Intervistata da Radio Radicale in occasione del Fact-checking Day del 2 aprile scorso, la presidente della Camera Laura Boldrini ha dichiarato:
“Ci sono centinaia di pagine Facebook che inneggiano al fascismo. Da noi l’apologia di fascismo è un reato. Perché queste pagine, dopo che l’Anpi ha più e più volte segnalato i contenuti inaccettabili, non vengono chiuse?”.
2.700 pagine riconducibili all'estrema destra. 300 fasciste
Quante sono le pagine in lingua italiana che inneggiano al fascismo? Secondo una ricerca condotta da Patria Indipendente, il periodico cartaceo e online edito dall’Anpi, su Facebook ci sarebbero circa 2.700 pagine riconducibili alla galassia dell’estrema destra che continua a riconoscersi nei valori del fascismo.
La ricerca si è poi concretizzata anche in una mappa interattiva.
Alcune di esse sono le pagine legate a movimenti politici di estrema destra. Questi sono comunque considerati non contrari alla XII disposizione transitoria della Costituzione italiana, che vieta la riorganizzazione “sotto qualsiasi forma” del disciolto partito fascista. Le loro pagine dunque non inneggiano magari direttamente al fascismo, anche se può succedere che i post pubblicati su tali pagine invece sì.
Uno dei redattori della ricerca di Patria Indipendente, intervistato dalla Stampa, quantifica comunque in circa 300 le pagine “palesemente apologetiche”, cioè che inneggiano direttamente ai personaggi, ai valori e ai simboli del ventennio fascista.
L’apologia di fascismo è un reato?
Sì, in Italia l’apologia di fascismo è un reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente "Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione"), anche detta Legge Scelba.
In particolare, l’articolo 4 (“Apologia del fascismo”) prevede che “chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell'articolo 1” rischia una multa e tra sei mesi e due anni di carcere.
L’articolo 1, a sua volta, stabilisce che “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque […] rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
Sembra dunque che innumerevoli pagine su Facebook ricadano nei comportamenti censurati dalla Legge Scelba.
Se è un reato, perché Facebook non interviene?
Nel citato articolo de la Stampa Laura Bononcini, Head of Policy di Facebook Italia, spiega che le regole di Facebook sono state pensate per una comunità di centinaia di milioni di persone provenienti da Paesi diversi con regole diverse. L’apologia di fascismo non si pone di per sé in contrasto con le regole di Facebook.
Dunque, dice Bononcini, «è consigliabile segnalare quei contenuti alla Polizia Postale o all’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, con cui collaboriamo proficuamente da tempo. Dopo una loro verifica, Facebook avvierà la rimozione di tali contenuti e pagine». Contattata da Agi.it, Facebook Italia ha dichiarato che la chiusura di pagine dove si commettono dei reati non previsti dal codice americano può essere fatta solo su indicazione della Polizia Postale postale o dell'autorità giudiziaria.
Ma perché Facebook Italia non ha una sua policy specifica sull’apologia del fascismo?
Secondo Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all’Università Statale di Milano, «Bisogna considerare che tutte queste piattaforme social, come Facebook, sono nate negli Usa e si ispirano alla tradizione americana sulla libertà di espressione del pensiero, diversa dalla nostra, che tende a reprimere solo se c’è un pericolo attuale e concreto o in poche altre limitate eccezioni. La policy che vale anche per l’Italia è la traduzione di quella in inglese, pensata per il contesto americano».
Insomma, il punto è che tra Italia e Stati Uniti c’è parecchia differenza nei limiti della libertà di espressione, almeno per quanto riguarda le idee politiche.
«Alla base della richiesta che Facebook adotti una posizione precisa su una questione tipicamente italiana come l’apologia di fascismo – prosegue Ziccardi – c’è un’idea “nazionalizzata” del social network. Facebook ha sempre evitato di declinare le proprie policy in base ai diversi ordinamenti nazionali, e farlo sarebbe una decisione delicata per l’azienda. Si aprirebbe infatti il problema della varietà degli ordinamenti. Si pensi ai Paesi dell’est Europa dove sono vietati i simboli comunisti, o ancora ai divieti di alcuni Stati islamici».
Si potrebbe pensare, dunque, a una scelta politica da parte di Facebook. La società vuole evitare, forse, un piano inclinato che rischierebbe di comprimere la libertà di espressione in alcuni Paesi dove è arrivato il social network. «È una delle possibilità», commenta Ziccardi.
«Può anche darsi che, da un punto di vista legale, vogliano semplicemente tenere il controllo nel foro americano, anche se ci sono stati casi di interventi da parte di autorità straniere. Oppure è possibile che per ragioni di immagine si voglia garantire uno spazio di libertà agli utenti. Da un punto di vista del marketing, inserire limitazioni alla libertà di espressione rischia infatti di far migrare gli utenti verso altre piattaforme più “libere”. Come che sia, al momento sembra che Facebook sia piuttosto intransigente nel non voler cedere alle pressioni che stanno arrivando dalle istituzioni nazionali su questioni di questo genere».
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it