Il 4 giugno 2019 Iveta Radicova, la coordinatrice europea del Corridoio Mediterraneo dell’Unione europea (ossia quello di cui dovrebbe fare parte la Tav Torino-Lione), ha detto che l’Ue è disposta a finanziare la nuova tratta ferroviaria al 55 per cento, rispetto al 50 per cento annunciato a novembre 2018 e al 40 per cento degli accordi originari.
A febbraio 2019, il gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – coordinato da Marco Ponti – ha pubblicato un’analisi costi-benefici (Acb) che dà parere negativo all’opera.
Se l’annuncio dell’Ue diventasse realtà, come cambierebbero i risultati di questa analisi? Abbiamo verificato.
I risultati dell’analisi costi-benefici
Come spiegano gli autori dell’Acb, l’analisi ha l’obiettivo di valutare il contributo della Tav "al benessere economico complessivo", per stabilire se è negativo o positivo.
Questo valore è insomma il risultato di una sottrazione: tra i benefici per gli utenti, sommati alla variazione dei costi operativi del produttore e dello Stato e a quella dei costi esterni (per esempio ambientali), con i costi di investimento, ossia quelli necessari per realizzare l’opera.
Come vedremo, tra i costi di investimento non vengono considerati solo quelli italiani, ma anche quelli francesi e indirettamente anche i soldi di finanziamento europei. Una variazione tra la divisione del costo totale, insomma, non modifica il risultato finale del calcolo.
Torniamo all’ultima analisi costi-benefici. In sostanza, secondo il gruppo di lavoro coordinato da Marco Ponti, la linea ferroviaria Torino-Lione "presenta una redditività fortemente negativa". In sostanza, i costi per la collettività e per lo Stato sono più alti dei benefici.
Ma superiori di quanto? Dipende dagli scenari presi in esame.
Se si considerano le previsioni più ottimistiche sul traffico di merci e passeggeri (fatte nel 2011) e i costi ancora da sostenere per realizzare l’opera, la Tav genererebbe una perdita complessiva tra gli 8,7 miliardi di euro.
Se si considerano invece le stime più realistiche fatte dalla commissione, questa cifra scenderebbe a 6,1 miliardi di euro.
Quanto costa fare la Tav e quanto ci mette la Ue
L’Acb del Mit considera come costo di investimento totale della tratta transfrontaliera la stima certificata dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ad agosto 2017, che ha un valore di circa 9,6 miliardi di euro.
Di questi, circa 5,6 miliardi di euro sono di competenza dell’Italia, mentre i restanti 4 miliardi di euro sono della Francia. Entrambe queste due somme includono già anche il contributo dell’Unione europea, che secondo le norme europee valide tra il 2014 e il 2020 cofinanzia l’opera per il 40 per cento, in quanto progetto transfrontaliero per i collegamenti ferroviari.
Se la sovvenzione fosse rispettata per la costruzione di tutta la tratta al confine, il costo della parte a carico esclusivamente dell’Italia scenderebbe a circa 3,3 miliardi di euro e quella francese a circa 2,4 miliardi di euro.
Che cosa succederebbe se l’Ue aumentasse i fondi
Se per il periodo di finanziamento tra il 2021 e 2027 l’Ue invece aumentasse il co-finanziamento al 55 per cento (+15 per cento rispetto al livello attuale), il contributo europeo salirebbe a circa 5,3 miliardi di euro.
Il costo per l’Italia scenderebbe dunque a circa 2,5 miliardi di euro, mentre quello a carico della Francia a 1,8 miliardi di euro.
Ma la somma complessiva dei costi di investimento di 9,6 miliardi di euro, come abbiamo anticipato, non cambierebbe. E l’ultima analisi costi-benefici è stata fatta solo sulla cifra totale: la divisione interna di chi paga quanto, insomma, è ininfluente, un aspetto su cui già in passato si sono concentrate diverse critiche.
Vediamo meglio perché.
Le critiche all’Acb
Secondo il Quaderno 13 dell’Osservatorio Torino-Lione – pubblicato a febbraio 2019 e scritto tra gli altri anche dall’ex commissario del governo per la Tav Paolo Foietta – la stima di 9,6 miliardi di euro è sbagliata. Questa cifra infatti sarebbe una rivalutazione economica eccessiva della stima di 8,6 miliardi di euro fatta nel 2012, tenuto conto l’aumento del costo delle materie prime e dell’inflazione.
Secondo Foietta e colleghi, il costo attualizzato corretto è di circa 8,8 miliardi di euro, quasi 800 milioni in meno del numero usato dalla commissione del ministero.
Un secondo problema riguarda invece il calcolo in generale: perché considerare anche i soldi messi da Francia e Ue per valutare se all’Italia convenga fare o meno la Tav? Secondo i critici, questa soluzione sembrerebbe generare confusione: come abbiamo visto, se si considerassero soltanto i costi di realizzazione a carico dell’Italia, questi sarebbero circa 2,5 miliardi di euro, molti meno dei 9,6 miliardi di euro complessivi usati dall’Acb.
Il punto è che tra gli economisti non c’è accordo su quali elementi prendere in considerazione in un’analisi con più fattori come quella costi-benefici.
Un esempio di questo dibattito riguarda per esempio la questione delle accise e dei pedaggi. Secondo la commissione del ministero, la perdita di entrate su queste due voci andrebbe conteggiata tra i costi, mentre secondo altri economisti no.
Una differenza non da poco, ai fini della valutazione finale: nello scenario con previsioni realistiche, la commissione stima che entro il 2059 lo Stato subirebbe una perdita netta di accise superiore a 1,6 miliardi di euro, mentre i concessionari autostradali incasserebbero circa 3 miliardi di euro in meno dai pedaggi.
Conclusione
L’Unione europea ha annunciato che potrebbe aumentare al 55 per cento la sua quota di co-finanziamento per la realizzazione della Tav.
I risultati negativi dell’Acb pubblicata a febbraio 2019 dal ministero però non vengono toccati: questo è dovuto al fatto che l’analisi non fa distinzione sulla provenienza dei soldi per la realizzazione dell’opera. Per la collettività, la Tav ha comunque più costi che benefici, indipendentemente dal fatto che i soldi li metta l’Ue o l’Italia.
Come tutto quanto coinvolge la Tav, anche la metodologia dietro questa analisi è stata fortemente criticata: in particolare proprio sul modo in cui sono stati considerati i costi di investimento. Secondo alcuni economisti la cifra utilizzata è troppo alta, mentre secondo altri è un errore non considerare le spese soltanto a carico dell’Italia.