Il 3 dicembre è iniziata a Katowice, in Polonia, la COP24, la più importante conferenza a livello mondiale sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite. L’incontro arriva tre anni dopo gli Accordi di Parigi del 2015 – quando 197 Paesi si sono impegnati a contenere l’aumento medio delle temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C – e a due anni dal 2020, data in cui gli effetti dell’accordo si dovranno tradurre in azioni concrete.
Il 4 dicembre, in un’intervista al Corriere della Sera, la co-portavoce dei Verdi Elena Grandi ha detto che «abbiamo 12 anni di tempo per fermare la crescita della temperatura. In pratica: è già troppo tardi».
È davvero così? Abbiamo verificato.
Quanto tempo abbiamo ancora?
Partiamo da un dato di fatto: il riscaldamento globale è un fenomeno reale, causato dall’essere umano. Sull’origine antropica del riscaldamento globale il consenso della comunità scientifica infatti è pressoché unanime: tra il 97,2 per cento e il 99,9 per cento dei ricercatori – a seconda degli studi – è concorde nel dire che le attività umane, come la continua emissione in atmosfera di anidride carbonica (CO2), hanno causato un aumento della temperatura media globale di 1°C rispetto ai livelli pre-industriali dell’Ottocento, generando conseguenze sempre più gravi per la Terra e le specie viventi che la abitano.
La ricerca più recente, completa e autorevole sul cambiamento climatico è stata pubblicata l’8 ottobre 2018 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il principale organismo internazionale delle Nazioni Unite per la valutazione di questo fenomeno.
Il rapporto Global Warming of 1,5 °C – realizzato da oltre 90 scienziati sulla base di oltre 6 mila studi scientifici – spiega che, se si continuerà al ritmo attuale, senza intraprendere più serie misure di contrasto al riscaldamento globale, tra il 2030 e il 2052 l’aumento della temperatura media globale della Terra supererà 1,5 °C.
Il che non significa che tutte le aree del pianeta avranno questo incremento. Essendo un dato medio, alcune zone, e in corrispondenza di determinate stagioni, avranno invece aumenti ben maggiori.
Questa soglia di 1,5 °C è comunque considerata, nei modelli previsionali degli scienziati, il limite massimo per poter contenere gli effetti del riscaldamento globale.
In sostanza: abbiamo solo 12 anni per avere qualche possibilità di gestire il cambiamento climatico, restando all’interno dell’aumento delle temperature di 1,5 °C. Se riuscissimo nell’impresa, tra le altre cose questo vorrebbe dire meno carestie, migrazioni di massa, povertà e rischi per la salute.
Che cosa dovremmo fare?
Il problema è che raggiungere questo obiettivo sembra un’impresa impossibile. Per esempio, l’Ipcc stima che fino al 2035 gli investimenti annuali dovranno essere di oltre 2 mila miliardi di euro solo per i sistemi energetici, circa il 2,5 per cento della ricchezza mondiale.
Per quanto riguarda le emissioni globali di CO2, il rapporto spiega che entro il 2030 dovranno essere ridotte per produrne il 45 per cento di quelle immesse nell’atmosfera soltanto 8 anni fa. Una recente ricerca delle Nazioni Unite ha però mostrato che negli ultimi anni, nonostante gli impegni presi dalle varie conferenze sul clima, le emissioni di anidride carbonica sono tornate ad aumentare, non a diminuire, o per lo meno a restare stabili.
L’obiettivo di riduzione delle emissioni entro poco più di 30 anni significherebbe incrementare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili tra il 70 e l’85 per cento, limitando sempre più velocemente la dipendenza da carbone, benzina e gas.
Il problema principale in questo scenario è che la CO2 già presente in atmosfera, in quantità oltre i limiti previsti, continuerà a far riscaldare la Terra. Una soluzione in questo caso sarebbe quella di assorbire questa anidride carbonica, per esempio piantando alberi.
La difficoltà nel raggiungere questo obiettivo è però già evidente nei numeri presentati dall’Ipcc. Entro il 2050, le foreste dovrebbero aumentare di circa 9,5 milioni di chilometri quadrati, superficie pari a quella della Cina. Per avere un’idea, l’Italia occupa circa 300 mila chilometri quadrati di superficie.
Per raggiungere il target stimato dagli scienziati internazionali, sarebbe necessario piantare, per i prossimi 31 anni, una quantità di alberi pari a un’Italia all’anno.
È davvero «troppo tardi»?
Secondo Grandi, «è già troppo tardi» per fermare la crescita delle temperature. Anche se da qui al 2030 riuscissimo a rispettare le tappe indicate dagli scienziati, l’aumento medio delle temperature di 1,5 °C sarebbe comunque garantito.
Come mostra un sito interattivo realizzato da Carbon Brief – un’organizzazione britannica di fact-checking sul cambiamento climatico – questo avrebbe conseguenze devastanti sull’ambiente entro il 2100.
Gli scenari sarebbero ancora più inquietanti se non riuscissimo a centrare l’obiettivo di 1,5°C. Ad oggi, infatti, sembra molto probabile che nonostante gli accordi pattuiti sforeremo l’aumento medio di 2°C, arrivando - secondo alcuni ricercatori - addirittura a oltre 3°C appena dopo il 2100.
In questo contesto, le conseguenze per l’ambiente, la fauna e la flora terrestri di un aumento di solo mezzo grado sarebbero disastrose. Tra le più citate dai ricercatori, ci sono la scomparsa delle foreste amazzoniche, l’aumento vertiginoso della desertificazione, la distruzione di migliaia di specie animali, la perdita dei ghiacciai e di terre adatte alla coltivazione, e l’incremento di fenomeni come inondazioni e uragani. In realtà, anche solo un decimo di grado in più, che può sembrare poca cosa, può fare danni irreparabili, dal momento che gli effetti di questi aumenti non sono lineari, ma possono essere repentini ed estremi.
Da un lato, quindi, è vero dire che il tempo per «salvarci» dal cambiamento climatico sembra essere finito. Dall’altro lato, però, resta aperta la possibilità di riuscire a evitare che le conseguenze siano il più possibile devastanti, e adattarci a quello che potrà accadere.
In questo ambito, il problema principale resta la difficoltà a livello mondiale di arrivare ad azioni concrete attraverso i negoziati tra i vari Stati coinvolti. L’ostacolo maggiore, tra gli altri, rimangono gli impegni nazionali volontari (Nationally Determined Contributions, Ndc) presi dai Paesi per limitare l’aumento delle temperature.
Da una parte, potenze mondiali come Stati Uniti, Brasile e Russia hanno mostrato tutta la loro contrarietà ad anteporre gli interessi ambientali a quelli produttivi ed economici.
Dall’altra, i Paesi in via di sviluppo – come l’India e diverse nazioni africane e asiatiche – vogliono certezze sul sostegno di chi ha per decenni sfruttato la possibilità di crescere e svilupparsi senza limiti.
Secondo l’Accordo di Parigi del 2015, infatti, i Paesi sviluppati hanno fissato l’obiettivo complessivo di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2025 ai Paesi meno sviluppati per ridurre le emissioni e migliorare la resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici. Ma questo potrebbe non bastare, come sottolineato dal rapporto dell’Ipcc.
Conclusione
La co-portavoce dei Verdi Elena Grandi ha dichiarato che «è già troppo tardi» per fermare il cambiamento climatico, e che ormai abbiamo solo «12 anni» per fermare l’aumento delle temperature.
Secondo le ricerche più recenti e autorevoli della comunità scientifica internazionali, Grandi ha ragione. Entro il 2030 – poco più di 11 anni – la temperatura media della Terra aumenterà con certezza di almeno 1,5°C, ma solo se saranno intraprese misure che oggi appaiono sempre più difficili da realizzare.
Lo scenario più probabile vede dunque un aumento compreso tra i 2°C e i 3°C, che secondo i ricercatori devono spingere i governi a fare tutto il possibile per ridurre i conseguenti effetti devastanti del cambiamento climatico, per noi e per il pianeta intero.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it.