La sera del 23 dicembre il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ha inviato una lettera di dimissioni al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, criticando l’attuale governo di non aver fatto abbastanza con la nuova legge di Bilancio per i fondi destinati alla scuola.
Ma quanto spende l’Italia in istruzione? Di più o di meno rispetto agli altri Paesi avanzati, europei e del mondo? Andiamo a vedere nel dettaglio che cosa dicono i numeri.
La spesa italiana ed europea in istruzione
Secondo i dati Eurostat più recenti disponibili per un confronto europeo, nel 2017 l’Italia ha speso circa 66 miliardi di euro per l’istruzione pubblica, in tutti i settori dall’istruzione pre-primaria a quella universitaria: più o meno quanto erano costati quell’anno gli interessi sul debito pubblico (il 3,8 per cento del Pil). Nessuno Stato membro dell’Ue si trovava quell’anno in una condizione simile. Per di più dal 2011 al 2016 l’Italia ha sempre speso di più in interessi sul debito rispetto all’istruzione, raggiungendo la parità solo nel 2017.
La spesa di circa 66 miliardi di euro colloca il nostro Paese al quarto posto su 28 nell’Unione europea – dietro a Germania (circa 134,6 miliardi di euro), Francia (124,1 miliardi) e Regno Unito (poco più di 107,6 miliardi) – ma dice poco su quanto effettivamente l’Italia investa in istruzione, anche se qualcosa di interessante emerge già a un primo colpo d’occhio.
Nel 2009, l’Italia aveva infatti speso in istruzione pubblica poco più di 72 miliardi di euro, circa 6 miliardi di euro in più rispetto a dodici anni dopo. Nello stesso periodo di tempo, la Germania ha aumentato di oltre 28 miliardi di euro la spesa in questo settore, la Francia di circa 15 miliardi, mentre nel Regno Unito la cifra è rimasta più o meno stabile (anche se nel 2015 la spesa britannica in istruzione aveva quasi toccato i 130 miliardi di euro).
Il quadro si fa ancora meno roseo se si guarda alla spesa italiana in istruzione in rapporto a quella pubblica totale e al Pil: in entrambi i casi, a livello europeo, la posizione in classifica del nostro Paese scende parecchio.
Nel 2017, l’Italia ha investito nell’istruzione pubblica il 7,9 per cento della sua spesa pubblica totale: Stato membro Ue ultimo in graduatoria.
Le percentuali di Germania, Regno Unito e Francia erano state rispettivamente del 9,3 per cento, 11,3 per cento e 9,6 per cento. Prima della crisi, nel 2009, il 9 per cento della spesa pubblica italiana era andato in istruzione: l’1,1 per cento in più rispetto al 2017.
In confronto al Pil, invece, ci sono quattro Paesi che fanno peggio del nostro (Romania, Irlanda, Bulgaria e Slovacchia): nel 2017, come abbiamo visto, l’Italia ha speso in istruzione pubblica una cifra equivalente al 3,8 per cento della ricchezza nazionale, appunto la quintultima percentuale in graduatoria. Anche in questo caso si è assistito a una riduzione rispetto ai livelli pre-crisi: nel 2009 questa statistica era stata del 4,6 per cento.
È vero che, sia per quanto riguarda il rapporto con la spesa pubblica totale che con il Pil, anche la media Ue a 28 Stati è calata nel tempo, ma in maniera meno ripida rispetto all’Italia.
Nel 2017, i Paesi Ue hanno investito in istruzione, in media, una cifra pari al 4,6 del Pil, un -0,6 per cento rispetto al 5,2 per cento del 2009. Due anni fa, il rapporto tra spesa in istruzione e spesa pubblica totale è stata in media del 10,2 per cento, in calo dello 0,3 per cento rispetto al 10,5 per cento del 2009.
Ricapitolando: l’Italia spende in istruzione meno degli altri grandi Paesi Ue, sia in rapporto al Pil che alla spesa pubblica totale, e il calo dal 2009 in poi in questo settore di spesa sta avvenendo più velocemente rispetto alla media europea.
Prima di addentrarci nei singoli settori di spesa, vediamo quali sono i dati generali negli altri Paesi avanzati nel resto del mondo.
La spesa in istruzione nel mondo
A settembre 2019, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha pubblicato l’annuale rapporto Education at a Glance 2019, che tra le altre cose contiene le stime sulla spesa in istruzione dei 37 Stati membri, più quella di alcuni Paesi partner dell’organizzazione.
Anche nella classifica degli Stati con le economie più avanzate al mondo, l’Italia è ultima per spesa in istruzione in rapporto alla spesa pubblica totale.
Il 6,9 per cento del nostro Paese (percentuale diversa da quella Eurostat per una diversa metodologia di calcolo) è il fanalino di coda (p. 311 del rapporto). Più di noi spendono, per esempio, gli Stati Uniti (11,4 per cento), il Giappone (7,8 per cento), il Canada (11,4 per cento), l’Australia (12,5 per cento) e il Brasile (14 per cento).
Quindi, anche ampliando lo sguardo oltre i confini europei, l’Italia non è messa bene.
Dalla materna all’università: la spesa in istruzione per settori
Torniamo adesso a concentrarci sul nostro Paese e le singole voci di spesa. I dati Eurostat visti in precedenza permettono infatti di conoscere la spesa pubblica italiana nei diversi settori dell’istruzione, da quella dell’infanzia (la cosiddetta “scuola materna”) alla terziaria (ossia quella universitaria).
Per quanto riguarda l’istruzione pre-primaria e primaria, nel 2017 l’Italia ha speso una cifra pari all’1,5 per cento del Pil, una percentuale rimasta stabile dal 2009 (quando si attestava intorno all’1,6 per cento) e uguale alla media europea.
In termini assoluti, il nostro Paese due anni fa ha speso in questo settore 25,1 miliardi di euro (oltre un terzo della spesa totale in istruzione); nel 2009 erano stati quasi 30 miliardi di euro.
Discorso diverso vale per l’istruzione secondaria (che comprende le scuole medie e quelle superiori). Qui, nel 2017, il nostro Paese aveva speso l’1,7 per cento del Pil (di uno 0,1 per cento inferiore alla media Ue), meno del 2,1 per cento registrato nel 2009. Nello stesso periodo, la media Ue era scesa di meno, dello 0,2 per cento.
In termini assoluti, il calo di spesa italiana per la secondaria è stato di oltre 2,3 miliardi di euro in 12 anni, dai 32,3 miliardi del 2009 ai 30 miliardi del 2017.
Una continua decrescita si sta registrando anche nell’istruzione terziaria, costata alle casse dello Stato poco più di 5,5 miliardi di euro nel 2017 (lo 0,3 per cento del Pil, ultimi in Europa, contro una media Ue dello 0,7 per cento). Questa cifra aveva raggiunto quasi 6,8 miliardi di euro nel 2009 e gli oltre 7,3 miliardi di euro nel 2007.
Nei singoli settori, l’Italia è sotto la media anche se paragonata agli Stati Ocse. Come spiega la nota dell’Education at a Glance 2019 riservata al nostro Paese, in Italia «la spesa per studente spazia da circa 8.000 dollari statunitensi nell’istruzione primaria (94 per cento della media Ocse) a 9.200 dollari statunitensi nell’istruzione secondaria (92 per cento della media Ocse) e 11.600 dollari statunitensi nei corsi di studio terziari (74 per cento della media Ocse)».
È vero dunque che la spesa dello Stato aumenta al crescere dei livelli di istruzione, ma non abbastanza per colmare il divario con la media degli altri Paesi avanzati nel mondo. In generale, a livello europeo, il settore in cui l’Italia spende particolarmente poco resta comunque quello universitario.
Quanto c’entra il calo demografico
La stessa nota dell’Ocse ha sottolineato che il calo della spesa in istruzione avvenuto in Italia è stato maggiore rispetto a quello demografico. In breve: i minori soldi investiti non sono del tutto giustificati dal calo delle nascite, e dal conseguente calo del numero degli iscritti a scuola.
«La spesa [italiana in istruzione per studente] è diminuita del 9 per cento tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l’università, più rapidamente rispetto al calo registrato nel numero di studenti, che è diminuito dell’8 per cento nelle istituzioni dell’istruzione terziaria e dell’1 per cento nelle istituzioni dall’istruzione primaria fino all’istruzione post-secondaria non terziaria», spiega l’Ocse.
Un calcolo simile è stato fatto a luglio 2019 anche dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani (Ocpi) dell’Università Cattolica di Milano.
Il declino della spesa in istruzione in Italia «è avvenuto in modo più rapido rispetto ai cambiamenti demografici: tra il 2007 e il 2017 la quota di popolazione 3-25 anni sul totale della popolazione è calata del 2,3 per cento», sottolinea l’Ocpi. «La spesa media per popolazione 3-25 anni in pubblica istruzione in rapporto al reddito pro capite è calata del 14,1 per cento».
Conclusione
Nel 2017 (dati Eurostat più aggiornati), l’Italia ha speso in istruzione – dalla scuola dell’infanzia all’università – circa 66 miliardi di euro, una cifra in calo rispetto ai 72 miliardi di euro registrati nel 2009.
In rapporto alla spesa pubblica totale, il nostro Paese è ultimo in Europa (con una percentuale del 7,9 per cento) ed è quintultimo, invece, se si rapporta la spesa in istruzione con il Pil (3,8 per cento nel 2017, in diminuzione rispetto al 4,6 per cento del 2009).
In termini quantitativi, meglio di noi fanno anche gli altri grandi Paesi del mondo – oltre a quelli europei – come Stati Uniti, Canada, Giappone e Brasile.
Nello specifico, il singolo settore di spesa in istruzione più lontano dalla media Ue è quello relativo all’università. Nell’istruzione terziaria, infatti, l’Italia investe – dati relativi al 2017 – lo 0,3 per cento del Pil, contro lo 0,7 per cento della media comunitaria.