Il deputato Federico Fornaro (LeU) ha scritto il 17 marzo in una nota che "una flat tax (…) costerebbe secondo gli esperti oltre 50 miliardi di euro di mancate entrate fiscali". Il riferimento è all’annuncio di Salvini di voler estendere la flat tax alle famiglie.
L’affermazione di Fornaro riprendeva stime attribuite dalla stampa al Ministero dell’Economia (Mef) ma poi smentite dal ministro Tria. Successivamente, oltre alla posizione di Tria, è stata meglio precisata anche quella della Lega, che rende non più attuale l’affermazione di Fornaro. Ma vediamo di capire cos’è successo.
Una premessa
Ci siamo ormai abituati a sentir parlare di “flat tax” per indicare generici interventi sul fisco, come quello fatto per le solo partite Iva con la legge di Bilancio per il 2019 (artt. 9-11). In realtà, la flat tax è un’altra cosa.
Come avevamo spiegato a suo tempo, gli esponenti del governo – e non solo – hanno distorto il significato originale dell’espressione che, secondo le definizioni più comuni, significa “un sistema di tassazione che applica una singola aliquota fiscale a tutti i livelli di reddito”.
Visto che qui non si parla di un sistema ad aliquota unica, parlare di flat tax è scorretto. Fatta questa premessa, vediamo qual è la situazione dei costi previsti per gli interventi ipotizzati dall’esecutivo.
La simulazione “non” del Mef
Numerose fonti di stampa avevano riportato l’esistenza di una simulazione fatta dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), datata 8 febbraio 2019, che quantificava il costo della “flat tax” per le famiglie in 59,3 miliardi di euro. Dunque Fornaro citava correttamente queste fonti quando parlava di «oltre 50 miliardi di euro di mancate entrate fiscali».
Intorno all’ora di pranzo è arrivata la precisazione di Tria che, come anticipato, ha disconosciuto la paternità della stima affermando: «Non c'è nessuna stima del Mef per le proposte in discussione e, quindi, le cifre sono destituite di ogni fondamento».
Vediamo comunque più nel dettaglio, per come era stata riportata da fonti di stampa, questa simulazione rimasta ora senza padri.
Il Sole 24 Ore, ad esempio, riferiva che nella simulazione «la ‘tassa piatta’ riguarderebbe circa 16,4 milioni di famiglie con un vantaggio medio familiare di circa 3.600 euro». Le aliquote sarebbero due: «il 15% fino a 80 mila euro di reddito e del 20% per i redditi eccedenti gli 80mila».
Il calcolo della Lega
A queste stime, riprese anche da esponenti del governo del M5s per criticare la misura, ha replicato in primo luogo Salvini, dichiarando che quelli erano «numeri strampalati» e che il costo per abbassare il primo scaglione sarebbe di «12-15 miliardi».
Anche il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri ha precisato che la simulazione dell’8 febbraio 2019, essendo precedente allo “studio” elaborato dalla Lega per la seconda fase della “flat tax”, «non c’entra». La proposta della Lega, secondo Siri, «ha un’incidenza di circa 12 miliardi e si riferisce ad un intervento di riduzione dell’imposta per tutte le famiglie fino a 50 mila euro di reddito».
Abbiamo chiesto alla Lega di poter visionare questo “studio”, ma al momento non abbiamo ancora ottenuto risposta. Senza i dettagli a disposizione, la stima dei 12 miliardi è inverificabile.
Tiriamo le fila
Dunque la differenza tra i costi stimati dalla simulazione attribuita al Mef (che però ha smentito) e dalla Lega dipende dal problema iniziale: “flat tax” in teoria significherebbe una misura ben precisa, un sistema ad aliquota singola, e una volta stabilita l’entità di questa aliquota si potrebbero fare i calcoli (ma un sistema del genere avrebbe seri rischi di incostituzionalità).
Il fatto che il mondo della politica, e in particolare governo e maggioranza, parlino di “flat tax” intendendo in sostanza qualsiasi intervento sul fisco che abbassi un’aliquota, rende quasi impossibile fare valutazioni a priori del costo dei possibili interventi. Quello ipotizzato dalla presunta simulazione dell’8 febbraio è infatti sostanzialmente diverso da quello poi precisato dalla Lega.
Entrambe le stime potrebbero quindi essere corrette, pur discordanti ed entrambe riferite alla “flat tax”, perché appunto con “flat tax” si intendono di volta in volta cose diverse.
Conclusione
Fornaro parlava sulla base di dati che erano stati attribuiti al Mef, che ha tuttavia successivamente smentito per bocca del ministro Tria. Quindi se la sua citazione era corretta in origine, adesso risulta non più attuale (in attesa di capire comunque da dove provenisse quella simulazione dell’8 febbraio).
D’altra parte, un intervento come quello ipotizzato dalla Lega, che abbassi le tasse ai redditi più bassi, potrebbe avere un costo di 12 miliardi, anche se non conoscendo i dettagli non c’è modo di verificarlo. Anche a proposito di questa misura il partito di maggioranza ha parlato di “flat tax”, anche se non si tratta di una flat tax.
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