Il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha dichiarato lo scorso 16 giugno, in occasione di un incontro a Scalea in Calabria: “per la prima volta le regioni del Sud stanno crescendo più delle regioni del Nord”.
Si tratta di un’affermazione corretta, anche se è bene fare alcune precisazioni.
Sette anni consecutivi di calo
La prima è che i dati disponibili più recenti risalgono al 2015. Come ha certificato Banca d’Italia alla fine dello scorso anno, utilizzando dati Istat, nel corso del 2015 le regioni del Sud sono tornate a crescere dopo sette anni consecutivi di calo. Il loro Pil è aumentato dell’1,1%, contro lo 0,8% di quello del Nord e lo 0,3% del Centro. Il dato nazionale per il 2015 è stato +0,7% di Pil.
Secondo Banca d’Italia la buona prestazione del Sud è dipesa da vari fattori: la ripresa dei consumi delle famiglie, una buona performance del settore turistico (avvantaggiato dalle crisi in Medio Oriente), la buona annata delle produzioni agricole (che incidono sul valore aggiunto più al Sud che nel resto d’Italia) e un picco di spesa pubblica per completare i programmi finanziati coi fondi europei 2007-2013.
Tutte le regioni meridionali, a eccezione di Campania e Sardegna, hanno registrato incrementi del prodotto superiori alla media nazionale. La ripresa è stata più sostenuta in Abruzzo, Sicilia e in particolare in Basilicata, dove ha influito la forte espansione delle esportazioni di autoveicoli.
Restano guai strutturali
Nonostante questi dati incoraggianti, rimangono tuttavia diversi problemi strutturali.
L’uscita dalla crisi innanzitutto. Il dato positivo del 2015 è ampiamente insufficiente a recuperare quanto perso durante la crisi. Secondo lo Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) dal 2007 il Pil al Sud è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro Nord (-7,1%).
L’occupazione, che pure è andata migliorando nell’ultimo biennio e che al Centro Nord è tornata ai livelli pre-crisi, nel Mezzogiorno ha invece recuperato solo circa un terzo del calo osservato dal 2008.
Le imprese localizzate nel Sud, sebbene interessate anch’esse dalla ripresa, continuano a essere caratterizzate da peggiori condizioni strutturali: la loro dimensione media, ulteriormente ridottasi nel periodo della crisi, rimane minore di quella delle aziende centro-settentrionali, e la loro patrimonializzazione resta più bassa.
I dati 'crudi'
Nel 2015 il reddito pro capite nel Mezzogiorno era circa il 63 per cento di quello al Nord e il 71 per cento di quello del Centro.
La ricchezza netta pro capite delle famiglie meridionali risultava nel 2014 (ultimo dato disponibile) pari al 60 per cento di quella delle famiglie del Centro Nord.
Nel 2015, l’incidenza della povertà assoluta era pari al 10 per cento nel Mezzogiorno, al 6,7 al Nord e al 5,6 al Centro (nel 2007 era pari al 3,8 nel Mezzogiorno, al 2,6 al Nord e al 2,8 al Centro: una forbice che è andata ampliandosi).
Dunque, se è vero come sostiene Alfano che le regioni del Sud sono cresciute più di quelle del Nord, è anche vero che la situazione di partenza per le prime è estremamente più svantaggiata e la distanza da colmare per avvicinare le seconde ancora tanta.
Inoltre, come scrive ancora Banca d’Italia, il buon dato del 2015 del Sud dipende anche da “un aumento eccezionale degli investimenti pubblici, connesso con la chiusura, a fine 2015, del ciclo di Programmazione comunitaria 2007-2013”.
Sarà dunque importante valutare i dati del 2016 – prevedibilmente verranno diffusi a fine anno – per verificare se i segnali positivi registrati nel 2015 siano destinati a consolidarsi o meno.
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