Il presidente della Commissione europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha tenuto lo scorso 13 settembre il discorso sullo stato dell’Unione, di fronte al Parlamento europeo. Abbiamo analizzato diverse affermazioni dell’esponente del Partito Popolare europeo.
L’economia
Cinque anni di ripresa economica
Juncker ha dichiarato, a proposito della situazione economica dell’Unione: “Siamo ora nel quinto anno di ripresa economica, che finalmente raggiunge ogni singolo Stato membro”.
È corretto. In attesa della prossima pubblicazione delle previsioni economiche della Commissione europea, che avverrà a novembre, possiamo controllare su quelle di primavera 2017 dello scorso maggio.
Il Pil dell’Unione europea ha il segno più a partire dal 2012 escluso, dunque è corretto che il 2017 sia il quinto anno di crescita economica.
Nel 2017, inoltre, tutti gli Stati membri hanno un Pil in crescita (così come nel 2016). Nella classifica della Commissione l’Italia risultava ultima, con lo 0,9% di aumento previsto del Pil, ma – come abbiamo già verificato – la realtà economica ha superato in positivo le previsioni e si stima ora una crescita del Pil vicina a 1,5 punti percentuali.
Il confronto con gli Usa
Juncker ha poi aggiunto che “la crescita nell’Unione europea ha superato quella degli Stati Uniti negli ultimi due anni. È ora al di sopra del 2% nell’Unione nel suo complesso e al 2,2% per l’area euro”.
È corretto. In base alla nota di aggiornamento delle previsioni di primavera della Commissione europea pubblicata lo scorso 16 agosto, si certifica che il ritmo di crescita del Pil dell’Unione nel corso degli ultimi due anni ha superato quello degli Usa.
In particolare, negli ultimi 4 quadrimestri il Pil della Ue è cresciuto – in ordine temporale – del 1,8%, 2,0%, 2,1% e 2,3%.
Quello degli Usa, invece, del 1,5%, 1,8%, 2% e 2,1%.
L’area euro, composta da 19 Stati membri, è cresciuta del 1,7%, 1,9%, 1,9% e 2,2% (l’ultimo dato conferma dunque quanto poi ancora affermato da Juncker).
L’occupazione
“La disoccupazione è al minimo degli ultimi nove anni. Quasi 8 milioni di posti di lavoro sono stati creati durante questo mandato fino ad oggi. Con 235 milioni di persone impiegate, si è toccato il record di impiegati nella storia dell’Unione europea”.
La prima affermazione è corretta. La disoccupazione nell’Unione europea è scesa, nel corso del 2017, sotto l’8%. Una soglia superata a inizio 2009 e alla quale non si era più tornati da allora.
Anche per l’area euro si assiste a una dinamica analoga.
Sono poi leggermente imprecise, ma sostanzialmente corrette, anche le cifre successivamente elencate. Corretto comunque il record vantato dal presidente della Commissione europea.
Nel terzo quarto del 2014, subito prima che cominciasse il mandato (il primo novembre) della Commissione presieduta da Juncker, gli occupati in Europa erano infatti 226,9 milioni. Nel primo quarto del 2017 – il dato più recente – erano aumentati a 234,2 milioni. La differenza è dunque di 7,3 milioni di persone, un po’ meno dei “circa 8 milioni” citati da Juncker.
I 234,2 milioni di occupati (una cifra che si avvicina ai “235 milioni” citati da Juncker) sono in effetti un record per l’Unione europea, che negli scorsi mesi ha raggiunto e superato le prestazioni pre-crisi del 2008. Anche l’area euro, con 154,8 milioni di occupati, fa registrare il suo nuovo miglior risultato.
Il record viene registrato anche in termini di percentuale sulla popolazione. Nel 2016 – considerando la popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni – la percentuale di occupazione nell’Unione europea ha toccato il 71,1%. Meglio del 70,1% del 2015 e del precedente record, del 2008, del 70,3%.
Come riconosce anche Eurostat, c’è un forte aumento dell’occupazione nel settore più anziano della popolazione: nella fascia 55-64 anni si è passati dal 38,4% del 2002 al 55,3% nel 2016.
L’immigrazione
Accoglienza dei rifugiati
Juncker ha poi parlato di immigrazione, dichiarando che “solo lo scorso anno gli Stati membri dell’Ue hanno reinsediato o garantito il diritto di asilo a 720 mila migranti”.
I numeri sono corretti. Nel 2016 gli Stati dell’Unione europea hanno garantito la protezione internazionale (attribuendo lo status di rifugiato o altre forme giuridiche, come la protezione sussidiaria o per ragioni umanitarie) a 710.395 persone, in grande maggioranza siriani.
In aggiunta hanno accolto oltre 14 mila rifugiati reinsediati. Il totale è dunque di oltre 724 mila migranti.
Rimpatrio degli irregolari
Il presidente della Commissione ha quindi affermato: “Quando solo il 36% dei migranti irregolari viene riportato in patria, è chiaro che dobbiamo significativamente migliorare le nostre prestazioni”.
Il dato è corretto. Come certificato in una Comunicazione della Commissione a Parlamento e Consiglio, “il tasso di rimpatri effettivi è sceso [nel 2015 ndr.] dal 36,6% al 36,4%”.
Una percentuale che, se non si considerano i rimpatri nei Balcani, scende ulteriormente, al 27%.
Il numero totale di immigrati irregolari a cui era stato ordinato di lasciare l’Ue nel 2015 ammontava a 533.495. Dunque più di 338 mila irregolari (il 63,6%), solo nel 2015, sono rimasti negli Stati membri dell’Unione invece di fare ritorno al Paese di origine.
L’adesione della Turchia
Infine Juncker ha parlato della questione turca, sostenendo che “gli Stati candidati all’adesione devono dare allo stato di diritto, alla giustizia e ai diritti fondamentali la massima priorità. Questo esclude l’ingresso della Turchia nel futuro prevedibile”.
Quella di Juncker non è una semplice opinione politica, ma un diretto richiamo alle norme dei trattati europei sull’adesione di nuovi Stati e ai report della Commissione.
Stabilisce l’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione”.
I valori stabiliti all’articolo 2 sono “il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.
Dunque una violazione di questi diritti rende impossibile l’adesione e la Turchia, come certificano autorevoli fonti internazionali (quali il British Institute of International and Comparative Law) oltre che il report della stessa Commissione europea, negli ultimi anni li sta violando gravemente.
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