Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ospite il 21 settembre della festa di Fratelli d’Italia, si è mostrato possibilista sull’ipotesi - avanzata a inizio mese dal ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti (M5s) - di tassare merendine e bibite gassate. Dall’opposizione non sono mancate le critiche.
Ma che fondamento ha questa proposta? Quali Paesi hanno adottato provvedimenti simili? E con quali risultati? Andiamo a vedere meglio la situazione.
Che cosa ne pensa l’Organizzazione mondiale della sanità
La tassazione delle bibite gassate è raccomandata, come uno dei possibili mezzi per ridurre il consumo di zuccheri, dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
In un documento del 2017 dell’Oms si legge, infatti, che il problema dell’obesità è significativamente aumentato negli ultimi anni. A livello mondiale, i casi di obesità sono triplicati dal 1975; si stima che, nel 2014, il 39 per cento degli adulti fosse sovrappeso e il 13 per cento obeso; nel 2016, 41 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni era obeso; il numero di bambini e adolescenti obesi è passato da 11 milioni nel 1975 a 124 milioni nel 2016. L’aumento è poi più veloce nei Paesi con un reddito medio basso o medio-basso.
L’obesità, scrive ancora l’Oms, porta con sé diverse malattie legate al consumo eccessivo di zuccheri come il diabete, il cancro e le malattie cardiache. Per contrastare la situazione, i governi hanno diverse soluzioni a disposizione, tra cui proprio una tassa sugli zuccheri. «Come tassare il tabacco aiuta a ridurre il consumo di tabacco - si legge nel rapporto - tassare le bevande zuccherate aiuta a ridurre il consumo di zuccheri".
Questo tipo di tassazione, sempre secondo l’Oms, comporta diversi benefici: riduce il consumo di zuccheri (se il costo della bibita aumenta del 20 per cento, i consumi si possono ridurre fino al 20 per cento), fa risparmiare i sistemi sanitari nazionali, aumenta il gettito fiscale e aiuta soprattutto le famiglie a reddito basso a ridurre i consumi di bevande zuccherate.
I Paesi dove sono tassati gli zuccheri
Da uno studio del 2018 del World Cancer Research Fund (Wcrf) del 2018, organizzazione non governativa che si occupa di prevenire la diffusione del cancro, risulta che sono una quarantina scarsa i Paesi che negli ultimi 40 anni hanno introdotto forme di tassazione sulle bibite gassate.
Nell’elenco troviamo molti piccoli Stati insulari (ad esempio Mauritius, Barbados, Tonga), diverse amministrazioni locali degli Usa, vari Stati del Sud e Centroamerica (Messico, Cile, Ecuador, Perù e altri), Stati asiatici e africani (India, Filippine, Tailandia, Sudafrica) e anche numerosi Paesi europei.
Questi, in particolare, sono Norvegia (già dal 1981 e poi inasprite nel 2017), Finlandia (dal 2011), Ungheria (dal 2011), Francia (dal 2012), Belgio (dal 2016), Portogallo (dal 2017), Catalogna (2017), Regno Unito e Irlanda (dal 2018).
Ma che effetti ha prodotto questo tipo di tassazione in concreto?
Gli effetti della tassa sugli zuccheri
La tassa sulle bevande zuccherate produce effetti a diversi livelli. In primo luogo, riduce i consumi di zuccheri. In Messico - secondo il Wcrf - una tassa del 10 per cento ha fatto ridurre i consumi, nei due anni successivi all’introduzione, dell’8,2 per cento.
In Catalogna, secondo uno studio accademico dedicato, la tassa ha ridotto i consumi di bevande zuccherate del 22 per cento, e queste sono state sostituite nel mercato da bevande senza zuccheri o “light”. A Berkeley, città degli Usa, la riduzione ha addirittura superato il 50 per cento tra le famiglie con bassi redditi.
A questa riduzione non si dovrebbe associare, secondo quanto sostiene uno studio accademico pubblicato dalla American Public Health Association nel 2014, una perdita di posti di lavoro. Lo studio ha condotta una simulazione macroeconomica su due Stati campione, Illinois e California. Da quel che è emerso, la perdita di posti di lavoro nel settore delle bevande gassate è più che compensata dall’aumento negli altri settori, per cui nel complesso si registra un leggero aumento degli occupati (+0,06 per cento e +0,03 per cento).
La spesa sanitaria pubblica, secondo uno studio accademico statunitense del 2012, si dovrebbe poi ridurre - a fronte di un’accisa di un centesimo di dollaro per oncia di zucchero (28,35 grammi) - di 17 miliardi di dollari in 10 anni: nel decennio 2010-2020 si eviterebbero 2,4 milioni di casi di diabete, 95 mila casi di problemi coronarici, 8 mila infarti, 26 mila morti premature. Inoltre si avrebbero maggiori entrate, da questa tassa, pari a 13 miliardi di dollari all’anno.
Ma, in concreto, negli Stati che hanno adottato questo genere di tasse non esistono - citiamo ad esempio uno studio sul Cile - ancora dati sufficienti per affermare che la riduzione dei consumi abbia prodotto davvero i benefici attesi per la salute. Un elemento, questo, sottolineato dalle industrie europee dei soft drink.
Conclusione
La tassazione delle bevande zuccherate è raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Diversi Paesi, nel mondo e anche nella Ue, l’hanno già introdotta. Secondo gli studi accademici in proposito, è dimostrata una riduzione del consumo di questo genere di bevande in seguito all’introduzione di una tassa apposita.
Sempre secondo la letteratura scientifica, nel medio periodo sono prevedibili una riduzione di spesa pubblica sanitaria, un aumento delle entrate e un bilanciamento leggermente positivo tra perdita e guadagno di posti di lavoro.
Ma al momento non ci sono ancora abbastanza elementi per sostenere che nei Paesi in cui sono state introdotte tasse di questo genere si siano effettivamente già registrati i benefici attesi per la salute pubblica.
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