Il 9 ottobre, la sottosegretaria al Ministero dell’Economia Laura Castelli, ospite del programma televisivo #cartabianca su Rai3, ha detto (min. 01:19:45): «I mutui dei cittadini non dipendono dallo spread che sale o scende».
Secondo la deputata del Movimento Cinque Stelle, questa «bugia» non va raccontata ai cittadini. Castelli stava rispondendo alle critiche al governo del giornalista statunitense Alan Friedman.
Negli ultimi giorni, il tema è tornato di attualità dopo le reazioni dei mercati finanziari legate alla pubblicazione della Nota di aggiornamento al Def, il primo documento ufficiale che delinea la strategia economica del governo Conte.
Alcuni politici appunto – come il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e il segretario del Partito Democratico Maurizio Martina – avevano denunciato il pericolo di un aumento dei mutui, in conseguenza dell’aumento dell’ormai famoso spread.
Ma qual è il vero rapporto tra queste due cose? Quali effetti ha l’andamento dei mercati di questi giorni per chi ha comprato o sta comprando casa? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Che cos’è lo spread?
Per le sue esigenze di bilancio, lo Stato italiano chiede in prestito dei soldi agli investitori – siano essi italiani o stranieri, privati cittadini, imprese o istituti bancari – promettendo loro di restituirglieli a una certa data con gli interessi. Questi interessi sono il rendimento dei titoli italiani. Solo nel 2017, il Dipartimento del Tesoro ha emesso titoli per un valore totale di 414 miliardi di euro.
Se gli investitori hanno scarsa fiducia in un Paese e nella sua capacità di saldare i suoi debiti, quel Paese deve promettere loro interessi più alti sui titoli che vende. Meno un investimento è percepito come sicuro, infatti, più deve assicurare guadagni maggiori a chi si prende il rischio di farlo.
Lo spread – di cui si sente parlare ormai da anni – è un termine inglese e generalmente indica la differenza di rendimento tra i titoli di stato dello stesso tipo di due Paesi. Quando si parla di spread in Italia, si fa riferimento alla differenza tra il rendimento dei buoni del tesoro poliennali italiani (Btp) con scadenza a 10 anni e i corrispettivi Bund tedeschi.
La Germania viene presa come termine di confronto proprio perché è ritenuta un’economia solida, e per questo motivo offre titoli di stato a interessi molto bassi. Quando lo spread aumenta, quindi, significa che in Italia i tassi di interessi di cui abbiamo parlato prima – ossia il rendimento dei titoli – sono saliti più di quelli tedeschi, evidenziando un calo di fiducia degli investitori, dubbiosi ad esempio per le strategie economiche dell’Italia.
Al 10 ottobre 2018, la differenza tra titoli italiani e quelli tedeschi era di quasi 296 punti percentuali, in aumento di quasi 90 punti rispetto alla metà di settembre. Un anno fa, il differenziale era di circa 170 punti percentuali.
Come funzionano i costi dei mutui?
Un mutuo è un contratto che una banca stipula con un cittadino che, ad esempio, vuole comprare una casa. La banca gli presta soldi per l’acquisto, a patto che gli vengano restituiti con degli interessi, pagati in rate mensili.
Gli istituti bancari propongono due tipologie fondamentali di mutui, a seconda del tipo di questi tassi di interesse. I mutui “a tasso fisso” rimangono appunto sempre uguali per tutta la durata del contratto, indipendentemente dallo spread: la rata mensile da restituire non cambierà.
I mutui “a tasso variabile” invece – come dice l’aggettivo stesso – “variano” a seconda delle oscillazioni di un particolare indice.
Quest’ultimo si chiama Euribor (acronimo di Euro Inter Bank Offered Rate, ossia tasso interbancario di offerta in euro) e rappresenta la media dei tassi di interesse che le diverse banche europee utilizzano per i depositi interbancari, ossia quelli fatti tra le varie banche.
I tassi di interesse da applicare ai mutui a tasso variabile vengono calcolati sulla base dell’andamento dell’indice Euribor.
I valori attuali di questo indice non sono cambiati di molto rispetto a inizio anno: i tassi Euribor a 3 mesi (Euribor 3M), per esempio, avevano un valore di -0,329 un anno fa, contro quello attuale di -0,318.
Questo evidenzia quindi una mancanza di correlazione diretta tra i costi dei mutui a tasso variabile – rimasti abbastanza stabili perché “agganciati” a Euribor – e quello dello spread, che invece è stato molto altalenante.
Ma un’assenza di correlazione tra spread e mutui basta a giustificare l’affermazione secondo cui i secondi sono del tutto indipendenti dall’andamento del primo? In realtà, non è proprio così, e la risposta sta proprio nel funzionamento di Euribor.
Quale rapporto c’è quindi tra spread e mutui?
Semplificando: l’indice Euribor – che, ricordiamo, indica la media dei tassi di interesse con cui le banche europee si prestano i soldi tra di loro – può essere influenzato da due fattori.
Il primo fattore riguarda la Banca centrale europea (Bce), che tra le sue decisioni di politica monetaria stabilisce i tassi di interesse sui depositi bancari delle banche presso la stessa Bce. Gli istituti privati, infatti, depositano una parte della loro liquidità in eccesso nella Bce, che garantisce loro degli interessi. A oggi, questi interessi sono negativi.
Il secondo fattore che può influenzare l’indice Euribor è la maggiore o minore fiducia reciproca dei mercati e delle banche. Se queste, ad esempio, si fidano meno a prestarsi soldi tra loro, i tassi di interesse che applicano tra loro aumenterà e, di riflesso, l’indice Euribor.
Uno degli indicatori da tenere d’occhio per misurare quel grado di fiducia è, come dicevamo, lo spread. In un crescente clima di sfiducia finanziaria, le banche italiane, per finanziarsi, dovranno prendere contromisure, ad esempio aumentando i tassi di interesse delle loro obbligazioni (anche se dall’insediamento del nuovo governo le banche italiane ne hanno emesse assai poche).
In più, se lo spread aumenta e di conseguenza cala il prezzo dei titoli di Stato, diminuisce così il valore dei titoli di Stato italiano che le banche posso scrivere nei propri bilanci.
Queste maggiori difficoltà delle banche nel raccogliere soldi sul mercato si potrebbero riflettere, al termine della catena, anche sui tassi di interessi con cui prestano i soldi ai loro clienti. E di conseguenza sui tassi dei mutui.
Conclusione
La sottosegretaria all’economia Castelli ha detto che è una «bugia» collegare l’andamento del costo dei mutui con quello dello spread: il secondo non avrebbe conseguenza sul primo.
In effetti, non c’è una correlazione diretta tra spread e mutui a tasso variabile. Questo perché i tassi di interesse di un mutuo – decisi dalle banche – non sono direttamente legati ai cambiamenti di rendimento dei titoli di Stato italiani, ma a un diverso indice chiamato Euribor.
Prova ne sia che, con l’aumento dello spread nelle ultime settimane e mesi, le rate mensili dei mutui già sottoscritti non sono cambiate significativamente, come si vede dall’andamento di quell’indice.
Un legame tra spread e mutui, però, c’è, anche se indiretto: il primo elemento viene infatti visto come un indicatore della sfiducia degli investitori e dei mercati verso il sistema economico italiano e le sue banche.
La crisi della fiducia – indicata dal continuo aumento dello spread – comporta una serie di conseguenze, tra cui anche maggiori difficoltà per gli istituti privati nella raccolta di capitale. Le difficoltà potrebbero quindi portare le banche a modificare (in peggio) le condizioni per concedere i mutui ai loro clienti.
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