In un’intervista pubblicata sul Giornale lo scorso 7 agosto, Silvio Berlusconi sostiene che “se oggi le strade sono più sicure e la mortalità è dimezzata è perché abbiamo introdotto la patente a punti e riformato il codice della strada”.
La riforma del codice
La riforma del codice della strada risale al 2003: più precisamente al decreto legge 27 giugno 2003 n.151, poi convertito in legge il primo agosto successivo. Con essa furono toccate varie regole (targa dei ciclomotori, possibilità di andare in due, accensione dei fari...) e sanzioni (inasprite quelle per sorpassi vietati, attraversamenti col rosso, utilizzo del cellulare alla guida e così via).
Lo stesso decreto introdusse poi il meccanismo della patente a punti, entrato in vigore dal primo luglio 2003, in base al quale le infrazioni del codice della strada vengono sanzionate – oltre che economicamente e, in casi gravi, penalmente – sottraendo dei “punti” dal totale di 20 che viene assegnato inizialmente ad ogni automobilista (e che si incrementa di 2 punti ogni anno, in assenza di infrazioni).
Il tasso di mortalità
Verifichiamo dunque se la mortalità si sia effettivamente dimezzata da quando sono stati introdotti questi provvedimenti. Andiamo quindi a guardare i dati precedenti la norma e gli ultimi disponibili. L’ultimo rapporto Istat sugli “Incidenti stradali in Italia” – qui scaricabile – è stato pubblicato il 27 luglio 2017 e consente di fare il confronto.
Nel 2002 – l’anno prima che entrasse in vigore la patente a punti – le vittime di incidenti stradali erano state 6.980. Nel 2016 si è scesi a 3.283, cioè meno della metà (il 47%).
Il calo, in quindici anni, è molto significativo. Se infatti guardiamo ai dati dei 15 anni precedenti al 2002 – qui è possibile scaricare le tavole Istat, che risalgono fino al 1981 – si può registrare una sostanziale uniformità nei dati.
Nel 1987 infatti i morti erano stati 6.784, e nei quindici anni successivi i numeri oscillano tra il minimo di 6.193 (1996) e il massimo di 7.498 (1991), senza mai discostarsi eccessivamente dalla media del periodo 1987-2002 (6.735 all’anno).
Dunque Berlusconi ha ragione: rispetto a prima che fosse introdotta la patente a punti, il numero di vittime della strada è più che dimezzato.
Un confronto europeo
Ma di chi è il merito? Per stabilire se il calo degli incidenti mortali in Italia sia da attribuire ai provvedimenti che cita Berlusconi, e non a una tendenza diffusa – che potrebbe invece dipendere da altri fattori quali l’evoluzione delle tecnologie di sicurezza nelle auto, il miglioramento delle reti stradali, e via dicendo – abbiamo confrontato i dati Istat con quelli Eurostat relativi agli altri Paesi europei grandi e medio-grandi.
In quasi tutti i Paesi dell’Europa Occidentale ci sono stati cali molto consistenti. In Germania, ad esempio, nel 2002 le vittime di incidenti stradali erano state 6.842. Nel 2015 (ultimo dato disponibile) erano calate a 3.459: il 50% in meno. In Francia, nel 2002, si erano registrate 7.630 vittime. Nel 2015 sono state 3.459: meno della metà (il 45%). Nel Regno Unito nel 2002 le vittime erano state 3.581. Nel 2015 si è scesi a 1.804 morti: il 50% in meno.
In Spagna assistiamo al calo più vistoso. Dai 5.213 morti del 2002 si è passati a 1.689 morti nel 2015, meno di un terzo (il 32%). Anche in Polonia il calo è stato del 50%: dai 5.826 morti del 2002 si è scesi nel 2015 a 2.938.
Dunque una tendenza al dimezzamento del numero di morti per incidenti stradali negli ultimi 15 anni è diffusa anche negli altri grandi Paesi europei. Tra questi, svetta la Spagna come migliore performance.
Le ragioni del dimezzamento
Le ragioni possono essere molte. Il caso spagnolo, secondo quanto riporta lo European Transport Safety Council nel suo report “Ranking EU Progress on Car Occupant Safety”, si spiega con una molteplicità di fattori. Hanno in primo luogo influito i massicci investimenti nell’ammodernamento e messa in sicurezza della rete stradale. Ha poi pesato l’introduzione di un sistema di patente a punti non dissimile da quello italiano. Infine sono risultati decisivi l’applicazione delle norme – ottenuta in concreto anche a un vasto ricorso alle telecamere – e una martellante campagna di informazione.
Il caso della Svezia – un altro Paese che ha dimezzato i morti su strada, passando dai 560 del 2003 a 270 del 2014 (ultimo dato Eurostat disponibile) – è leggermente diverso. Secondo un articolo dell’Economist in questo caso sarebbe determinante l’approccio completamente incentrato sulla sicurezza, e non su comfort o velocità, della viabilità svedese. Limiti di velocità molto bassi nelle aree urbane, barriere che separano le strade dalle piste ciclabili, dossi, zone, ponti e attraversamenti pedonali segnalati sono tutti elementi rilevanti.
Ma altre ancora possono essere le cause della diminuzione di incidenti mortali. Un articolo del Guardian, che si interrogava sul nesso tra limiti di velocità e morti su strada, sottolinea ad esempio la pericolosità delle strade rurali rispetto alle autostrade o alle strade urbane. La riduzione del loro numero, e del traffico che le interessa, potrebbe essere un ulteriore fattore di riduzione della mortalità su strada.
Infine sembra di grande rilievo il fattore tecnologico delle macchine. In un esperimento condotto dal Europe’s New Car Assessment Program, un’auto del 1994 e una analoga del 2014 vengono mandate a sbattere contro un muro di metallo: un esempio assai concreto di come il miglioramento delle strutture e della meccanica dei veicoli abbiano giocato un ruolo determinante nel calo delle percentuali di mortalità nei Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti (dove si è passati da 15,64 morti ogni 100.000 persone del 1994 a 10,92 nel 2015).
Conclusione
È vero, dunque, come afferma Berlusconi, che la mortalità stradale in Italia si sia dimezzata negli ultimi 15 anni. Questo dimezzamento è tuttavia riscontrabile anche negli altri principali Paesi europei e sembra una tendenza diffusa che dipende da una molteplicità di fattori.
La patente a punti e norme più severe del codice sono due di questi fattori, ma non esauriscono la questione. In particolare vanno considerate anche l’evoluzione tecnologica delle auto, il miglioramento delle reti stradali e della viabilità urbana. Affermare, come fa l’ex Cavaliere, che il dato italiano sia da attribuire solo alla riforma del codice della strada del 2003 e all’introduzione della patente a punti, è senz’altro un’esagerazione.
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