Il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, di Forza Italia, parlando coi giornalisti a Strasburgo lo scorso 30 maggio ha dichiarato: “Uscire dalla moneta unica significherebbe uscire anche dall'Unione europea, significherebbe fare un danno al potere d'acquisto di tutti i cittadini italiani, significherebbe colpire soprattutto i più deboli, le imprese e l'industria italiana […] significherebbe anche uscire dal mercato interno dell'Ue, insomma un danno incommensurabile alla nostra economia, questa è la verità oggettiva”.
Tajani mette insieme molte cose, nella sua dichiarazione. Andiamo con ordine, partendo da una domanda: uscire dall’euro significherebbe uscire dall’UE?
Il rapporto euro-Unione europea
La risposta, in breve, è che non si sa. I trattati europei, mentre prevedono esplicitamente la possibilità di abbandonare l’Unione (art. 50 TUE), non prevedono la possibilità di abbandonare solo la valuta comune.
Ancora: in base ai trattati, la moneta unica è obbligatoria per tutti i Paesi membri della Ue che hanno raggiunto determinati parametri economici. Le uniche eccezioni sono Regno Unito e Danimarca, che hanno negoziato un opt-out, cioè l’esenzione dalle norme europee che impongono l’adozione dell’euro.
Chi non li raggiunge viene qualificato dall’art 139 Tfue come "Stato membro con deroga", proprio per l’eccezionalità della sua situazione rispetto alla regola.
C'è però un’eccezione a questa regola, rappresentata dalla Svezia. Stoccolma ha infatti da tempo raggiunto i parametri economici per l’ingresso nell'euro ma non ha mai voluto ultimare il procedimento. Nel 2003, in un referendum popolare, il “no” all’euro vinse col 55,9% dei voti.
Il caso dell’Italia sarebbe però diverso e senza precedenti. Non si tratta infatti di uno Stato che pur avendo i requisiti per aderire non l’ha mai fatto, ma di uno Stato che fin da subito è entrato a far parte dell’Eurozona e che ne vorrebbe ora uscire.
È teoricamente possibile che Roma, trattando con gli altri 27 Stati membri (26 senza il Regno Unito post Brexit), riesca ad andare oltre le previsioni dei trattati e a ottenere un opt-out al pari della Danimarca e Regno Unito per restare nell’Ue anche dopo aver abbandonato l’euro. Ma sarebbe appunto oggetto di un negoziato internazionale con altre 27 (o 26) capitali europee – oltre che con le istituzioni comunitarie – dall’esito imprevedibile.
Il mercato unico
Meno corretta l’affermazione di Tajani secondo cui un’uscita dall’euro, e quindi dalla Ue, porterebbe l’Italia a dover abbandonare anche il mercato unico.
Se anche l’Italia uscisse dall’euro e dalla Ue potrebbe, come fanno ad esempio Norvegia, Islanda e Liechtenstein, partecipare all’EFTA (European Free Trade Association) e all’EEA (European Economic Area) negoziando un accordo di partnership molto stretta con Bruxelles.
Dovrebbe, come emerso nei negoziati per la Brexit, concedere molto alla Ue in termini di libertà di circolazione di persone, merci e capitali, nonché di ricezione obbligatoria delle normative europee, ma manterrebbe l’accesso al mercato unico.
I danni economici
Per quanto riguarda il danno che un’uscita dall’euro recherebbe al potere d’acquisto degli italiani, il colpire i più deboli, le imprese e l’industria italiana, possiamo riportare quanto affermato da diversi economisti che hanno preso in considerazione l’uscita dalla moneta unica, senza però associarla a un’uscita integrale dall’Unione europea.
Nel paper sul “Piano B” per uscire dall’euro, redatto anche dall’economista Paolo Savona – il nome proposto al dicastero dell’Economia da Lega e M5S su cui si è arenato il tentativo di far nascere il governo Conte pochi giorni fa – si legge: “Dopo l’uscita dall’euro, è inevitabile una svalutazione della lira sull’euro”.
Cottarelli e Tabellini, due economisti con posizioni critiche verso la moneta unica, come abbiamo già visto, hanno spiegato perché abbandonare l’euro avrebbe effetti molto pesanti, specie nel breve periodo.
Dopo un primo impatto negativo dell’uscita dall’euro, nel lungo periodo la ripresa delle esportazioni favorite da una valuta debole e la maggior competitività dovuta ai bassi salari potrebbero portare – anche secondo economisti contrari all’abbandono della moneta unica – a una maggiore crescita, e anche il debito pubblico potrebbe diventare più sostenibile se lo si rifinanziasse stampando moneta propria.
Il punto è oggetto di dibattito, con la maggior parte degli economisti che ritiene troppo elevato il prezzo da pagare e troppo grandi i rischi. C’è comunque sufficiente concordia nel ritenere che in un primo momento gli italiani si impoverirebbero per effetto della svalutazione e della perdita di potere d’acquisto dei salari, e i più esposti alle turbolenze seguenti all’uscita dall’euro sarebbero i soggetti più deboli.
Conclusioni
Tajani è troppo netto quando dice che uscire dall’euro significherebbe sicuramente uscire anche dall’Unione europea. C’è la possibilità che l’Italia riesca a negoziare sui tavoli internazionali una qualche eccezione a questa regola, anche se al momento non è uno scenario prevedibile su cui si possa fare affidamento.
Poco corretto poi dire che un’uscita dall’euro, e anche dalla Ue, comporterebbe necessariamente un’uscita dal mercato unico: si potrebbe infatti adottare il “modello norvegese”, preso ad esempio in considerazione – e poi scartato – da Londra per il dopo Brexit.
Corretto infine Tajani sulle ripercussioni negative dell’uscita dall’euro per soggetti deboli, famiglie e imprese. Mentre c’è dibattito se nel medio-lungo periodo i benefici del ritorno alla lira potrebbero bilanciarne i costi, gli esperti di diverso orientamento concordano sul fatto che nel breve periodo ci sarebbero conseguenze pesanti.
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