Il Parlamento europeo ha approvato il 26 marzo la direttiva sul copyright nel mercato unico digitale.
La politica italiana, e non solo, si è spaccata sull’argomento. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro (M5s) ad esempio ha detto: “Siamo molto preoccupati che questo possa rappresentare un tentativo di limitare la libertà di informazione sul web, che è fondamentale”.
Ancor più dura l’eurodeputata del Movimento Eleonora Evi, secondo cui “il Parlamento europeo uccide la libertà di espressione in rete”. Oltre al M5s anche la Lega ha votato contro questa direttiva. Il Pd ha votato a favore, salvo tre voti “ribelli”.
Di segno opposto le reazioni di chi ha sostenuto la direttiva.
Ad esempio Maria Stella Gelmini (Forza Italia) su Twitter ha scritto che “il Parlamento Ue approva la riforma sul copyright che difende la creatività, l’ingegno e molti posti di lavoro”. Anche l’ex ministro Beatrice Lorenzin (Civica Popolare) ha espresso la propria soddisfazione, parlando di “una vittoria di civiltà a difesa del diritto d'autore e della creatività. Un passo in avanti importante contro chi su web ha lucrato fino ad oggi colpendo l’opera intellettuale senza vergogna, determinando così danni incalcolabili per gli autori”.
Ma, alla fine, questa direttiva avrà o no l’effetto di comprimere la libertà di espressione sul web? C’è un “rischio censura”? Proviamo a capirlo meglio.
L’iter non è ancora finito
Come avevamo già spiegato in passato, la direttiva è uno strumento giuridico che non impone delle norme agli Stati – come fa invece il regolamento – ma solo degli obblighi di risultato. Sono poi i vari Stati a scegliere liberamente come perseguire questi obblighi.
Prima di dare giudizi conclusivi, dunque, bisogna aspettare che la norma venga approvata definitivamente. In Europa, dopo il voto del 26 marzo del Parlamento europeo, manca ancora quello del Consiglio, l’organo dove siedono i rappresentanti degli Stati , che dovrà approvare una versione della direttiva identica a quella approvata dal Parlamento perché entri ufficialmente in vigore.
Poi i singoli Stati, tra cui anche l’Italia, avranno due anni di tempo per recepire la direttiva, decidendo la strada da percorrere per raggiungere gli obiettivi che questa fissa. Insomma, gli effetti “pieni” del voto del 26 marzo all’Europarlamento potrebbero vedersi non prima del 2021.
La direttiva Ue sul copyright
Vediamo che cosa stabilisce la direttiva sul copyright approvata dal Parlamento europeo.
A livello generale, il testo prevede la responsabilità delle piattaforme digitali per la pubblicazione di contenuti protetti da copyright, e questa è una novità assoluta: finora infatti le piattaforme non avevano questo tipo di responsabilità. Sono però escluse diverse categorie di contenuti, dalle enciclopedie gratuite online come Wikipedia ai meme, dagli studi accademici pubblicamente consultabili alle gif, dalle recensioni alla satira.
È poi previsto il principio per cui i titolari del diritto d’autore – scrittori, giornalisti, artisti e così via – debbano essere remunerati dalle piattaforme per lo sfruttamento delle loro opere. Anche in questo caso siamo di fronte a un inedito. Si potrà comunque ancora condividere articoli e testi come link, accompagnati da poche righe, anche di citazione. I dettagli su quanto possa essere ampia questa citazione dovranno essere però stabiliti dalle varie normative nazionali di recepimento della direttiva.
Le critiche si sono concentrate, in particolare, sull’obbligo per le piattaforme digitali di controllare i contenuti - in modo che il copyright sia tutelato - prima della loro pubblicazione e di rimuovere quelli che siano eventualmente in violazione del diritto d’autore: di qui il “rischio censura”.
Per le società più grandi, come Facebook o YouTube, queste operazioni di verifica non avverranno con ogni probabilità in modo manuale, ma tramite filtri e algoritmi che le facciano automaticamente. C’è quindi il timore di censure preventive - dannose in particolare per gli editori più piccoli - di controlli invasivi o anche solo che si crei una situazione di caos.
Andiamo allora a vedere più nel dettaglio l’articolo - il numero 17 (ex articolo 13) - che si occupa di questi aspetti.
Che cosa prevede il famigerato articolo 17 della direttiva
L’articolo 17 della direttiva stabilisce in primo luogo l’obbligo per le piattaforme digitali di farsi rilasciare un’autorizzazione dal titolare del diritto d’autore per rendere disponibile al pubblico il contenuto, ad esempio un contratto di licenza.
Se questa autorizzazione non viene ottenuta, le piattaforme saranno responsabili per le eventuali diffusioni di contenuti protetti dal copyright. Ci sono alcune circostanze attenuanti, come aver fatto tutto il possibile per ottenere l’autorizzazione, aver agito rapidamente per rimuovere contenuti pubblicati in violazione del copyright e così via.
La cooperazione tra titolari del copyright e piattaforme non deve in ogni caso risultare nella limitazione della circolazione di contenuti non protetti dal diritto d’autore. In particolare, non devono essere bloccati citazioni, critiche, recensioni, caricature, satire e parodie da parte degli utenti su contenuti coperti da copyright. In questo senso, è difficile parlare di “censura” in senso stretto.
L’articolo affronta poi numerose altre questioni, come un regime più vantaggioso per le start-up o un principio di proporzionalità nel valutare l’adempimento degli obblighi da parte delle piattaforme (tanto più stringenti quanto maggiori sono le loro dimensioni), ma il nocciolo centrale restano comunque gli obblighi fissati dal primo comma e la responsabilità collegata stabilita dal comma quattro.
Il parere dell’esperto
Abbiamo contattato Giovanni Ziccardi, professore associato di Informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Milano ed esperto di diritto dell’informatica, per avere un suo parere sulla direttiva copyright.
In primo luogo, secondo Ziccardi è criticabile la scelta della direttiva come strumento, “perché rischia di creare una situazione troppo disomogenea tra i vari Stati dell’Unione”. Inoltre questo strumento “rende praticamente impossibile dire adesso cosa succederà tra 2 o 3 anni, quando la direttiva verrà implementata dai vari Stati. Nel mercato digitale 2 o 3 anni sono un periodo infinito”.
Fatta questa premessa, Ziccardi dice che bisogna fare una distinzione tra grandi piattaforme e altri progetti, più piccoli. “I meccanismi automatici di filtraggio e rimozione dei contenuti - afferma Ziccardi - non saranno un problema per le grandi piattaforme, come Facebook o Youtube, che infatti già ce l’ha. Il problema sarà l’applicazione della direttiva per i soggetti piccoli e medi, che potrebbero non avere abbastanza soldi per investire in sistemi automatici di controllo dei contenuti”.
“Un altro rischio che si corre – prosegue Ziccardi –, ma di nuovo bisognerà aspettare di vedere le normative nazionali, è che anche tra gli autori, o tra i loro intermediari, si rafforzino quelli già forti e si indeboliscano quelli più deboli. Questi ultimi ormai spesso sono estranei alla logica della cessione del diritto d’autore in cambio di un pagamento in denaro, e la scelta secca tra copyright e licenza creative commons che potrebbe esserci in alcuni Paesi rischia di penalizzarli. Vedremo come affronteranno la questione le varie leggi nazionali”.
L’ultimo aspetto critico che rileva Ziccardi riguarda le startup: “La disposizione che prevede l’esenzione dal regime della direttiva per tre anni per le start-up [art. 17 co.6 n.d.r.] che hanno un fatturato inferiore ai 10 milioni di euro - conclude Ziccardi – rischia di trasformarsi in un incentivo a rimanere piccoli”.
Conclusione
È troppo presto per dare un giudizio definitivo sull’impatto che avrà la direttiva Ue sul copyright nel mercato unico digitale. Bisognerà infatti aspettare le normative nazionali, che disciplineranno i dettagli.
Fatta questa premessa, da un lato sembrano eccessive le critiche di chi parla di uccisione della libertà di espressione, dall’altro è vero che alcune preoccupazioni sono fondate.
In particolare, sembra esserci il rischio che la direttiva finisca col penalizzare le piattaforme più piccole, che non potranno permettersi i sistemi automatici di filtraggio e rimozione dei contenuti che violano il copyright, e gli autori più piccoli, che potrebbero essere chiamati a una scelta secca se far remunerare il proprio lavoro o renderlo completamente disponibile tramite le licenze creative commons.
Resta da vedere come la futura legge italiana cercherà di rispondere a queste preoccupazioni, che potrebbero in effetti comportare una riduzione dei contenuti diffusi attraverso le piattaforme digitali.
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