Il 7 ottobre una serie di tweet del presidente americano Donald Trump avevano dato l’impressione che fosse imminente un completo ritiro delle truppe Usa presenti nel nord della Siria, dando il via libera, di fatto, a un’invasione della Turchia di quell’area. Nella zona operano i curdi-siriani e i loro alleati riuniti nelle Syrian Democratic Forces (Sdf).
La sera dello stesso giorno il Dipartimento per la Difesa americano ha smentito il supporto americano a qualsiasi operazione turca contro i curdi e fonti del Pentagono hanno precisato che non c’è alcun ritiro in corso. Si tratterebbe di una semplice redistribuzione di appena 50-100 soldati, spostati in altre basi militari all’interno della Siria. Una minoranza del contingente americano nel Paese, che secondo le stime dovrebbe essere di circa duemila unità.
Trump, sempre via Twitter, ha dichiarato ancora il 7 ottobre che se la Turchia farà qualsiasi mossa che lui considererà “off limits”, allora «distruggerà» l’economia del Paese anatolico (cosa che, secondo Trump, avrebbe già fatto in passato).
Mentre la Turchia aveva già iniziato a muovere il suo apparato bellico al confine con i territori controllati dai curdi-siriani, la situazione sembra insomma essersi raffreddata. Vedremo nei prossimi giorni come evolverà, ma intanto cerchiamo di capire chi siano i curdi-siriani che Trump avrebbe voluto abbandonare e che la Turchia vorrebbe annientare.
Per prima cosa, vediamo meglio la situazione etnico-religiosa in Siria.
Religione, popolazione e geopolitica della Siria
In Siria, da un punto di vista religioso, la maggioranza della popolazione è sunnita (la corrente maggioritaria all’interno dell’Islam), mentre il regime di Assad è espressione della minoranza (10 per cento) alawita (una corrente assimilabile, in parte, allo sciismo, corrente minoritaria all’interno dell’Islam). Nel Paese vivono poi altre minoranze come i drusi e i cristiani.
Da un punto di vista etnico, poi, la maggioranza dei siriani sono arabi ma esistono numerose minoranze, tra cui i curdi (5 per cento della popolazione siriana). La popolazione curda vive principalmente in quattro Stati: oltra che in Siria, in Iraq, Iran e Turchia. Da un punto di vista religioso, i curdi sono sunniti.
Da un punto di vista geopolitico, il regime siriano è uno storico alleato della Russia (già dai tempi dell’Urss) e dell’Iran, che è lo Stato capofila dell’asse sciita, di cui fa parte anche l’Hezbollah libanese. Anche per questo, la Siria non è invece in buoni rapporti con Israele e con gli Stati Uniti, che - insieme ad altri - considerano Hezbollah un’organizzazione terroristica. Ma, come vedremo, gli ultimi anni hanno ingarbugliato significativamente il quadro.
Un breve riassunto della guerra civile siriana
Lo scenario siriano è estremamente complesso da descrivere. Negli ultimi anni si sono infatti concentrati nel Paese diversi fenomeni geopolitici che hanno interessato l’intero Medio Oriente.
La guerra in Siria iniziò nel 2011 nel contesto più ampio delle Primavere Arabe, quando le manifestazioni popolari contro il regime di Assad vennero brutalmente represse militarmente e presto si trasformarono in insurrezione armata.
A questo punto l’insurrezione siriana, nata come una Primavera Araba, mutò natura e divenne sostanzialmente una proxy war, una “guerra per procura”, tra l’Iran - che si schierò con il regime di Assad, insieme ai propri alleati libanesi di Hezbollah - e diverse potenze sunnite, in particolare Arabia Saudita, Turchia e Qatar (oggi una situazione simile si sta verificando anche in Yemen). Gli Stati Uniti ebbero fin da subito una partecipazione marginale, in supporto ai ribelli, e la Russia intervenne concretamente in supporto del regime solo nel 2015, come vedremo meglio dopo.
Le potenze sunnite erano però divise tra di loro, con l’Arabia Saudita che sosteneva fazioni di ribelli sia laiche sia legate all’estremismo islamico da un lato, e Turchia e Qatar che sostenevano invece fazioni legate alla Fratellanza Musulmana (un movimento politico islamista considerato dai Sauditi e dai propri alleati come un’organizzazione terroristica). Queste divisioni indebolirono fatalmente la ribellione siriana.
In questo scenario già complicato, si inserì poi il fenomeno dell’Isis: nato in Iraq dall’unione di ex uomini dei servizi segreti del regime di Saddam Hussein e di quel che era rimasto di Al-Qaeda in Iraq, l’organizzazione terroristica approfittò del caos in Siria per infiltrarsi nel Paese nel corso del 2012 e per prendere il controllo in diverse zone. Da qui nel 2014 sconfinò anche in Iraq - sempre facendo leva sul malcontento della popolazione sunnita, che in Iraq è minoranza - e, a giugno di quell’anno, con il famoso discorso del “Califfo” al-Baghdadi a Mosul nacque lo Stato Islamico.
La presenza dell’Isis ridusse il già timido supporto occidentale (e in particolare americano) all’insurrezione siriana, per il timore di consegnare il Paese ai fanatici islamici. L’allora presidente americano Obama - in particolare nel 2013, quando fu varcata la “linea rossa” sull’uso di armi chimiche - evitò di dare la spallata al regime di Assad e la Russia trovò lo spazio per intervenire, in primo luogo diplomaticamente.
È in questo contesto che gli Stati Uniti, dopo aver provato - e fallito - a supportare militarmente dei ribelli siriani “moderati” e non invisi alla Turchia (Paese alleato della Nato), individuarono come propri alleati sul terreno nella guerra contro l’Isis i curdi siriani dell’Ypg (“Unità di protezione popolare”), la milizia del partito curdo marxista Pyd, legato ideologicamente al Pkk (il Partito curdo dei lavoratori), considerato da Ankara un’organizzazione terroristica (ricordiamo che il leader del Pkk Abdullah Öcalan è in carcere in Turchia dal 1999).
Prima di passare ad approfondire la questione specifica della causa curda, concludiamo la panoramica generale parlando del ruolo della Turchia e della Russia.
La Turchia è stato forse lo Stato sunnita che più degli altri ha supportato l’insurrezione siriana contro Assad, ma quando nel 2015 Mosca è intervenuta nel Paese per puntellare il proprio alleato lo scenario è cambiato. L’iniziale scontro tra Russia e Turchia in Siria si risolse presto a favore del Cremlino. In particolare dopo il fallito golpe in Turchia del 2016, il presidente turco Erdogan - che si sentiva tradito dagli alleati occidentali sia per le reazioni “timide” al golpe stesso che per l’appoggio americano ai curdi-siriani - riallacciò i rapporti con Putin e, sostanzialmente, rinunciò ad abbattere Assad in cambio di un posto al tavolo negoziale.
Questa presenza al tavolo di Astana - il luogo dove si svolgevano gli incontri sulla Siria mediati da Mosca e con presente Teheran - consentì alla Turchia di ottenere alcune concessioni, come ad esempio poter invadere nel 2018 una parte del nord della Siria (il cantone di Afrin) controllata dai curdi-siriani.
La Russia ottenne, così come l’Iran, la vittoria finale di Assad sui ribelli, in gran parte abbandonati da Erdogan. E, soprattutto, riuscì ad allontanare la Turchia dall’Occidente.
Oggi in Siria il regime controlla la maggior dell’ovest e del centro del Paese, è rimasta un’unica sacca ribelle nella provincia di Idlib nel nord-ovest (in parte controllata dalla Turchia), una piccola parte nel nord direttamente occupata da Ankara, una sacca ribelle (controllata di fatto dagli Usa) al confine con l’Iraq e, infine, una vasta area dell’est della Siria che è controllata dai curdi-siriani e dai loro alleati. Lo Stato Islamico, sconfitto come entità territoriale parastatale sia in Sira che in Iraq nel corso del 2017, col decisivo contributo dei curdi-siriani, dell’aviazione americana e - in parte - della Russia, delle milizie iraniane e delle forze di Assad, rimane attivo come organizzazione terroristica che compie attentati e incursioni.
Nella cartina: in rosso i territori controllati dal regime di Assad, in giallo dalle Sdf a guida curda, in grigio-verde la sacca ribelle di Idlib, in verde chiaro la sacca al confine con l’Iraq controllata da ribelli e truppe Usa, in verde contornato l’area di Afrin occupata dalla Turchia, in grigio alcune aree desertiche dove è presente l’Isis, in blu le alture del Golan occupate da Israele
La storia della resistenza curda in Siria
Le fazioni militari dei curdi-siriani, in particolare l’Ypg, nelle fasi iniziali della guerra civile siriana (2012) riuscirono a prendere il controllo dei territori abitati in maggioranza dalla popolazione curda senza incontrare una particolare resistenza da parte delle forze fedeli al regime di Assad.
Questo controllo venne però in larga parte perso quando l’Isis, rafforzatosi grazie alle vittorie militari ottenute in Iraq, scatenò una massiccia offensiva militare nell’autunno del 2014. La città di Kobane divenne allora il fulcro simbolico dello scontro tra curdi-siriani e Isis. Anche grazie all’aiuto dell’aviazione statunitense, i curdi-siriani dell’Ypg ebbero la meglio e nel gennaio 2015 riuscirono a liberare la città e a riconquistare numerosi villaggi occupati dallo Stato Islamico.
Nel corso del 2015 i guerriglieri curdi - sempre con il supporto Usa - riuscirono a riconquistare i propri territori (noti anche come Rojava, o Kurdistan siriano) che erano stati occupati dall’Isis e riuscirono anche ad espandersi in aree abitate da popolazioni arabe. Di qui la necessità di creare una coalizione ribelle che non fosse esclusivamente di matrice curda: nacquero così a ottobre 2015 le Syrian Democratic Forces, di cui fanno parte oltre all’Ypg curdo anche milizie arabe e di altre etnie.
Negli anni successivi, 2016 e 2017, i curdi-siriani rafforzarono il proprio controllo sul Rojava e contribuirono in modo determinante alla sconfitta finale dell’Isis, in particolare con la conquista della città di Raqqa, capitale dello Stato Islamico in Siria.
Questo rafforzamento tuttavia è sempre stato osteggiato dalla Turchia, che a livello strategico ha sempre temuto la nascita di un’entità curda al proprio confine meridionale, oltretutto guidata da una fazione considerata terroristica per i propri legami con il Pkk. Ankara ha quindi sempre cercato di contrastare il consolidamento curdo nel nord della Siria, prima con la conquista di alcuni territori occupati dall’Isis (Jarablus e aree limitrofe) che separavano i cantoni orientali del Rojava (Kobane e Cizre) da quello occidentale di Afrin, poi - come detto - conquistando direttamente nel 2018 il cantone di Afrin col placet della Russia.
Se, infatti, i cantoni orientali curdi potevano contare sul sostegno militare e diplomatico degli Usa, non altrettanto poteva fare il cantone occidentale di Afrin.
Da ultimo, ad agosto 2019, la Turchia aveva ottenuto dagli Stati Uniti la creazione di una zona cuscinetto di pochi chilometri al confine con la Siria, e quindi coi territori controllati dai curdi-siriani, ma ancora non era ritenuto un risultato sufficiente da parte di Ankara. Erdogan anzi aveva accusato gli Usa di aver creato una “zona franca” per difendere i “terroristi” curdi. Di qui le successive costanti proteste con gli Usa per poter agire direttamente contro i curdi-siriani dell’Ypg.
Caratteristiche della causa curda
La causa curda ha suscitato nel corso degli ultimi anni grandi simpatie presso l’opinione pubblica occidentale, per una serie di motivi.
In primo luogo, sono stati soprattutto i guerriglieri curdi-siriani (e in parte curdi-iracheni) a portare avanti sul terreno la guerra contro l’Isis. In secondo luogo, alcune caratteristiche ideologiche dei curdi-siriani dell’Ypg hanno contribuito a questo gradimento.
La matrice ideologica del movimento è infatti post-marxista, per cui alle donne vengono riconosciuti gli stessi diritti che agli uomini. Esistono anche milizie curdo-siriane composte da donne, come ad esempio l’Ypj (Unità di protezione delle donne), che combattono spesso a capo scoperto contro gli estremisti islamici dell’Isis. Una contrapposizione, anche da un punto di vista visivo, che ha alimentato le simpatie occidentali per la causa curda.
Il Rojava, poi, è stato anche un esperimento politico-sociale, con l’adozione di una Costituzione di stampo democratico, pluralista e liberale, che enfatizza l’ambientalismo e il ruolo delle comunità locali nella gestione del potere.
Diverse centinaia, se non migliaia, di giovani provenienti dall’Occidente - ma non solo - si sono quindi uniti alla causa curda e alcuni, tra cui anche l’italiano Lorenzo Orsetti, hanno perso la vita nei combattimenti.
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