Il 2 ottobre il Wto (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio) ha autorizzato gli Stati Uniti a imporre dazi punitivi per 7,5 miliardi di dollari sulle esportazioni dall’Unione europea, come “giusta ritorsione” per l’aiuto che l’Unione europea ha illegittimamente dato alla società aerospaziale europea Airbus nello sviluppo e lancio di alcuni suoi modelli (A380 e A350). Ma come nascono questi dazi e cosa potrebbe succedere ora? Si tratta della sanzione più salata di sempre nella storia del Wto? Andiamo a vedere i dettagli.
Che cos’è e come funziona il Wto?
Il Wto è un’organizzazione intergovernativa, attiva dal 1995, che riunisce 164 Stati e che ha il compito di regolare il commercio internazionale, con l’obiettivo di facilitare il più possibile gli scambi commerciali.
In base ai trattati che l’istituiscono, il Wto regola e difende i principi del libero scambio e risolve le dispute tra Stati membri che nascono quando uno dei membri ritiene che un altro abbia violato tali principi. La risoluzione delle dispute avviene di fronte a un panel di giudici appositamente creato di volta in volta, attraverso una procedura definita, di solito - ma come vedremo, non sempre - in tempi certi e relativamente rapidi. Dal 1995 sono state presentate oltre 500 richieste di risoluzione delle controversie e sono state adottate più di 350 decisioni. Il caso Airbus tra Stati Uniti e Unione europea risale all’ottobre 2004, dunque sono stati necessari 15 anni per arrivare alla sua conclusione. Ma vediamo meglio che cos’è successo.
Il caso Airbus-Boeing
Nel 2004 gli Stati Uniti hanno accusato le allora Comunità europee e alcuni Stati membri (Regno Unito, Francia, Germania e Spagna) di aver sussidiato fin dagli anni ‘70 Airbus con aiuti illegittimi in base alle regole del Gatt 1994 - per 22 miliardi di dollari - e di aver quindi causato un danno alla propria compagnia che costruisce aerei, Boeing. Il 2004, come riporta il Financial Times, è del resto il primo anno in cui Airbus ha superato Boeing nelle vendite.
Le Comunità europee hanno risposto nel 2005, presentando al Wto un ricorso speculare, contro gli aiuti illegittimi che gli Stati Uniti avrebbero dato - per 23 miliardi di dollari - a Boeing.
Le due vicende giudiziarie hanno marciato parallele davanti al Wto negli anni seguenti e sono state riscontrate violazioni delle regole comuni sia da parte europea dia da parte americana. Mancava dunque solo la quantificazione dei danni subiti, che danno diritto a imporre dazi equivalenti.
La recente decisione del Wto, che ha quantificato in 7,5 miliardi di dollari di dazi punitivi la ritorsione che gli Stati Uniti possono legittimamente applicare ai prodotti europei, secondo fonti di stampa verrà presto (prima metà del 2020) affiancata da un’analoga decisione sul caso Boeing e quindi da una ritorsione europea contro prodotti americani.
Il nuovo giro di tariffe arriverebbe poi con la ferita ancora aperta, tra le due sponde dell’Atlantico, per la decisione di giugno 2018 della presidenza Trump di imporre i dazi sull’acciaio e sull’alluminio europeo, che ha causato l’imposizione di dazi su prodotti americani da parte della Ue lo stesso mese.
Una decisione da record?
La recente ritorsione americana da 7,5 miliardi di dollari autorizzata dal Wto è la più consistente nella storia dell’organizzazione mondiale del commercio. Superato il precedente record di 4 miliardi di dollari del 2002, quando erano stati colpiti dal Wto i sussidi erogati dagli Usa alla Foreign Sales Corporation, che avevano danneggiato l’Europa.
Altre cause di importo significativo che possiamo citare sono quella di Canada e Messico contro gli Usa per l’etichettatura delle carni del 2015, quando furono autorizzati 1 miliardo di dollari di dazi punitivi, e quelle - speculari - di Canada e Brasile per aiuti illegittimi all’industria aerea, sfociate nell’autorizzazione da parte del Wto di dazi per centinaia di milioni di dollari.
Che cosa può succedere ora?
Stati Uniti e Unione europea potrebbero, in teoria, evitare questo scenario in cui entrambi impongono dazi per Airbus e Boeing, trovando un accordo tra di loro. La commissaria europea per il commercio, la svedese Cecilia Malmström, ha dichiarato ancora pochi giorni fa di sperare di evitare i dazi anche con un accordo dell’ultimo minuto.
Al momento tuttavia ci sono pochi segnali positivi ma, ancora secondo il Financial Times, l’imminente arrivo della Cina nel mercato dei grandi costruttori di aerei - finora un duopolio Airbus-Boeing - potrebbe indurre le due sponde dell’Atlantico a trovare una soluzione di compromesso.
Il tempo però stringe e l’Office of the U.S. Trade Representative - l’agenzia federale americana che si occupa del commercio - ha già dichiarato di voler procedere con l’imposizione dei dazi punitivi dal prossimo 18 ottobre. Ha anche diffuso la lista dei prodotti europei che potrebbero esserne colpiti. Andiamo quindi a vedere nel dettaglio le tariffe che potrebbero interessare l’Italia.
I prodotti italiani a rischio e le conseguenze
Dalla lista diffusa dall’Office of the U.S. Trade Representative risulta che, tra i prodotti italiani, potranno essere oggetto di dazi al 25 per cento liquori e cordiali (ma non il vino), formaggi (caprini e vaccini), prosciutti e simili e alcuni succhi di frutta. Nel 2018 l’export complessivo dell’Italia verso gli Stati Uniti è stato pari a 42,45 miliardi di euro.
Per i dati di dettaglio sui vari prodotti guardiamo però al 2017, quando l’export verso gli Usa era comunque stato simile (40,43 miliardi di euro). Allora l’export di prodotti caseari era stato pari a 317 milioni di dollari , quello di liquori e vermouth a circa 190 milioni di dollari, quello di carni a circa 84 milioni di dollari.
Il grosso delle esportazioni dell’Italia verso gli Usa è fatto - sempre in base ai dati 2017 - da automobili (5 miliardi di dollari), medicine (3,6 miliardi di dollari), vino (1,8 miliardi di dollari), navi (1,6 miliardi) e componentistica degli aeroplani (un miliardo di dollari). Le altre voci hanno tutte un peso inferiore.
Non dovrebbe quindi avverarsi la previsione molto negativa di Coldiretti di un danno fino a un miliardo di euro, anche considerato che l’associazione aveva preso in considerazione il vino e altri beni come olio e pasta che invece non compaiono nella lista dell’Office of the U.S. Trade Representative.
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