Il 15 aprile, a margine di una conferenza a Milano, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria Vito Crimi ha detto che il governo non intende rinnovare la convenzione con Radio Radicale.
Secondo il senatore del Movimento 5 stelle, l’emittente ha svolto il suo servizio "per 25 anni senza alcun tipo di valutazione, come l’affidamento con una gara". Il riferimento è alla convenzione con lo Stato che Radio Radicale ha dal 1994, grazie alla quale quest’ultima riceve fondi pubblici per trasmettere le sedute del Parlamento.
La tesi del governo è dunque che questo accordo non vada più rinnovato perché non poggia su basi “meritocratiche”.
In risposta, la leader di +Europa Emma Bonino ha detto che le dichiarazioni di Crimi sono "totalmente imprecise". Secondo l’ex segretaria del Partito Radicale, "in realtà ci fu una gara nel ’94 che Radio Radicale vinse e poi, ogni anno, ogni volta, Radio Radicale ha chiesto che si istituisse una gara per valutare tutti gli elementi del servizio e aprirlo anche ad altri contendenti".
Ma chi ha ragione tra i due contendenti? Abbiamo verificato.
Come si finanzia Radio Radicale
Ad oggi, Radio Radicale ha due fonti di finanziamento, entrambe messe a rischio da interventi recenti del governo.
La prima, che non interessa solo Radio Radicale, è il fondo per l’editoria, con cui l’emittente riceve dallo Stato ogni anno circa 4 milioni di euro. Dal 1990 infatti – con la legge n. 230 del 7 agosto – Radio Radicale accede ai contributi pubblici per le radio private che svolgono attività di interesse generale.
Come previsto dalla legge di Bilancio per il 2019 (art. 1, comma 810), questa forma di contributo sarà ridotta progressivamente per tutte le imprese nel mondo dell’editoria, fino a essere azzerata nel 2022.
Al centro della polemica tra Crimi e Bonino c’è la seconda fonte di finanziamento per Radio Radicale: una convenzione sottoscritta con il Ministero dello Sviluppo economico (Mise) per la trasmissione delle sedute parlamentari. Fino all’anno scorso, questa garantiva un introito per l’emittente di 10 milioni di euro annui (rinnovati anche con la legge di Bilancio per il 2018).
La legge di Bilancio per il 2019 (art. 1, comma 88) ha prorogato questo accordo solo per sei mesi, fino al 30 giugno 2019. Ha anche dimezzato le risorse per quest’anno a 5 milioni di euro, secondo i vertici dell’emittente mettendo a rischio la sostenibilità economica della radio.
"Il fondo dell’editoria per noi è già stato cancellato, a partire dal 2020. E con il dimezzamento della Convenzione ci rimangono solo 4 milioni", ha spiegato il 4 aprile al Corriere della Sera Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale. "Così non possiamo andare avanti".
Ma vediamo come, fino ad oggi, Radio Radicale ha ricevuto i finanziamenti sulla base della convenzione con il Mise.
Quando è nata la convenzione
La convenzione tra Radio Radicale e lo Stato è nata ufficialmente nel 1994 e ha avuto una storia articolata. Vediamone i passaggi principali.
La “legge Mammì” – dal nome del suo promotore Oscar Mammì, ministro delle Comunicazioni tra il 1987 e il 1991 – cambiò profondamente il sistema radiotelevisivo italiano nel 1990.
Tra le varie cose, la legge stabiliva (legge n. 223 del 6 agosto 1990, art. 24) che la Tv di Stato avesse tre reti televisive e tre reti radiofoniche. A queste ultime poteva aggiungersi, su richiesta dei presidenti del Senato e della Camera, una quarta "rete radiofonica riservata esclusivamente a trasmissioni dedicate ai lavori parlamentari".
Questa funzione era svolta già dal 1976 da Radio Radicale, in totale indipendenza. Nel 1991 – come spiegò in un’audizione parlamentare del 20 febbraio 1998 Paolo Vigevano, l’allora editore di Radio Radicale – i presidenti di Camera e Senato fecero la richiesta prevista dalla legge Mammì, ma la Rai non sembrò interessata a svolgere questo servizio, probabilmente per motivi economici ed editoriali.
Nel 1994 fu così approvato un decreto-legge (n. 602 del 28 ottobre) che stabiliva (art. 9) il principio della convenzione, e cioè che "allo scopo di assicurare il servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari [...] il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni" stipulasse "una convenzione di durata triennale con un concessionario per la radiodiffusione sonora".
Con questa convenzione, la concessionaria doveva impegnarsi – nei limiti annui di 10 miliardi di lire – "a trasmettere per ogni impianto, nell'orario tra le ore 8.00 e le ore 21.00, almeno il sessanta per cento del numero annuo complessivo di ore dedicate dalle Camere alle sedute d’aula".
E qui entrava in gioco per la prima volta il principio della gara pubblica. Come recitava il decreto-legge (art. 9 co. 3), infatti, la scelta del concessionario sarebbe dovuta avvenire "mediante gara, tenuto conto dei seguenti criteri: a) precedenti attività di informazione di interesse generale; b) affidabilità tecnica della proposta; c) minore contributo finanziario richiesto per il servizio; d) investimenti effettuati nel settore".
In realtà, questo decreto-legge decadde per mancata conversione da parte del Parlamento, ma la parte sulla convenzione trovò comunque applicazione.
Come spiega una nota di un dossier della Camera dei deputati sulla legge di Bilancio 2019, la convenzione fu approvata il 21 novembre 1994 con un decreto dell’allora ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Giuseppe Tatarella. Ad aggiudicarsela dopo una gara per i successivi tre anni era stata la società Centro di produzione S.p.a., ossia Radio Radicale.
"Nella gara fatta nel 1994 ci siamo presentati solo noi" ha spiegato ad Agi Paolo Chiarelli, amministratore delegato di Radio Radicale. "A livello nazionale non c’era nessuno interessato a fare questo servizio perché ti impedisce di fare la parte commerciale. A noi fu assegnata per il triennio successivo".
La convenzione mantenne la sua validità grazie alla legge n. 650 del 23 dicembre 1996, per essere poi rinnovata diverse volte nel corso del tempo. Insomma, riassumendo: la gara nel 1994 ci fu, anche se Radio Radicale fu l’unica concorrente.
Che cosa successe in seguito?
Quante volte è stata prorogata la convenzione
Il seguito è, si potrebbe dire, una storia italiana di situazioni transitorie che diventano definitive e di soluzioni temporanee protratte per decenni.
Dopo la scadenza della convenzione del 1994, avvenuta il 21 novembre 1997, venne adottata un’altra legge (n. 224 dell’11 luglio 1998), che "allo scopo di garantire la continuità del servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari" rinnovò per un triennio e "in via transitoria" la convenzione tra Radio Radicale e il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni (con un importo annuo di 11,5 miliardi di lire).
Come spiegava il testo di legge, la transitorietà della scelta era dovuta al fatto che i criteri della nuova gara pubblica per la concessione della convenzione sarebbero stati "definiti nel quadro dell'approvazione della riforma generale del sistema delle comunicazioni".
Di fatto, questo regime di transitorietà è diventato permanente nei decenni successivi, nonostante la nascita nel 1998 del canale radiofonico Rai Gr Parlamento.
Le proroghe della convenzione tra Stato e Radio Radicale sono avvenute per trienni, bienni e singole annualità – prima con il Ministero delle Comunicazioni, poi con quello Sviluppo economico – utilizzando le leggi di Bilancio o la conversione di decreti-legge.
Nel dettaglio, la legge finanziaria per il 2001 (art. 145, comma 20) ha autorizzato la spesa di 15 di lire miliardi per ciascuno degli anni 2001, 2002 e 2003 per la proroga della convenzione. Le legge finanziaria per il 2004 (art. 4, comma 7) ha stanziato 8,5 milioni di euro annui per il 2004, 2005, 2006. La legge finanziaria per il 2007 (art.1, comma 1.242) ha invece rinnovato la convenzione con la spesa di 10 milioni di euro annui fino al 2009.
Negli ultimi anni, le proroghe sono state fatte di anno in anno, sempre con stanziamenti di 10 milioni di euro. Per esempio, la legge di Stabilità per il 2016 (art. 1, comma 177) ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per quell’anno, mentre la legge n. 19 del 27 febbraio 2017 (art. 6, comma 2) ha stanziato una somma identica per l’anno successivo.
L’ultimo rinnovo in ordine di tempo è avvenuto con la legge di Bilancio per il 2018 (art. 1, comma 689), che per l’anno scorso ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro.
Riassumendo: dal 1994, la convenzione è stata rinnovata oltre dieci volte senza gara – con l’autorizzazione di spese triennali, biennali e annuali fatte da diverse esecutivi – fino ad arrivare alla decisione del governo Conte, che intende non rinnovarla più dopo quasi 25 anni.
Qual è stata la posizione di Radio Radicale negli anni
Secondo Bonino, "ogni anno, ogni volta, Radio Radicale ha chiesto che si istituisse una gara per valutare tutti gli elementi del servizio e aprirlo anche ad altri contendenti".
Come spiega il sito ufficiale dell’emittente radiofonica, Radio Radicale alla fine degli anni Ottanta si era battuta affinché lo Stato indicesse una gara per finanziare il servizio di trasmissione delle sedute parlamentari, "che Radio Radicale svolgeva a spese del Partito Radicale dal 1976".
L’insufficienza dei fondi portò temporaneamente alla chiusura della radio e alla fase della cosiddetta “Radio Parolaccia”, dove le uniche trasmissioni dell’emittente erano le telefonate senza filtro e censure del pubblico, fino all’accesso ai contributi pubblici a inizio anni Novanta.
Anche nel 1998 – quando lo Stato decise di rinnovare per la prima volta la convenzione – il Partito Radicale si era espresso affinché fosse indetta una "gara vera", citando le parole di allora di Emma Bonino, per la trasmissione delle sedute parlamentari.
In realtà questa opzione non si è più verificata e come abbiamo visto la convenzione è stata prorogata diverse volte, con stanziamenti in ogni occasione a favore di Radio Radicale.
Come ha confermato il suo amministratore delegato Chiarelli ad Agi, "noi abbiamo sempre chiesto al Ministero di trovare una soluzione a questa situazione e siamo sempre stati disposti a fare la gara, purché sia regolare. Cioè tra soggetti che partecipano alla pari, quindi non come la Rai che è già forte grazie ai soldi pubblici".
Conclusione
Ormai da settimane si discute sul futuro di Radio Radicale, sempre più incerto dopo l’annuncio del governo di non voler rinnovare la convenzione tra l’emittente e il Ministero dello Sviluppo economico in scadenza a giugno 2019.
Secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vito Crimi, Radio Radicale ha ottenuto questa convenzione senza aver mai fatto una gara, ma questo è solo parzialmente vero.
Nel 1994, Radio Radicale si era aggiudicata la funzione di trasmettere le sedute parlamentari – nel rispetto della legge Mammì del 1990 – dopo una gara, a cui aveva però partecipato in solitaria. La convenzione è poi stata prorogata oltre dieci volte negli anni, per trienni, bienni e singole annualità, senza che effettivamente venisse indetta ogni volta una nuova valutazione con altri contendenti.
Infine, sembra esagerato dire come fa Bonino che "ogni anno, ogni volta" Radio Radicale abbia chiesto che fosse fatta una gara per il rinnovo della convenzione. La posizione ufficiale dell’emittente è comunque quella di trovare una soluzione del Ministero, anche con un confronto pubblico – purché "equo" – con altri contendenti.