Il 19 giugno, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha inviato una lettera agli altri 27 Paesi membri dell’Unione europea, al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
La lettera di Conte era stata richiesta dalla Ue per avere chiarimenti sui conti pubblici italiani ed evitare così una procedura d’infrazione per debito eccessivo.
Abbiamo selezionato alcune frasi tra le sei pagine della lettera del presidente del Consiglio per verificarne il contenuto.
Di che cosa stiamo parlando
Semplificando: secondo i trattati europei, i 28 Stati membri sono tenuti sul medio e lungo termine a ridurre sia il rapporto tra il debito pubblico e il Pil sia quello tra il deficit e il Pil, ossia a contenere una eventuale spesa eccessiva rispetto alle entrate.
Queste regole servono per evitare il sorgere di un’instabilità all’interno dell’Unione, che possa metterne in crisi il suo sistema economico.
A inizio giugno, la Commissione europea ha pubblicato una raccomandazione per aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
In sostanza, secondo l’Ue il nostro Paese non starebbe facendo abbastanza per rispettare gli impegni comunitari: dopo che tra il 2014 e il 2017 il rapporto italiano debito/Pil si è aggirato intorno al 131,5 per cento, nel 2018 è tornato a salire, raggiungendo il 132,2 per cento.
Secondo le previsioni Ue, questa percentuale aumenterà ancora alla fine di quest’anno, arrivando al 133,7 per cento, e peggiorando nel 2020, fino al 135,2 per cento.
Gli indiziati principali di questo deterioramento sono, secondo l’Ue, le politiche adottate dal governo Conte con la legge di Bilancio per il 2019 e nei primi mesi di quest’anno.
Se il percorso iniziato dovesse arrivare alle fasi conclusive, con la reale entrata in vigore della procedura d’infrazione l’Italia rischia, tra le altre cose, una multa e il blocco dei prestiti da parte della Banca europea per gli investimenti.
L’Italia sta rispettando le regole per il 2019?
Nella lettera all’Europa, Conte scrive che "il quadro di finanza pubblica dell’Italia è coerente con il rispetto, per il 2019, delle regole del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita". Che cosa significa?
Il Patto di stabilità e crescita – firmato nel 1997 e modificato diverse volte nel corso degli anni – è un insieme di leggi che a livello europeo mirano a coordinare le politiche di bilancio nazionali.
Questo patto si articola in due parti: il braccio preventivo e quello correttivo.
Il primo – quello di cui parla Conte – è una sorta di monitoraggio che l’Ue fa sui conti dei singoli Stati membri: tenendo conto delle caratteristiche dei diversi Paesi, dunque, vengono stabiliti i livelli da raggiungere per avere un bilancio equilibrato.
Questo obiettivo di bilancio a medio termine (Omt) – che come spiega il sito del Consiglio europeo "è una pietra angolare del braccio preventivo del Patto" – è un obiettivo per il saldo di bilancio strutturale, ossia è definito al netto della componente ciclica e degli effetti delle misure una tantum e temporanee.
In base alle regole europee, gli Stati membri dovrebbero registrare un saldo di bilancio strutturale corrispondente all'Omt o in rapida convergenza a esso.
Come chiarisce il Programma di Stabilità (un documento programmatico destinato all’Unione europea) pubblicato ad aprile 2019 dal governo, l’Omt dell’Italia è pari a zero: ciò significa che le entrate e le uscite strutturali nel medio termine dovranno bilanciarsi e pareggiarsi.
Secondo i dati della Commissione Ue, questo traguardo non sembra essere raggiungibile dallo Stato italiano neppure con un credibile percorso di graduale avvicinamento.
Per il 2019, infatti, sulla base dei dati del Programma di Stabilità, l’Ue stima per l’Italia un peggioramento del suo saldo strutturale, raggiungendo il -2,4 per cento del Pil. Il rischio di discostarsi in maniera significativa dagli obiettivi è presente anche per il 2020.
Nella lettera, Conte scrive che questo non sarebbe vero, senza però allegare dati: «Nelle competenti sedi tecniche forniremo i riscontri documentali necessari a comprovare questa valutazione aggiornata».
Inoltre, secondo il presidente del Consiglio, "questo risultato verrà conseguito, nonostante il quadro macroeconomico si sia rapidamente deteriorato rispetto quanto era prevedibile alla fine del 2018".
Ma già a novembre 2018 la Commissione Ue aveva previsto un "forte deterioramento" del saldo strutturale dell’Italia per il 2019.
Meno spese, più entrate?
A difesa del suo discorso, Conte prosegue scrivendo: "Constatiamo con soddisfazione che, anche grazie alle misure adottate per accrescere la fedeltà fiscale, le entrate sono migliori del previsto. Parimenti registriamo, per le spese, una dinamica più moderata di quella originariamente prevista".
Possiamo ipotizzare che con le "misure adottate per accrescere la fedeltà fiscale" faccia riferimento alle entrate relative alla cosiddetta “pace fiscale”, che ha fatto rottamare cartelle esattoriali per un valore di circa 38 miliardi di euro.
Per quanto riguarda la "dinamica più moderata" per le spese, il probabile riferimento è alle minori uscite relative al reddito di cittadinanza e a quota 100 rispetto a quanto stanziato dalla legge di Bilancio per il 2019. Sul reddito di cittadinanza – a cui, ricordiamo, si aderisce su base volontaria – le richieste sono state infatti minori delle previsioni, ma potrebbero cambiare nei prossimi mesi.
Di recente, però, il governo ha ripetuto che avrebbe investito questi soldi per finanziare altri provvedimenti, come quelli a sostegno delle famiglie e della natalità.
Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, non è chiaro se questi fondi, per così dire “risparmiati”, possano essere spesi per altre finalità o se vadano impiegati per ridurre il disavanzo pubblico.
Tra maggiori spese e minori entrate, il presidente del Consiglio non fornisce cifre a riguardo, anche se fonti stampa parlano di un “tesoretto” di circa 5,2 miliardi di euro.
Di questi, 2 miliardi di euro sono il taglio alla spesa pubblica (su aiuti alle imprese, istruzione, trasporto locale, difesa e politiche sociali) confermato il 19 giugno dal Consiglio dei Ministri, come anticipato dal Def ad aprile 2019.
Questo taglio era una clausola contenuta nella legge di Bilancio per il 2019 da attivare in caso di deviazione dagli obiettivi di bilancio.
L’aumento delle imposte
Conte scrive che "in linea con la legislazione vigente, il Programma di stabilità prevede un aumento delle imposte indirette pari a quasi l’1,3 per cento del Pil, che entrerebbe in vigore nel gennaio 2020".
Questo è vero: la legge di Bilancio per il 2019 – dopo aver sterilizzato le clausole di salvaguardia – ha introdotto un aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti per il 2020 con un valore di poco superiore ai 23 miliardi di euro, e di quasi 29 miliardi di euro nel 2021.
Dal momento che il Prodotto interno lordo italiano si aggira intorno ai 1.800 miliardi di euro, l’aumento delle imposte, valido dal 2020 e stabilito dalla legge di Bilancio per il 2019, corrisponde a circa l’1,3 per cento del Pil.
In questo modo, il governo potrebbe conseguire un miglioramento del saldo di bilancio, aumentando le entrate.
Il condizionale è però d’obbligo, come sottolineato anche da Conte "entrerebbe in vigore"): i vice-presidenti del Consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno più volte ripetuto negli ultimi mesi che l’Iva il prossimo anno non aumenterà.
Ma ancora non c’è chiarezza su quali siano, usando le parole di Conte, le "misure alternative idonee a garantire il miglioramento strutturale" evitando gli aumenti.
Non solo. Come ricorda il presidente del Consiglio nella sua lettera, "il Parlamento ha invitato il Governo, in primo luogo, a riformare l’imposta sul reddito delle persone fisiche nel rispetto degli obiettivi di riduzione del disavanzo, per il periodo 2020-2022, definiti nel Programma di stabilità".
Qui il riferimento è alla cosiddetta flat tax, che come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, non è una vera e propria “tassa piatta”. Secondo il Contratto di governo, la riforma prevede l’introduzione di almeno due aliquote, ma a oggi non si conoscono ancora i dettagli del provvedimento.
Infine, Conte spiega che "il Governo [...] sta elaborando un programma complessivo di revisione della spesa corrente comprimibile e delle entrate, anche non tributarie".
Quest’ultime sembrano indicare i ricavi che lo Stato italiano punta a ottenere con le privatizzazioni, ma che secondo la Commissione europea avrebbero un impatto solo dell’0,1 per cento rispetto al Pil nel 2019, contro l’1 per cento stimato dal governo italiano.
Quanto vale il costo del debito?
Secondo il presidente del Consiglio, il costo del debito "oggi assorbe quasi il 3,6 per cento del Pil". Anche questa percentuale è confermata dal Programma di stabilità di aprile 2019.
La grandezza del debito pubblico italiano implica che il nostro Paese debba destinare annualmente una quota consistente del suo bilancio per pagare gli interessi.
Come spiega il Servizio studi del Senato, si stima che nel 2019 l’Italia spenderà circa 66 miliardi di euro in spesa per gli interessi, in aumento di oltre un miliardo e mezzo rispetto al 2018.
Questo costo – che è più o meno pari a quanto il nostro Paese spende ogni anno in istruzione – è destinato a crescere anche nel 2020 e nel 2021.
L’Italia incassa più di quanto spende?
Il presidente del Consiglio aggiunge che "il nostro Paese ha inoltre mantenuto un saldo primario largamente in attivo per oltre venti anni di seguito, a eccezione del 2009".
Come abbiamo visto, ogni anno lo Stato italiano – oltre a finanziare i servizi che fornisce ai cittadini – deve ripagare gli interessi sui debiti contratti negli anni precedenti.
Se non ci fossero questi costi, lo Stato potrebbe avere più entrate che spese: in questo caso si parla, appunto, di saldo (o avanzo) primario. In sostanza, questo indicatore mostra quanto si potrebbe risparmiare se non si dovessero ripagare i debiti contratti in precedenza.
Secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato, sulla base di dati Istat, dal 1991 a oggi l’Italia ha sempre generato un avanzo primario, fatta eccezione – come riportato da Conte – per il 2009.
Come spiega un rapporto Istat del 2019, in quell’anno il saldo primario è stato negativo (-0,8 per cento rispetto al Pil), mentre dal 2011 in poi è sempre stato superiore all’1 per cento, anche se dopo il picco del 2,3 per cento nel 2012 si è registrato un calo.
Nel 2018, il rapporto tra avanzo primario e Pil è stato dell’1,6 per cento (per un valore di circa 27,5 miliardi di euro).
Se si considerano i costi degli interessi sul debito, il quadro si capovolge. Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, dal 1990 a oggi le spese totali dello Stato hanno sempre superato le entrate totali, concorrendo all’aumento in termini assoluti del debito pubblico.
Tra il 2015 e il 2018 questo indebitamento netto è passato da circa -42,6 miliardi euro a -37,5 miliardi di euro, valori superiori a quelli precedenti alla crisi economica del 2008.
Il Servizio studi del Senato prevede che questa cifra aumenterà quest’anno di oltre 4,5 miliardi di euro, causando un indebitamento netto per lo Stato di oltre 42 miliardi di euro.
Conclusione
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha indirizzato una lettera agli Stati membri dell’Ue, alla Commissione e al Consiglio europeo per rispondere alla richiesta di chiarimenti sull’accusa di “scarso impegno” nel rispettare le regole comunitarie di bilancio, ed evitare così una procedura d’infrazione per l’Italia.
La lettera però non contiene dettagli precisi su che cosa intende fare il governo e sulle cifre delle maggiori entrate e delle minori spese.
Conte sbaglia quando scrive che l’Italia sta rispettando gli obiettivi per il 2019: le previsioni dell’Ue sono negative e si discostano dagli accordi sia per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, in aumento, sia per quanto riguarda il deficit.
Il 20 giugno il presidente del Consiglio ha ribadito che "i conti vanno meglio del previsto", senza fornire cifre e rimandando i numeri ufficiali alla prossima settimana.
È vero poi che sono stati stabiliti con la legge di Bilancio per il 2019 degli aumenti delle imposte dal 2020 per un valore di circa 23 miliardi di euro, ma il governo ha annunciato più volte non solo di voler impedire questi aumenti, ma anzi, di voler introdurre una riforma del sistema tributario per alleggerire la pressione fiscale.
Infine, Conte ha ragione quando dice che l’Italia è un Paese che, al netto della spesa per gli interessi, incassa di più di quanto spende. Ma è anche vero che da almeno 30 anni, lo Stato italiano ha spese superiori alle entrate: il costo degli interessi sul debito è aumentato nel 2018, determinando un peggioramento per il bilancio dello Stato, e si prevede salirà anche quest’anno e nel 2020.