Il 6 settembre i sindacati italiani dei lavoratori metalmeccanici e la multinazionale ArcelorMittal hanno firmato l’accordo su llva, la grande acciaieria di Taranto.
Il giorno stesso il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ne ha spiegato il contenuto in un post sul blog del Movimento 5 Stelle, affermando in particolare che “Sul piano occupazionale si partiva da 10.000 assunzioni e centinaia di esuberi, si è arrivati a 10.700 con zero esuberi: tutti i dipendenti riceveranno una proposta di lavoro”.
Via Twitter, sempre il 6 settembre, è arrivata la replica dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che, rispondendo a un utente, ha scritto:
“Pensa che gli ho fatto i complimenti anche se ha ottenuto 800 posti in meno! Numeri sono numeri. 11.500 vs 10.700. 2.000 esodi contro 2.500. Ma Di Maio non ha colpe o meriti su questo. La responsabilità (merito o colpa) è dei sindacati. Di Maio ha il merito di aver cambiato idea”.
Insomma, la questione occupazionale è presentata in due modi molto diversi: da un lato Di Maio, che dice che i posti assicurati dall’accordo saranno 10.700 migliorando la situazione di partenza. Dall’altro Calenda, secondo cui invece i 10.700 sono un peggioramento di circa 800 posti. I due esponenti politici toccano poi i numeri degli “esuberi” e degli “esodi”, che però, come vedremo, sono due questioni diverse.
Verifichiamo qual è la situazione.
Il numero di posti salvaguardati
L’accordo del 6 settembre
L’accordo del 6 settembre accettato dai sindacati, secondo quanto riporta la ArcelorMittal sul proprio sito prevede in particolare che l’azienda si impegni “ad assumere inizialmente 10.700 lavoratori in base al loro esistente inquadramento contrattuale”. Oltre a questo, “tra il 2023 e il 2025 ArcelorMIttal si è impegnata ad assumere qualsiasi lavoratore sia rimasto nell’amministrazione straordinaria di Ilva”.
Ora toccherà ai lavoratori votare l’accordo, ma per prima cosa possiamo confermare i numeri dati da Di Maio circa le 10.700 assunzioni e gli zero esuberi (che d’altra parte Calenda non smentiva).
L’accordo del 10 maggio
Negli ultimi giorni del governo Gentiloni si era arrivato a un altro accordo. Secondo quanto riporta il sito del Ministero dello Sviluppo economico (Mise), l’accordo del 10 maggio scorso, che invece era stato rifiutato dai sindacati, prevedeva che la Am Invest Co (il gruppo controllato da ArcelorMittal) assumesse 10.000 lavoratori Ilva.
Ma non solo.
Una nuova società si sarebbe fatta carico di altri lavoratori. Il punto 3 dell’accordo prevedeva infatti che il gruppo Am Invest Co si impegnasse, “inizialmente fino a giugno 2021, a trasferire lavoro ad una nuova Società di Servizi (denominata ‘Società per Taranto’) (…) per l’equivalente di non meno di 1.500 addetti a tempo pieno. Su questa attività saranno impegnati a rotazione i lavoratori in cassa integrazione straordinaria di Ilva non trasferiti in Am Invest Co”.
Si arriva così al totale di 11.500 citato da Calenda.
Per quanto riguarda gli esuberi, Calenda l’11 maggio scorso aveva fatto una precisazione, in risposta al segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo (contrario all’accordo): “non solo non sono previsti esuberi ma a tutti i lavoratori è garantito un posto a tempo indeterminato con le stesse condizioni retributive e normative attuali”.
L’allora sottosegretario allo Sviluppo economico, Teresa Bellanova, aveva spiegato più nel dettaglio la questione sempre l’11 maggio 2018.
In un post sulla sua pagina Facebook (https://www.facebook.com/teresabellanovaufficiale/posts/ilva-vm-teresa-bellanova:-%E2%80%9Cchiarezza/1669622096492859/), Bellanova aveva scritto: “la proposta che il Governo ha presentato alle parti al tavolo di trattativa non lascia solo nessun lavoratore. Riepilogo: 10 mila lavoratori a tempo indeterminato in AM [Am Invest Co, n.d.R.]; costituzione da parte di Ilva in AS [amministrazione straordinaria] e Invitalia – con l’apertura alla partecipazione di altri soggetti pubblici e privati - di una nuova società di servizi capace di assorbire non meno di 1.500 lavoratori a tempo pieno. Parliamo dunque di almeno 11.500 lavoratori, a fronte dei 13 mila 700 attualmente nei ranghi. I 2 mila 200 lavoratori rimanenti, al netto di coloro che – incentivati – potrebbero optare per l’esodo volontario opportunamente sostenuto, la proposta di accordo contempla la permanenza – come abbiamo sempre assicurato – in Amministrazione straordinaria”.
In breve: nell’accordo precedente, rifiutato dai sindacati durante il governo Gentiloni, la società di Ilva avrebbe assorbito 10.000 lavoratori, mentre altri 1.500 sarebbero stati assorbiti da una società di nuova costituzione a cui però Ilva avrebbe in sostanza garantito lavoro fino al 2021. Invece, nell’accordo firmato ieri, Ilva impiegherà 10.700 persone, senza la nuova società.
Gli esodi
E per chi rimane fuori da questi numeri? Al 1° agosto 2018, infatti, i dipendenti di Ilva erano 13.522.
Qui si viene alla questione degli “esodi”, un tema che Di Maio non menziona nel suo post. Calenda parla di “2.000 esodi [nell’accordo precedente] contro 2.500” in seguito all’intesa firmata ieri.
Il numero sembra derivare da un calcolo indiretto, fatto in base ai soldi che saranno destinati a “incentivi, outplacement, auto imprenditorialità, accompagnamento alla quiescenza”.
Sono dunque esodi volontari, per cui venivano previsti degli appositi incentivi economici, da non confondere con gli esuberi.
Nell’accordo del 10 maggio, tali stanziamenti ammontavano a 200 milioni di euro e, si legge nel testo del Mise, “Questo vuol dire che l’offerta di incentivo potrebbe arrivare fino a 100.000 euro per lavoratore da modulare in funzione della permanenza in CIGS (le soluzioni concrete saranno oggetto di confronto sindacale)”.
Dividendo 200 milioni per 100.000 euro a lavoratore si arriva ai 2.000 “esodi” di cui parla l’ex ministro. Calenda ricava con lo stesso calcolo i 2.500 attribuiti all’accordo del 6 settembre. Nell’accordo mediato da Di Maio infatti per gli incentivi all’esodo vengono stanziati complessivamente 250 milioni di euro.
Di Maio ha cambiato idea?
Vediamo infine se è vero che Di Maio abbia “cambiato idea”, come afferma Calenda.
Di Maio, intervistato il 23 luglio 2015, aveva dichiarato: “Sono anni che (…) diciamo: prendiamo quei lavoratori [dell’Ilva, n.d.R.], cominciamo a fargli bonificare quell’area, formiamoli per eco-lavori che permettano a Taranto di risollevarsi dal punto di vista del turismo, dal punto di vista dei prodotti agroalimentari, e quindi di unire tutte due le cose. Non perdiamo posti di lavoro, perché c’è da bonificare un’area vastissima, e allo stesso tempo però la smettiamo di inquinare”.
Nel 2016, ospite dell’iniziativa #RiconvertireSiPuò del M5S pugliese, Di Maio aveva poi affermato (min. 17.24): “Noi dobbiamo essere quelli che prevedono il momento in cui questo stabilimento [l’Ilva, n.d.R.], che è insostenibile, chiuderà i battenti; quelli che devono prevedere prima quando chiuderà, quando sarà insostenibile, e avviare la exit strategy”.
Più recentemente un post sul blog del M5S del 19 maggio 2018, intitolato “L’era delle grandi opere inutili è finita”, era stato scritto: “Nel contratto [di governo, n.d.R.] c’è scritto chiaramente che si lavorerà per la chiusura dell’Ilva”.
In realtà, nel contratto la questione era posta in modo più sfumato. Si legge infatti nel documento: “Con riferimento all’ILVA, ci impegniamo (…) a concretizzare i criteri di salvaguardia ambientale (…) proteggendo i livelli occupazionali e promuovendo lo sviluppo industriale del Sud, attraverso un programma di riconversione economica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti, per le quali è necessario provvedere alla bonifica”.
Il cambio di linea del Movimento 5 Stelle viene poi sottolineato in questi giorni anche da diversi osservatori che speravano nella riconversione dell’impianto, se non nella sua chiusura (qui, ad esempio).
Conclusioni
Sul numero di posti di lavoro salvaguardati è vero che l’accordo concluso da Di Maio ne preveda 10.700, mentre quello che aveva mediato Calenda 10.000. Tuttavia in questo secondo accordo erano previsti altri 1.500 posti, di una società terza rispetto all’Ilva, ma a cui questa avrebbe trasferito lavoro almeno fino al 2021.
Nessuna delle due proposte prevedeva esuberi, ma quella più recente offre maggiori garanzie, prevedendo esplicitamente l’assunzione di quei lavoratori che al 2025 non abbiano sfruttato gli incentivi all’esodo e siano ancora sotto l’amministrazione straordinaria.
Quanto agli “esodi” si tratta di previsioni, fondate sull’entità dello stanziamento relativo e su una stima di 100 mila euro a lavoratore. L’accordo di maggio prevedeva 200 milioni di stanziamenti (si potevano quindi prevedere 2 mila esodi), mentre quello di settembre 250 milioni (secondo lo stesso calcolo, per 2.500 esodi).
È infine vero che Di Maio, e in generale il M5s, abbia cambiato idea sull’Ilva. Nella scorsa legislatura, e ancora fino a poco tempo fa, la linea era quella di bonificare l’impianto e riconvertirlo. L’accordo concluso il 6 settembre è invece sostanzialmente in linea con quanto avevano già mediato Calenda e il governo Gentiloni.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it