconosciuti tali da un giudizio di revisione.
Quanti sono gli innocenti in carcere
Il Ministero della Giustizia ha presentato alla Camera ad aprile 2019, quindi con Bonafede ministro della Giustizia del primo governo Conte, un rapporto sull’applicazione delle misure cautelari e sulle riparazioni per ingiusta detenzione.
Qui si legge che nel 2018, dati più recenti, 257 volte è stata pronunciata una sentenza definitiva di assoluzione in procedimenti in cui era stata disposta la misura cautelare del carcere. Se includiamo anche le sentenze di assoluzione non definitiva e le altre sentenze di proscioglimento, il totale arriva a 1.355 custodie cautelari in carcere in un anno che hanno coinvolto soggetti poi scagionati dalle accuse: il 2,53 per cento del totale delle misure cautelari in procedimenti definiti nel 2018 (53.560)
Possiamo poi allargare lo sguardo a quanto successo negli ultimi due decenni abbondanti, grazie al lavoro dei due giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, che hanno creato il progetto chiamato Errori giudiziari, che si definisce come "il primo archivio su errori giudiziari e ingiusta detenzione".
Qui si legge che "dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 30 settembre 2018, si sono registrati oltre 27.200 casi: in media, 1.007 innocenti in custodia cautelare ogni anno".
La popolazione carceraria complessiva, che comprende cioè sia condannati sia indagati sottoposti a misura cautelare, ha oscillato negli ultimi anni tra i 30 e i 60 mila detenuti circa: quindi un trentesimo/un sessantesimo di questi risulta poi innocente.
Se poi guardiamo solo alla popolazione degli indagati presenti in carcere, l’incidenza degli innocenti ingiustamente detenuti sale a un diciassettesimo/un trentesimo a seconda degli anni.
I risarcimenti dovuti a queste persone hanno comportato per lo Stato "una spesa che sfiora i 740 milioni di euro in indennizzi, per una media di 27,4 milioni di euro l’anno".
Per quanto riguarda i casi di errore giudiziario, i numeri sono significativamente più bassi: dal 1991 al 30 settembre 2018 si stima siano stati 144, cinque casi all’anno di media. L’impatto economico dei risarcimenti, riferisce Errori giudiziari, è stato – tra il 1991 e il 2017 – poco superiore "a 46 milioni e 733 mila euro".
Conclusione
In Italia finiscono in carcere anche tanti innocenti. Da un punto di vista formale, tutti gli imputati che si trovano in carcere per via di una misura cautelare e non di una sentenza definitiva sono – a norma dell’articolo 27 della Costituzione – innocenti. Ma il problema è anche sostanziale.
Se infatti la maggioranza di chi va in carcere in custodia cautelare viene poi condannato definitivamente, c’è una minoranza che dopo essere stata in carcere viene assolta: secondo le stime si tratta di più di mille persone ogni anno, vittime di “ingiusta detenzione”. Un detenuto su cinquanta/sessanta, a seconda degli anni.
A queste vanno poi aggiunti anche i casi, circa cinque all’anno negli ultimi decenni, in cui viene scoperto innocente un soggetto che era in precedenza stato condannato con sentenza definitiva. In questa situazione si parla di “errore giudiziario”.
In entrambi i casi, ingiusta detenzione o errore giudiziario, lo Stato è obbligato a risarcire le persone che hanno sofferto la prigione senza motivo.
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