Il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, commentando i risultati delle elezioni europee a livello continentale, il 27 maggio mattina ha dichiarato: "L’aggressione sovranista alle istituzioni europee è fallita (...). Dentro il Parlamento europeo c’è un’ampia, solida e forte maggioranza che ha la voglia di cambiare l’Europa ma di difendere e rilanciare il grande sogno europeo. Questo colloca le forze sovraniste anche italiane in una posizione di marginalità".
Dall’altra parte, Matteo Salvini ha commentato a caldo i risultati della serata elettorale annunciando che "un’Europa che cambia".
Chi ha ragione? Il leader della Lega italiana che promette cambiamenti o il segretario del Partito Democratico che dà per sicura una scarsa rilevanza dell’ormai primo partito italiano e dei suoi alleati?
Se guardiamo ai numeri, il "fallimento" dell’"aggressione sovranista" è un’affermazione sostanzialmente corretta. Andiamo a capire come dovrebbe essere composto il prossimo Parlamento europeo e quali sono le alleanze possibili.
I margini di incertezza
Al momento c’è ancora un ineliminabile margine di incertezza dovuto al fatto che i gruppi europarlamentari verranno formati ufficialmente solo tra qualche settimana. La scadenza per notificare la composizione dei gruppi è infatti il 24 giugno.
Dunque è possibile che singole formazioni nazionali decidano di migrare da un gruppo a un altro (come potrebbe accadere se alcuni partiti di destra affiliati ai conservatori o ai popolari - come Orbán - dovessero cedere alle lusinghe di Salvini), di fondersi (come dovrebbe accadere tra i liberali dell’Alde e la République en Marche di Macron) o di aderire a un gruppo esistente vista l’impossibilità di crearne uno autonomo (come potrebbe succedere al M5s) in base al requisito di avere almeno 25 eurodeputati provenienti da 7 Stati membri diversi.
A questo va aggiunto l’ulteriore elemento di incertezza rappresentato dalla Brexit: il Regno Unito manda a Bruxelles una nutrita pattuglia di 73 eurodeputati, e visti i risultati delle elezioni europee molti di loro andrebbero a sedersi tra le file dei “sovranisti”. Ma se, come auspicato proprio dai sovranisti inglesi, la Brexit dovesse realizzarsi, gli eurodeputati inglesi dovrebbero abbandonare l’Europarlamento e i loro seggi verrebbero in parte eliminati e in parte ridistribuiti tra gli altri Stati. In questo caso il gruppo più danneggiato, in proporzione, sarebbe quello dove andassero a confluire gli eurodeputati del Brexit Party di Nigel Farage.
Premesso questo, vediamo la composizione del prossimo Europarlamento e se i margini di incertezza appena visti potrebbero essere determinanti o meno.
La composizione del Parlamento europeo
Quante chance hanno i “sovranisti”
Secondo il sito del Parlamento europeo - con risultati relativi a tutti e 28 gli Stati membri, e aggiornati l’ultima volta alle 12.21 del 27 maggio - la composizione dell’Europarlamento dovrebbe essere la seguente:
Il Partito che elegge più deputati è il Partito popolare europeo (180), seguito dai socialisti (146), liberali (109, contando anche i francesi di la République en Marche) e verdi (69).
Per conteggiare il peso dei “sovranisti” bisogna però tenere conto del fatto che questi sono dispersi in più gruppi all’Europarlamento, oggi e forse anche nel prossimo futuro.
Il gruppo di cui nel Parlamento europeo uscente fa parte la Lega, insieme al Rassemblement National di Marine Le Pen, al Fpö austriaco, al Pvv olandese di Gert Wilders e ad altri, è l’Enf (Europa delle nazioni e della libertà). Nella legislatura europea che va chiudendosi, era composto da 37 membri e ora dovrebbe passare a 58 (di cui 28 eletti dalla Lega e 22 dal Rassemblement National).
Ma il fronte sovranista non finisce qui. I membri del Brexit Party ad esempio fanno parte nel Parlamento europeo uscente, insieme a quelli del M5s, del gruppo Efdd (Europa della libertà e della democrazia diretta).
Questo gruppo però, accreditato nel nuovo Europarlamento di 54 membri, potrebbe non nascere e i partiti che lo compongono disperdersi. I 29 membri del Brexit Party, insieme agli altri eletti britannici, dovrebbero in teoria lasciare il seggio se passasse la Brexit e non è chiaro cosa faranno i 14 membri eletti dal M5s.
Terzo pezzo del fronte sovranista si trova nel gruppo Ecr (Conservatori e riformisti europei), che a differenza degli altri due gruppi già citati perde peso, passando da 76 membri a 59 (di cui 23 eletti dal Pis polacco).
Ultimo pezzo che si può ascrivere ai sovranisti sono i 13 eurodeputati ungheresi di Fidesz, il partito del premier ungherese Orbán che fa parte (seppur sospeso) del Partito popolare europeo ma che non ha mai fatto mistero della sua vicinanza - ricambiata - con Salvini.
La somma teorica dei tre gruppi, più gli ungheresi di Orbán, fa 184 eurodeputati. Sarebbe il gruppo più numeroso dell’Europarlamento, davanti al Ppe (che, orfano dei 13 eurodeputati di Fidesz, scenderebbe a 167 membri).
Ma ci sono due questioni macroscopiche da tenere in considerazione e che rendono fondata la previsione di irrilevanza fatta da Zingaretti.
La prima è che questi gruppi politici non si sommano: al di là dei 29 inglesi del Brexit Party che se ne potrebbero andare se il loro sogno si avverasse, e dei 14 italiani del M5s che non sembra probabile voglia iscriversi a un’alleanza europea di estrema destra, e anche al di là dei dubbi che i 13 ungheresi di Fidesz alla fine vogliano abbandonare il Partito popolare europeo per un gruppo sovranista, tra i nazionalisti convinti restano differenze apparentemente inconciliabili. Il premier polacco Mateusz Morawiecki, in un’intervista a ridosso delle elezioni europee, aveva escluso ad esempio alleanze con il Rassemblement National di Marine Le Pen. E i temi su cui i “sovranisti” litigano sono molti, dal rapporto con la Russia di Putin al rigore economico.
La seconda questione macroscopica è che, anche se nascesse un gruppo unitario in grado di tenere insieme il M5s, il Pis polacco, il Fidesz ungherese e il Rassemblement National francese, non avrebbe interlocutori con cui allearsi.
La maggior parte delle formazioni del Partito popolare europeo - con le eccezioni ad esempio di Fidesz e di Forza Italia - non vuole alleanze a destra, specie con chi vuole indebolire l’Unione europea rispetto agli Stati nazionali. E se anche riuscisse l’impresa impossibile di far alleare i 167 membri del Ppe - senza perdere nessuno - con il gruppo unitario di sovranisti, populisti e conservatori (184 membri), per avere la maggioranza nell’Europarlamento (fissata a quota 376, la metà più uno dei 750 seggi, tolto il presidente) mancherebbero ancora 25 parlamentari europei che non è chiaro da dove potrebbero arrivare.
Un’alternativa facile
Insomma, perché i sovranisti abbiano modo di andare al potere nelle istituzioni dell’Unione europea dovrebbero verifcarsi una serie di condizioni che è molto difficile si realizzino. Mentre per ipotizzare il contrario non serve nessuno sforzo di fantasia.
La “grande coalizione” a livello europeo tra Popolari e Socialisti oggi non ha più la maggioranza, ma gli è sufficiente allearsi con i liberali dell’Alde - che condivide l’impostazione europeista degli altri due partiti - per ottenere ben più dei 376 seggi necessari (in particolare ne otterrebbe 435 contando Fidesz, 422 senza).
Non solo. Anche i Verdi, anche loro fortemente europeisti, potrebbero sommarsi all’alleanza, portando il totale del blocco ostile ai nazionalisti-sovranisti-populisti a 504 (con Fidesz, 491 senza).
Conclusione
Salvo clamorose, e al momento imprevedibili, giravolte di molti tra i principali partiti nazionali ed europei, i sovranisti sono destinati a un’opposizione con poche speranze di incidere, come detto da Zingaretti.
Un’ampia maggioranza di europarlamentari sono parte di forza dichiaratamente europeiste e gli scenari più probabili passano da alleanze tra Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi. Alleanze che è probabile si concretizzino in particolar modo quando si tratterà di dover eleggere o nominare le principali figure istituzionali della Ue, dal Presidente del Consiglio europeo a quello della Commissione, dall’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza al successore di Mario Draghi alla guida della Bce.
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