A volte un tatuaggio può mettere nei guai, soprattutto se sei un camionista e diffondi bufale su Twitter. È quello che hanno scoperto Maarten Schenk e Peter Burger in una lunga inchiesta di fact-checking – pubblicata in una serie di articoli tra il 2018 e il 2019 su Lead Stories e Nieuwscheckers – che ha smascherato una rete di account che creava disinformazione in tutto il mondo per fare profitti economici.
Schenk – esperto in tecnologia e analisi dei dati online – e Burger – giornalista dell’Università di Leiden, in Olanda – sono partiti da un’immagine di profilo su un social network e, seguendo diverse piste online, hanno individuato a gennaio 2019 un camionista come uno dei nodi della rete, proveniente dalla cittadina di Kumanovo, in Macedonia.
Negli ultimi mesi, sono stati diversi i casi di notizie false che, creati in un Paese, hanno attraversato i confini per arrivare in altri Stati e continenti. Ad agosto dell’anno scorso, per esempio, l’agenzia stampa Afp – che dal 2018 ha creato una rete di giornalisti dedicata interamente al fact-checking, dal Sudafrica ad Hong Kong, passando per l’India e il Canada – ha ricostruito la storia di una bufala nata in Repubblica Ceca, diffusasi negli Stati Uniti e poi esplosa in Europa.
Un video che mostrava alcuni migranti naufraghi in mare era diventato virale perché accusato di mostrare una messa in scena pro-immigrazione. In realtà, le immagini non testimoniavano alcun complotto: erano infatti le riprese per un documentario sull’esodo greco dall’Asia minore nel 1922.
A novembre 2018, una notizia simile – e falsa – si era diffusa anche nel nostro Paese: secondo alcuni politici, George Soros avrebbe finanziato insieme a Mastercard un progetto per distribuire carte di credito agli immigrati in Europa. Ne avevamo scritto in un nostro articolo di fact-checking, mostrando il lavoro dei nostri colleghi in giro per il continente, dove la bufala aveva preso piede in poco tempo prima di arrivare in Italia.
Queste storie mostrano come la disinformazione online abbia la capacità in breve tempo di annullare le distanze geografiche, oltrepassare i confini dei Paesi e moltiplicarsi sui social network.
A raccontare come si è arrivati alla soluzione di questi “casi” sono stati gli autori stessi delle inchieste il 20 marzo, al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano. Qui si è tenuto il primo evento pubblico dell’Osservatorio europeo contro la disinformazione (Social observatory for disinformation and social media analysis, Soma), progetto europeo parte del programma Horizon 2020 e di cui sono parte i nostri partner di Pagella Politica, organizzatori dell’evento.
Soma – che coinvolge anche la società informatica greca Athens Technology Center (Atc), l’università Luiss di Roma, l’università di Aarhus in Danimarca e la società di consulenza italiana T6ECO – è partito nel novembre 2018, sulla scia di una comunicazione dell’anno scorso della Commissione europea per mettere in campo un piano di supporto alla lotta contro la disinformazione online.
L’evento ha visto la partecipazione di oltre 80 persone, tra cui una trentina di fact-checker provenienti da tutta Europa (da Paesi come Francia, Spagna, Regno Unito, Grecia e Paesi Bassi).
Accademici ed esperti del settore hanno raccontato le loro testimonianze nella quotidiana battaglia contro le notizie false, mostrando anche i loro nuovi progetti in vista delle elezioni europee. Tra questi ultimi, la presentazione più attesa era quella di FactCheckEU, un sito in 10 lingue (dal croato al tedesco, passando dal greco al lituano) che raccoglie il meglio del fact-checking prodotto da 19 realtà europee (tra cui Pagella Politica) parte dell’International Fact-Checking Network (Ifcn).
Dal punto di vista pratico, la Commissione europea ha presentato anche alcuni strumenti in grado di aiutare i giornalisti nel loro lavoro quotidiano di verifica delle fonti. La piattaforma TrulyMedia, per esempio, fornisce uno spazio online dove gli addetti ai lavori possono collaborare nell’analizzare foto e video e altri contenuti digitali. TruthNest , invece, è un software che consente di distinguere gli utenti reali di Twitter da Bot creati solamente con l’obiettivo di diffondere disinformazione.
Inoltre, l’evento si è rivelato un’occasione per discutere del ruolo che ha oggi il fact-checking nel mondo del giornalismo e della comunicazione. La verifica dei fatti resta uno degli aspetti su cui punta con decisione anche Agi, come recita la nostra parola d’ordine: «La verità conta». Come testimoniato anche da diversi esperti durante l’evento, siamo sempre più convinti che i nostri articoli quotidiani di fact-checking abbiano la capacità di migliorare il livello del dibattito politico e di abituare i cittadini a uno standard di veridicità più elevato.