Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato di Forza Italia, il 28 aprile ha parlato di province, tema che sta dividendo il governo con la Lega favorevole a un loro potenziamento e il M5s contrario.
La senatrice ha sostenuto che le scelte prese negli ultimi anni "non hanno senso" e che con le recenti riforme alle province "sono stati drasticamente ridotti personale (20 mila dipendenti in meno) e risorse (5,2 miliardi in meno in quattro anni), ma sono rimaste funzioni fondamentali come la pianificazione territoriale, le strade, l'edilizia scolastica, il trasporto pubblico e privato".
L’affermazione è imprecisa ma sostanzialmente corretta.
La legge Delrio
L’ultima riforma che ha interessato le province – dopo il tentativo del governo Monti, rimasto incompleto e bocciato dalla Corte Costituzionale – è la legge Delrio (l. 56/2014).
In base ad essa le province – ma solo quelle delle regioni a statuto ordinario – non vengono abolite, ma profondamente riformate.
La loro abolizione, a lungo discussa, è infatti possibile solo con una riforma costituzionale, visto che in base all’art. 114 della Carta sono enti costitutivi della Repubblica. La riforma costituzionale approvata dal governo Renzi eliminava dalla Costituzione ogni riferimento esplicito alle province, ma è stata bocciata con referendum costituzionale nel dicembre 2016.
La riforma Delrio, in sintesi, ha istituito 10 città metropolitane in luogo di altrettante province e ha confermato il passaggio delle province, già previsto dalla riforma Monti, a enti di secondo grado. Presidenti e consiglieri provinciali non vengono quindi eletti dai cittadini, come avveniva prima, ma dai sindaci e dai consiglieri comunali.
Non esistono le giunte; i presidenti durano in carica quattro anni e i consigli provinciali durano in carica due anni. Gli amministratori provinciali non ricevono alcun compenso per il loro incarico.
Le competenze rimaste
Alle province, così delineate, sono rimaste diverse funzioni fondamentali. In base all’art. 1 co. 85 della legge Delrio queste, in sintesi, sono: pianificazione territoriale; trasporti pubblici e (circa autorizzazione e controllo) privati; costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale su di esse; discriminazione sul posto di lavoro e pari opportunità; edilizia scolastica.
Dunque l’elenco di funzioni fondamentali dato dalla Bernini è corretto.
Come evidenzia un documento che abbiamo chiesto e ottenuto dall’Unione province d’Italia (Upi) – l’associazione che riunisce tutte le province italiane, a eccezione di quelle autonome di Trento e Bolzano – gli edifici scolastici da gestire sono 5.100, per oltre 2,5 milioni di studenti e la rete stradale è lunga nel complesso più di 130 mila km, cioè "l’80% della rete viaria nazionale, su cui insistono almeno 30.000 tra ponti, viadotti e gallerie".
Il numero di dipendenti
Il numero di dipendenti non è stato ridotto dalla legge Delrio ma dalla legge di Bilancio per il 2015.
In base ad essa (art. 1 co. 421) "la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario" è stata ridotta rispettivamente del 30 per cento e del 50 per cento.
In numeri assoluti questo ha comportato un taglio di circa 16 mila dipendenti, che sono stati pensionati o integralmente ricollocati in altri enti.
In particolare, 2.564 sono andati in pensione; 5.505 sono stati assorbiti nel personale dei Centri per l’impiego; 720 ricollocati presso Ministeri o tribunali; 7.185 ricollocati direttamente dalle Regioni.
Il numero citato dalla Bernini ("20 mila") è quindi impreciso, ma l’ordine di grandezza è corretto.
Le risorse tolte
In un documento del servizio studi della Camera dei deputati, pubblicato il 14 febbraio 2019, troviamo una sintesi delle riduzioni delle risorse attribuite a province e città metropolitane delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Sicilia e Sardegna.
Il dato delle riduzioni è riferito al 2017, ma nasce dalla somma di varie riduzioni disposte nel corso degli anni precedenti.
Complessivamente le riduzioni ammontano a 5,75 miliardi di euro – il peso maggiore, 3 miliardi di euro, lo ha la legge di Bilancio per il 2015 – ma fa parte dell’insieme anche una legge del 2010 (d.l. 78/2010, art 14 co.2), varata dall’allora governo Berlusconi, antecedente alle riforme Monti e Delrio che forse Bernini non ha preso in considerazione nel conteggio.
Tale riduzione pesa per mezzo miliardo di euro: senza di essa il totale è in effetti di 5,25 miliardi, circa quanto dichiarato dalla senatrice forzista.
Le risorse restituite
A fronte di queste riduzioni, sono però state anche concesse altre risorse alle province per far fronte alle spese collegate alle funzioni che ancora sono chiamate ad assolvere.
Il provvedimento più sostanzioso è contenuto all’art. 1 co. 754 della legge di Bilancio per il 2016, che dà "un contributo complessivo di 495 milioni di euro nell'anno 2016, 470 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 400 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021 (...) finalizzato al finanziamento delle spese connesse alle funzioni relative alla viabilità e all'edilizia scolastica".
Ma ce ne sono molti altri. Disposizioni di questo genere, ma spesso con efficacia limitata a un singolo anno o al massimo a pochi anni, sono contenute ad esempio nel d.l. 113 del 2016 (art. 7 bis co. 1-2), nel d.l. 50 del 2017 (artt. 20 e 25) e nella legge di Bilancio per il 2018 (art. 1 co. 70, 838, 1076).
Dunque se è vero, come dice Bernini, che sono state tolte risorse per 5,2 miliardi di euro – non considerando la riduzione di 500 milioni del 2010 –, è anche vero che poi di volta in volta altre risorse (seppure minori) sono state restituite.
Tiriamo le fila
Le province si trovano ad oggi in un limbo giuridico ed economico. I governi della precedente legislatura, partendo da quanto fatto dal governo Monti, avevano previsto un percorso di progressiva eliminazione delle province ma quel percorso si è interrotto col referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale.
Fino ad allora e dopo di allora la situazione, in particolare circa le risorse, è stata corretta con provvedimenti ad hoc, che consentissero alle province di far fronte alle spese collegate alle funzioni che ancora ricoprono, in particolare nella viabilità e nell’edilizia scolastica. Ma, secondo diversi osservatori, sarebbe preferibile una soluzione più definitiva.
Secondo il servizio studi della Camera, il fallimento del referendum "ha ulteriormente fatto emergere la necessità di interventi di razionalizzazione degli assetti istituzionali e finanziari degli enti in questione [province e città metropolitane n.d.r.]".
Un parere condiviso anche dalla Corte dei Conti, che in un’audizione del febbraio 2017 sulla finanza delle province e delle città metropolitane aveva sostenuto che la bocciatura della riforma costituzionale nel 2016 "ha determinato l’interruzione del processo di riforma, creando una condizione di incertezza (...) soprattutto per la regolamentazione degli assetti istituzionali e degli aspetti finanziari degli enti interessati dalla riforma [province e città metropolitane n.d.r].".
Il governo in carica ha quindi istituito con il d.l. 91/2018 un tavolo tecnico-politico con il compito di definire le linee guida per una revisione organica della disciplina di province e città metropolitane (il tavolo tecnico si è riunito la prima volta il 10 gennaio 2019) ma, come dicevamo in apertura, ad oggi non c’è unanimità di visione all’interno della maggioranza.
Conclusione
Anna Maria Bernini ha ragione nel sostenere che alle province siano state tolte risorse e personale ma che siano rimaste funzioni fondamentali. Il processo di abolizione delle province non si è infatti compiuto e questi enti vivono in una situazione di incertezza, in cui le risorse vengono stanziate di volta in volta per far fronte alle necessità.
I numeri forniti dalla Bernini sono poi sostanzialmente corretti, al netto di qualche imprecisione: le funzioni fondamentali elencate dalla senatrice corrispondono a quelle elencate dalla legge Delrio; il numero di dipendenti in meno non è di 20 mila unità ma di 16 mila unità; infine le risorse tagliate ammontano (se guardiamo agli effetti cumulati nel 2017) a circa 5,2 miliardi solo se non si considera una prima riduzione di mezzo miliardi disposta dal governo Berlusconi nel 2010, e se non si calcolano le risorse “restituite” con provvedimenti ad hoc di anno in anno.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it