Il 7 giugno, ospite a Piazza Pulita su La7, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha commentato la spesa pensionistica dell’Italia.
Secondo Tridico, "quando le stime comunitarie o dell’Ocse ci dicono che spendiamo troppo per la previdenza rispetto agli altri Paesi, se andassimo a depurare questo dato dal dato “assistenza” – che altri Paesi hanno in un’altra cassa – allora scopriremmo che non spendiamo più degli altri Paesi, ma in linea con la media europea".
Il commento del presidente dell’Inps fa parte della polemica intorno alla raccomandazione della Commissione Ue di avviare una procedura d’infrazione contro l’Italia. Secondo Bruxelles, infatti, una delle cause dell’eccessivo aumento del rapporto debito/Pil italiano è da ricercarsi nelle misure prese dal governo Conte in ambito pensionistico.
Ma quello che dice Tridico è vero, o no? Abbiamo verificato.
La differenza tra previdenza e assistenza
Le prestazioni previdenziali sono le pensioni, finanziate con i contributi versati dai lavoratori e dalle aziende.
Le prestazioni assistenziali, invece, sono quelle di sostegno al reddito, che – come scrive l’Inps – "tutelano i lavoratori che si trovano in particolari momenti di difficoltà della loro vita lavorativa e provvedono al pagamento di somme destinate a coloro che hanno redditi modesti e famiglie numerose". Non sono quindi finanziate con i contributi dei lavoratori, ma più in genere dal bilancio dello Stato (la cosiddetta "fiscalità generale").
Tra le prestazioni assistenziali collegate al reddito ci sono, per esempio, gli assegni mensili per gli invalidi, le indennità di disoccupazione e il reddito di cittadinanza.
In realtà, distinguere tra previdenza e assistenza è più complesso di quello che sembra e fare riferimento ai contributi per la prima come fonte di finanziamento e alla fiscalità generale per la seconda nasconde delle difficoltà. Vediamo perché.
Che cosa dicono i dati dell’Inps
Secondo il bilancio dell’Inps (qui scaricabile), nel 2016 (anno più recente in un formato consultabile) la spesa pensionistica è stata pari a quasi 259 miliardi di euro (pag. 60). Questa cifra contiene circa 247 miliardi di euro della cosiddetta spesa previdenziale, mentre circa 12 miliardi di euro valgono per le pensioni erogate "per conto dello Stato" (espressione che comprende, tra le altre, quelle sociali e quelle degli invalidi civili).
Sembrerebbe quindi che le spese non previdenziali siano solo una ridotta minoranza, dando in sostanza torto a Tridico.
Ma le cose sono più complesse di così: un primo problema è che nella cosiddetta "spesa previdenziale" è conteggiata, tra le altre cose, anche la spesa per la Gestione degli interventi assistenziali (Gias), che è finanziata con la fiscalità generale e non con i contributi.
La Gias è stata istituita a marzo 1989 come primo passo per separare l’assistenza dalla previdenza. Quindi all’interno di quella che potrebbe essere considerata spesa previdenziale, sembra essere compresa anche una parte di quella assistenziale.
Un secondo problema è che all’interno della Gias sono contenuti a sua volta anche interventi intesi comunemente come previdenziali, come per esempio quelli di copertura dei disavanzi nelle pensioni per i dipendenti pubblici.
Insomma, dividere ciò che è assistenza da ciò che è previdenza è tutt’altro che facile, e questo problema si riflette anche nelle rilevazioni statistiche.
Quanto spendiamo secondo Eurostat e Ocse
Tridico prende in considerazione le stime dell’Unione europea e quelle dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Secondo l’Ufficio statistico dell’Ue (Eurostat), nel 2016 (dati più aggiornati) l’Italia ha speso il 16,1 per cento del suo Pil in spesa pensionistica (oltre 270 miliardi di euro), seconda nell’Ue soltanto alla Grecia (17,5 per cento).
Al terzo posto c’è invece la Francia (15,1 per cento), mentre Paesi come Spagna (12,1 per cento) e Germania (11,8 per cento) spendono meno in rapporto al Pil.
Nel 2016 la media Ue (a 28 Paesi) era del 12,6 per cento e quella dell’area euro (a 19 Paesi) del 13,3 per cento.
Queste percentuali sono in linea con quelle dell’Ocse, secondo cui nel 2015 (dati più aggiornati) l’Italia ha speso il 16,2 per cento del Pil in spesa pensionistica, al penultimo posto dietro la Grecia (16,9 per cento).
Anche in questo caso il nostro Paese si trova sopra alla media di quelli appartenenti all’Ue e all’area euro.
Che cosa contengono questi dati
Secondo Tridico, i numeri di queste classifiche nasconderebbero però un problema di fondo: per l’Italia, Eurostat e Ocse mettono insieme le prestazioni previdenziali e quelle assistenziali, mentre per gli altri Paesi no, avendo quest’ultimi una gestione dell’assistenza diversa dalla nostra. Ma è davvero così?
I dati di Eurostat sulla spesa pensionistica in Europa sono raccolti attraverso Sespros, ossia il Sistema europeo di statistiche integrate della protezione sociale. Come spiega il sito dell’ufficio statistico, questo sistema permette di avere una comparazione "coerente" a livello internazionale e tra i Paesi Ue sulla spesa per la protezione sociale.
Questo è possibile perché per "spesa pensionistica" Eurostat intende una serie di prestazioni sociali (tra cui le pensioni di disabilità e di anzianità; quelle anticipate e ai superstiti) considerate come previdenza e assistenza all’interno della nostra Inps.
Inoltre, come elenca il manuale con le linee guida del Sespros, gli schemi di protezione sociale considerati per gli Stati membri sono molti e diversi tra loro. Le voci per l’Italia a carico dell’Inps, per esempio, sono oltre 20.
Anche l’Ocse nella sua definizione di “spesa pensionistica” include prestazioni assistenziali, come le spese sociali in servizi per i cittadini più anziani.
Riassumendo: secondo Tridico, le classifiche di Eurostat e Ocse considerano per l’Italia la spesa in previdenza e quella in assistenza, mentre per gli altri Paesi la spesa per la seconda voce viene “depurata”, ossia non considerata.
Come abbiamo visto, non è così: sia Eurostat che Ocse nella loro classifica inseriscono anche alcune voci di spesa assistenziale, per rendere il confronto a livello europeo e internazionale "coerente" da un punto di vista statistico.
Una promessa non mantenuta e altre critiche
Il Contratto di governo – firmato il 18 maggio 2018 da Lega e Movimento 5 stelle – ha tra i suoi impegni quello di "riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza".
Come abbiamo spiegato con il nostro progetto Traccia il Contratto, a oggi questa promessa non è ancora stata mantenuta dall’esecutivo Conte, sebbene a favore di questo intervento si siano dichiarati i principali sindacati italiani (Cgil, Cisl e Uil).
In realtà, la mancata separazione tra previdenza e assistenza è solo una delle tre critiche principali che vengono fatte alle classifiche internazionali, sulle quali – come spiega un rapporto dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università cattolica – c’è da tempo un forte dibattito.
Una seconda critica riguarda il fatto che queste graduatorie non tengono conto delle tasse sulle pensioni, che in Italia sarebbero più alte rispetto agli altri Paesi.
Una terza critica, infine, sostiene che nelle classifiche per l’Italia sarebbero conteggiate anche le spese per il trattamento di fine rapporto (Tfr), cosa che non avverrebbe per gli altri Paesi.
Conclusione
Secondo il presidente dell’Inps Tridico, il fatto che l’Italia sia al secondo posto delle classifiche internazionali per spesa pensionistica tradisce un equivoco di fondo: queste rilevazioni non scorporerebbero per il nostro Paese la spesa previdenziale da quella assistenziale, sovrastimandone di fatto la spesa pensionistica.
La dichiarazione di Tridico ha però due problemi.
Il primo è che non è semplice fare distinzione, all’interno delle voci di spesa, su che cosa sia “previdenza” e che cosa “assistenza”.
Il secondo è che sia Eurostat che Ocse, nelle loro indagini statistiche ed economiche, tengono conto di entrambi gli aspetti quando fanno un confronto a livello internazionale delle spese pensionistiche.
È comunque vero che da anni si discute sugli eventuali vantaggi di separare in maniera più netta nell’Inps la componente previdenziale da quella assistenziale (un impegno preso nel Contratto di governo anche da Lega e M5s) e che c’è dibattito su come vadano letti i dati sui confronti internazionali.