Il 6 maggio, ospite del festival della rivista di geopolitica Limes, il ministro degli Interni uscente Marco Minniti ha dichiarato (min. -8.40): “I foreign fighters, i combattenti stranieri che sono andati a combattere in Iraq e in Siria, siccome sono prudente dico [che si tratti di un numero compreso] tra 25 mila e 30 mila persone, provenienti da 100 Paesi".
Si tratta di un’affermazione corretta, che dà anche l’occasione di rispondere alla domanda: che cosa è successo a chi è partito?
Il numero dei foreign fighters
L’autoproclamato “Stato Islamico” è nato a cavallo tra Siria e Iraq nel 2014, con la conquista di Mosul e la proclamazione del Califfato da parte di Abu Bakr al Baghdadi. Era tuttavia già attivo come gruppo combattente e organizzazione terroristica (nota con la sigla ISIL) nei due anni precedenti, in particolare in Siria, durante la prima fase della guerra civile.
All’apice della sua estensione territoriale, e della sua popolarità, nel biennio 2014-2015 poteva contare su una nutrita “legione straniera” di combattenti, provenienti in maggioranza da Paesi dell’ex Urss e mediorientali, ma con anche una significativa presenza di europei.
A settembre 2014, la CIA aveva stimato tra 20 mila e 31,5 mila i cosiddetti foreign fighers nei territori dello Stato Islamico. Circa un anno più tardi, a dicembre 2015, erano valutati tra i 27 mila e i 31 mila, provenienti da almeno 86 diversi Paesi, secondo un report del Soufan Group, società che fornisce analisi strategiche e di intelligence a governi e multinazionali.
Più di recente, l’inviato speciale degli Usa per la coalizione anti-Isis, Brett McGurk, durante una visita di giugno 2017 in Israele aveva poi parlato di “40 mila foreign fighters arrivati in Siria tra il 2013 e il 2016 da più di cento diversi Paesi”. Una cifra ripresa, e ampliata, dal RAN (il Radicalization Awarness Network, creato nel 2011 dalla Commissione europea) a luglio 2017.
Nel suo “Manual - Responses to returnees: Foreign terrorist fighters and their families” il RAN parlava infatti di oltre 42 mila foreign fighters provenienti da più di 120 Paesi. Di questi poco più di 5 mila, poco più di uno su dieci, sono partiti dall’Europa.
Dunque Minniti ha sostanzialmente ragione sulla cifra indicativa – secondo le stime più prudenti e più datate – dei combattenti stranieri dell’Isis e sul numero di Paesi di provenienza. Ma di quei 30/40 mila circa molti sono morti nel corso della guerra, altri sono rientrati in patria, altri ancora sono rimasti in Siria e Iraq, anche dopo il crollo delle roccaforti dello Stato Islamico nel 2017 (Mosul è stata liberata a luglio e Raqqa a ottobre).
Vediamo dunque che cosa si può dire sul loro destino.
Cosa ne è stato dei foreign fighters dell’Isis?
Secondo il governo americano – citato dal Guardian ad aprile 2017 - dei circa 30 mila foreign fighters andati a combattere sotto le bandiere nere dell’Isis, “circa 25 mila sono stati uccisi”.
Il rapporto del Soufan Group di ottobre 2017 – che si appoggia spesso sui numeri forniti dal già citato RAN - dà numeri più aggiornati, precisi e leggermente diversi.
Dei 40 mila combattenti stranieri che la società di analisi stima siano arrivati nel corso degli anni nei territori del Califfato, almeno 5.600 avrebbero fatto ritorno in patria. Un flusso considerato scarso da analisti e governi, e comunque nettamente al di sotto delle aspettative.
Oltretutto composto, secondo uno studio accademico aggiornato a metà 2015, da persone con una propensione a commettere attentati inferiore rispetto ai sedicenti affiliati dell’Isis che hanno colpito in patria senza essere mai stati nello Stato Islamico.
In particolare, come si diceva, dall’Unione europea sarebbero partite nel corso degli anni piò o meno 5 mila persone, di cui hanno fatto ritorno in circa 1.200, con diverse percentuali da Stato a Stato. Ad esempio, dei circa 1.900 cittadini francesi partiti per il Medio Oriente ne sono rientrati solo 300 circa, mentre degli 850 cittadini britannici ne è rientrata la metà. Circa 2.200 cittadini europei sarebbero poi rimasti in Medio Oriente.
In Russia e Stati dell’ex Urss sarebbe rientrato il 10% circa dei 9.000 foreign fighters che si erano uniti all’Isis. I Paesi mediorientali, che insieme a Russia e Repubbliche ex Sovietiche sono stati i maggiori contributori al flusso di combattenti stranieri del Califfo, hanno percentuali di rientro variegate. Si va dall’Arabia Saudita, che su circa 3.250 suoi cittadini foreign fighters ne ha visti tornare 760, alla Tunisia, che ha 800 ritornati su circa 3 mila partiti, alla Giordania, che ha appena 250 ritornati su 3 mila partiti.
Conclusione
Minniti ha sostanzialmente ragione nel quantificare in 30 mila – secondo le stime più prudenti, altre parlano di 40 mila – i foreign fighters dell’Isis, provenienti da un centinaio circa di Paesi.
Di questi, secondo le stime più recenti, la gran parte è stata uccisa durante la guerra contro l’Isis. Sarebbero rientrati in patria circa 5.600 persone, e nella Ue in circa 1.200 ma, ad oggi, rappresentano una minaccia per la sicurezza inferiore rispetto a quanto previsto all’alba del fenomeno.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it