La deputata del Movimento 5 Stelle Barbara Lezzi ha scritto, lo scorso 18 dicembre, sulla propria pagina Facebook: “Il referendum per uscire dall'Euro di cui ha parlato Di Maio sarebbe solo un referendum consultivo, come quello del 1989, ma ribadiamo che si tratta dell'ultima ratio nel caso in cui l'Europa continuasse a ignorare le richieste dell'Italia”.
Si tratta di un’affermazione semplicistica, le cui implicazioni giuridiche sono complesse e vanno spiegate.
L’antefatto
Lezzi si riferisce a quanto dichiarato da Luigi Di Maio, sempre il 18 dicembre, durante la trasmissione “L’aria che tira”, su La 7. Il vicepresidente della Camera ha affermato: “Se si dovesse arrivare al referendum, che però io considero una `extrema ratio´, è chiaro che io voterei per l’uscita, perché significherebbe che l’Europa non ci ha ascoltato”.
Immediata era arrivata la replica di Matteo Renzi su Twitter: “Stavolta Di Maio ha fatto chiarezza, bisogna ammetterlo: lui voterebbe per l’uscita dall’Euro. Io dico invece che sarebbe una follia per l’economia italiana”.
Poche ore dopo, di nuovo Di Maio su Facebook aveva precisato: “L’obiettivo di governo di M5S non è assolutamente l’uscita dall’euro, ma rendere la permanenza del nostro Paese nella moneta unica una posizione conveniente per l’Italia. La nostra posizione è una scelta pragmatica, non ideologica. Il Movimento al governo porterà in Europa un pacchetto di proposte”.
Tra queste – attingendo a passate dichiarazioni di Di Maio circa il programma del M5S – spicca l’abolizione del fiscal compact. Tuttavia essendo questo un trattato europeo, per essere modificato richiede l’unanimità di tutti gli Stati membri della Ue che lo hanno sottoscritto: un obiettivo complicato da raggiungere.
Il referendum “consultivo”
Lezzi precisa, come avevano fatto in passato anche altri esponenti pentastellati, che si tratterebbe di un “referendum consultivo”.
Questo aiuta in primo luogo a evitare la critica secondo cui non sarebbero possibili referendum sui trattati internazionali. Tale divieto è infatti previsto dall’articolo 75 co.2 della Costituzione ma si riferisce ai soli referendum abrogativi.
Un “referendum di indirizzo” sarebbe invece teoricamente possibile. Si tratterebbe di una consultazione non vincolante, che non è contemplata nel testo della Costituzione ma che ha un precedente.
Il precedente del 1989
Come sostiene correttamente Lezzi, un referendum consultivo si è già svolto nel 1989. Il Parlamento allora votò una legge costituzionale ad hoc, per dare la possibilità (una tantum) di tenere un referendum d’indirizzo sul tema della trasformazione delle comunità europee in una unione a tutti gli effetti.
Votò l’80,68% del corpo elettorale e i “sì” all’evoluzione europeista vinsero con l’88,03%.
Due problemi sul tappeto
Rispetto al precedente del 1989 citato ci sono tuttavia due problemi che si porrebbero nel caso di un referendum sull’euro, uno pratico/politico e uno giuridico.
Il primo dipende dal fatto che, a differenza del quesito del 1989, quello sulla moneta unica è altamente divisivo per le forze politiche italiane. Questo significa che la legge costituzionale necessaria per introdurlo difficilmente potrebbe raggiungere la maggioranza dei due terzi in ambo le Camere, ed evitare così – dopo la richiesta di un quinto dei deputati o senatori, o di cinque consigli regionali, o di 500 mila cittadini – un referendum confermativo (si veda la procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione).
Si arriverebbe insomma facilmente al paradosso di dover tenere un referendum confermativo sulla modifica costituzionale che consente di svolgere un referendum d’indirizzo.
Il secondo, decisamente più grave, è che non è prevista dai trattati internazionali la possibilità di abbandonare la moneta unica senza abbandonare anche l’Unione europea.
L’euro obbligatorio
La moneta unica è obbligatoria per tutti i Paesi membri della Ue (ad eccezione di Uk e Danimarca, che hanno un opt-out) che hanno raggiunto determinati parametri economici. Chi non li raggiunge viene qualificato dall’art 139 Tfue come "Stato membro con deroga", proprio per l’eccezionalità della sua situazione rispetto alla regola, e dunque non è possibile teoricamente uscire dall’euro senza abbandonare la Ue.
C'è tuttavia un’eccezione mai sanata a questa regola, rappresentata dalla Svezia. Stoccolma ha infatti da tempo raggiunto i parametri per l’ingresso nell'euro ma non lo hai mai fatto. Il caso dell’Italia sarebbe comunque diverso, trattandosi non di una adesione mai avvenuta ma di una fuoriuscita dall’area euro dopo averne fatto parte fin dalla sua nascita.
Si può quindi dubitare che un referendum d’indirizzo contrario al diritto comunitario (che, secondo la Corte di Giustizia, ha rango addirittura superiore a quello costituzionale) sia possibile. Di sicuro aprirebbe una serie di problemi giuridici estremamente complessi che, secondo l’autorevole parere dell’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, da noi sentito, “richiederebbero anni, decenni, per essere portati a conclusione”.
Conclusione
Lezzi parla di un referendum consultivo che sembra, anche secondo il parere degli esperti, praticamente impossibile da indire.
Non è vietato dalla Costituzione, come invece i referendum abrogativi sui trattati internazionali, ma creerebbe non pochi problemi, soprattutto di carattere giuridico, in quanto l’Euro in base al diritto comunitario è obbligatoriamente la moneta degli Stati membri. Ad oggi non è prevedibile come un simile conflitto tra i trattati Ue e una legge costituzionale (che indice il referendum) potrebbe essere risolto.
Il referendum consultivo dovrebbe poi essere appunto introdotto nell’ordinamento italiano da un’apposita legge costituzionale, che richiede numeri ampi e tempi lunghi, e che produrrebbe quasi certamente la richiesta di un referendum confermativo sulla legge costituzionale stessa.
Più semplice giuridicamente, ma non è questa l’ipotesi di cui stanno discutendo i Cinque Stelle, è l’uscita integrale dall’Unione europea. È infatti una possibilità prevista dai trattati comunitari (art. 50 TUE) e un referendum d’indirizzo – che pure dovrebbe passare per legge costituzionale, con le complicazioni già citate – sarebbe simile a quello che ha condotto la Gran Bretagna alla “Brexit”.
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