l Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato il 26 ottobre al Quirinale alcuni studenti delle scuole secondarie di primo grado. Rispondendo a una domanda di uno studente su “come si comporta quando gli capita di dover firmare degli atti che non gli piacciono” – tema di forte attualità per via della legge elettorale e delle richieste del M5S al Capo dello Stato perché non firmi – Mattarella ha affermato: “C’è un caso in cui posso, anzi devo, non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee […]: ho l’obbligo di firmare”.
Il Presidente della Repubblica ha ragione.
Il dovere di firma
Il dovere di firma per il Capo dello Stato discende direttamente dall’articolo 73 della Costituzione, in base al quale “le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione”.
Anche l’articolo 87 Cost. ribadisce lo stesso principio, per cui il Presidente “promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti”.
Che la responsabilità politica e giuridica di questi atti non debba ricadere sul Quirinale discende poi dall’articolo 90 Cost., che prevede: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Come spiegano i manuali di diritto costituzionale (ad esempio quello di Giorgio Berti, Interpretazione costituzionale, ed. Cedam 2001, Parte III Cap. 3), “la promulgazione della legge ad opera del Presidente della Repubblica consiste nell’attestazione del compimento dell’iter formativo della legge stessa, sul presupposto della constatazione della regolarità delle approvazioni da parte delle due camere”.
Il Colle si limita cioè a verificare che l’iter procedurale seguito dal Parlamento sia formalmente corretto: ad esempio, che il testo approvato alla Camera sia identico a quello approvato dal Senato.
“La promulgazione è una sorta di atto di controllo”, prosegue il Berti. “La promulgazione è doverosa e ciò mette in evidenza l’assenza di ogni potere di intervento da parte del Presidente della Repubblica in ordine al contenuto discrezionale della legge”. E ancora, “il Presidente della Repubblica non esprime una volontà legislativa”.
Mattarella ha ragione quindi a sottolineare l’obbligo di firma che grava sulla Presidenza della Repubblica e l’irrilevanza delle sue opinioni personali.
Il potere di non firmare
Sul potere di non firmare del Presidente della Repubblica, la questione è leggermente più complessa.
Il testo costituzionale infatti dice soltanto che (art. 74 cost.) “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare una legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.
Questo è un potere ulteriore rispetto a quello nominato prima, cioè di non promulgare l’atto per vizi di forma o procedura.
La differenza sta nel fatto che il Quirinale può anche non firmare anche un atto formalmente perfetto, se lo ritiene. Ma quando può ritenerlo?
È importante tenere a mente che, in questo territorio, bisogna lasciarsi guidare non dal testo ma dall’interpretazione della Costituzione. Visto che qualsiasi valutazione politica sull’atto legislativo è preclusa al Presidente della Repubblica, secondo l’interpretazione accettata da tutti l’unico metro di giudizio che è consentito al Colle è l’incostituzionalità (grave, oltretutto).
Secondo alcuni esperti costituzionalisti sono poi possibili altre valutazioni – ad esempio sulla completa irrazionalità dell’intervento legislativo – ma evitiamo di entrare in un dibattito dottrinale teorico.
Se il Colle non firma, stabilisce il secondo comma dell’articolo 74 Cost., deve comunicarlo alle Camere con messaggio motivato. Se le Camere comunque approvano di nuovo la stessa legge, a quel punto il Presidente della Repubblica è obbligato a firmare. Non potrebbe mai opporre due volte il rifiuto di firma alla stessa legge.
Mattarella ha dunque ragione, alla luce dell’interpretazione della Carta fondamentale, nell’affermare che può non firmare atti palesemente contrari alla Costituzione.
Si può forse fare un’obiezione al suo discorso: l’enfasi posta dal Presidente della Repubblica sul fatto che “debba” non firmare sembra eccessiva. Non è infatti prevista alcuna sanzione per il Quirinale nel caso firmi una legge che poi venga dichiarata “manifestamente incostituzionale” dalla Corte Costituzionale.
I precedenti
Vediamo dunque i precedenti dell’attuale inquilino del Colle e dei suoi più recenti predecessori.
Sergio Mattarella
Mattarella ha esercitato la sua facoltà di non firmare una legge per la prima volta pochi giorni fa, il 27 ottobre. Il Presidente della Repubblica non ha infatti firmato la legge contenente “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” in quanto palesemente incostituzionale.
Come spiega la nota del Quirinale, una norma contenuta nella legge prevede che non vengano sanzionati penalmente dei soggetti che ricoprono ruoli apicali (ad esempio vertici degli istituti bancari che eventualmente finanzino gli ordigni vietati), mentre la sanzione si applica a soggetti privi di tale qualifica. Questo è, secondo il Colle, in contrasto col principio di eguaglianza previsto dall’articolo 3 della Costituzione.
Giorgio Napolitano
Napolitano, predecessore di Mattarella, rinviò alle Camere un’unica legge, il 30 marzo 2010. Si trattava di una legge che delegava al governo di legiferare in materia di lavoro e che secondo il Colle, oltre ad essere criticabile sotto vari aspetti, presentava anche profili di palese incostituzionalità.
Napolitano poi non firmò a febbraio 2009, sempre per manifesta incostituzionalità, il decreto legge relativo al “caso Englaro”, con cui il Consiglio dei Ministri dell’allora governo Berlusconi voleva bloccare la sospensione delle cure (alimentazione e idratazione artificiale) per Eluana Englaro.
(Napolitano non firmò – qui scaricabile la lettera del Colle – poi nemmeno il decreto sul federalismo del 2011, ma per ragioni procedurali e non di palese incostituzionalità).
Carlo Azeglio Ciampi
Ciampi, in carica dal 1999 al 2006, rinviò alle Camere nel corso del suo mandato ben 8 leggi.
La prima, rinviata il 2 dicembre 2000 (governo Amato II), riguardava norme in materia di organizzazione del personale sanitario, che prevedevano per questi un trattamento diverso rispetto agli altri dipendenti pubblici. Dunque di nuovo si ravvisava un contrasto col principio di eguaglianza previsto dalla Costituzione.
Il 29 marzo 2002 (governo Berlusconi II) fu poi rinviata una legge di conversione di un decreto legge in materia di zootecnica. Il 5 novembre dello stesso anno Ciampi rinviò una legge in materia di incompatibilità dei consiglieri regionali. Il 10 aprile 2003 fu rinviata – per dubbi sulla copertura finanziaria, che è richiesta dall’art. 81 co.3 cost. – la legge codiddetta “Semplificazione 2001”.
Il 15 dicembre 2003 Ciampi rinviò poi alle Camere la Legge Gasparri sul riassetto radio e tv. Il Quirinale in particolare ravvisò allora un contrasto tra la legge e la giurisprudenza costituzionale, visto che la norma non eliminava il rischio – anzi – che nascessero nel mercato dell’informazione posizioni dominanti.
Il 16 dicembre del 2004, fu rinviata la legge sull’ordinamento giudiziario, per quattro rilievi di incostituzionalità: l’attribuzione al ministro della Giustizia della fissazione delle linee di politica giudiziaria; l'ufficio per il monitoraggio dei processi; il potere del ministro di impugnare alcune nomine decise dal Csm; la "menomazione" dei poteri del Csm su assunzioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari.
Il 20 gennaio 2006 Ciampi rinviò alle Camere la legge sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, e infine il 3 marzo 2006 rinviò anche la legge di conversione di un decreto legge in materia di agricoltura, di nuovo per dubbi sulle coperture finanziarie.
Gli altri
Prima di Ciampi erano state rinviate alle Camere in tutto 51 leggi: 4 da Luigi Einaudi, 3 da Giovanni Gronchi, 8 da Antonio Segni, 1 da Giovanni Leone, 7 da Sandro Pertini, 22 da Francesco Cossiga, 6 da Oscar Luigi Scalfaro.
Con le 8 di Ciampi, 1 di Napolitano e 1 di Mattarella il totale complessivo arriva a 61.
Conclusione
Mattarella ha ragione sia sulla sua facoltà di non firmare alcune leggi ritenute palesemente incostituzionali, sia sul dovere generale che ha il Quirinale di promulgare le norme. Qualsiasi valutazione discrezionale sul contenuto gli è infatti preclusa, il rinvio alle Camere è possibile solo per motivi formali ed evidenti, e comunque non può essere fatto più di una volta per la stessa legge.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it