Il segretario del Pd Matteo Renzi, a Perugia lo scorso 10 settembre in occasione della presentazione del suo libro “Avanti” alla festa regionale del Pd, ha fatto diverse affermazioni e dato alcuni numeri che abbiamo sottoposto al nostro fact-checking.
La crescita del Pil
Renzi ha dichiarato: “Sono stati mille giorni belli, intensi, abbiamo preso l’Italia che era al -2% di Pil, ora è all’1,5%”. Si tratta di un’affermazione leggermente imprecisa, ma sostanzialmente corretta.
La variazione percentuale del Pil nel 2013, l’anno prima che cominciassero i “mille giorni” del governo Renzi, è stata di -1,7 punti percentuali. Un po’ meno – come avevamo già rilevato – di quanto ha affermato il segretario del Pd in diverse occasioni.
Il punto di arrivo è invece giusto, anche se va spiegato. Nella sua pubblicazione del primo settembre, sui conti economici trimestrali, l’Istat certifica che il Pil nel secondo trimestre del 2017 è aumentato “dell’1,5% nei confronti del secondo trimestre del 2016”.
Dunque il dato dell’1,5% va riferito a una variazione del Pil trimestre sul trimestre, non anno su anno (come invece il -1,7% del 2013 o il +0,1% del 2014).
Renzi potrebbe però far riferimento, arrotondandolo un po’ per eccesso, alle previsioni per quest’anno. Infatti, le previsioni di crescita del Pil per il 2017 sono dell’1,4 per cento, secondo le stime di luglio di Bankitalia, e dell’1,3 per cento, secondo quelle di fine giugno Confindustria.
Gli investimenti nella scuola
Renzi ha poi affermato: “Abbiamo messo 7 miliardi e 800 milioni sulla scuola”.
Non abbiamo trovato conferma di questo dato aggregato sulle fonti istituzionali. Abbiamo contattato il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per avere informazioni e a quanto ci hanno riferito il calcolo che ha probabilmente fatto il segretario del Pd è sommare i 3 miliardi del ddl “La Buona Scuola” – o meglio, i 3 miliardi aggiuntivi che la legge di bilancio per il 2015 stanziava per l’istruzione, poi dettagliati dal ddl – ai 4,6 miliardi stanziati per l’edilizia scolastica (a tutto il 2016, escludendo invece il 2017).
Si potrebbero poi aggiungere, sempre in base a quanto ci hanno fatto sapere dal Miur, 400 milioni stanziati dalla legge di bilancio per il 2017 (poi divenuti 600 milioni con il “Decreto Sud”) per l’assunzione di nuovo personale.
Sommando queste cifre si raggiunge - e anzi si sorpassa, arrivando a 8,2 miliardi - la stima di 7,8 miliardi citata da Renzi.
La situazione ereditata: spread oltre 500
Renzi infine ammette di aver magari fatto degli autogol, ma invita a non dimenticare in che situazione era in quel momento il Paese: “Ci avevano lasciato lo spread a più di 500 punti, il Pil era il peggiore dall'inizio del dopoguerra".
Per quanto riguarda lo spread, Renzi esagera un po’ e prende come punto di partenza una data lontana da quando entrò in carica.
Lo spread (cioè il “differenziale”) tra i titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi non è mai stato a 500 punti o più nella presente legislatura. Durante il governo Letta (28 aprile 2013 – 21 febbraio 2014) lo spread è passato da poco più di 267,80 punti (dato di lunedì 29 aprile 2013) a 191,20 punti (dato di lunedì 24 febbraio 2014).
Durante il governo Renzi (21 febbraio 2014 – 12 dicembre 2016) lo spread è poi passati da 191,20 punti a 153,06 (dato di lunedì 12 dicembre 2016). Ad oggi (dato di lunedì 11 settembre) l’indice si aggira intorno ai 170 punti.
Il governo che ereditò uno spread a più di 500 punti fu l’esecutivo guidato da Mario Monti, durante la scorsa legislatura. Insediatosi a novembre 2011, quando il differenziale coi Bund tedeschi decennali superava i 500 punti, ha lasciato l’incarico con l’indice sceso sotto i 270 punti.
Il Pil peggiore del dopoguerra
Per quanto riguarda il Pil, Renzi intende con ogni probabilità la variazione percentuale del Prodotto interno lordo in un anno rispetto al precedente.
In valore assoluto, infatti, l’affermazione sarebbe assurda. Il Pil italiano nel 1946 – a prezzi correnti – secondo le serie storiche dell’Istat (qui scaricabili: percorso Data_NA_150 tabella 3) ammontava ad appena 1,859 miliardi di euro. Ha sfondato quota 10 miliardi nel 1959, quota 100 miliardi nel 1977, e quota 1.000 miliardi nel 1996.
Se guardiamo alla variazione percentuale, comunque, Renzi ha torto.
La variazione peggiore dal secondo dopoguerra in poi è infatti avvenuta nel 2009, quando il Pil crollò del 5,48% rispetto all’anno precedente.
(Il grafico della Banca Mondiale inizia dal 1961, ma fino ad allora il Pil aveva sempre avuto il segno più davanti, come desumibile anche dalle serie storiche Istat).
La seconda peggior prestazione è del 2012, con un -2,82% di Pil. Terza arriva la crisi del 1975, quando il Pil si contrasse di 2,09 punti percentuali.
Il 2013, cioè l’anno precedente all’insediamento di Renzi, il Pil è calato dell’1,72%: il quarto peggior risultato a partire dal 1945.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it