In un’intervista al Tg1 del 31 agosto, l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto alcuni commenti sulla situazione occupazionale italiana: "I numeri parlano chiaro - ha detto - dal febbraio 2014 ad oggi l’Istat dice che ci sono 918.000 posti di lavoro in più, quasi un milione di posti di lavoro in più".
Il riferimento è alle cifre pubblicate dall’Istat lo stesso 31 agosto, che contengono i dati provvisori sull’occupazione nel mese di luglio. Nell’ultimo rilevamento, il numero degli occupati in Italia ha superato i 23 milioni per il secondo mese consecutivo: una cifra che, come nota l’istituto di statistica, era stata "oltrepassata solo nel 2008, prima dell’inizio della lunga crisi".
Infatti, i 23 milioni erano stati superati, nei dati mensili, per un anno nel 2007-2008: dal novembre 2007 all’ottobre 2008 compreso, con un picco massimo di 23 milioni e 163 mila unità. Il ritorno degli occupati ai numeri pre-crisi non deve però far dimenticare che, nel frattempo, la popolazione italiana è aumentata di due milioni di persone: dai 58.652.875 del 1° gennaio 2008 ai 60.589.445 del 1° gennaio 2017.
Il fatto che oggi, nonostante il numero incoraggiante, stiano lavorando ancora meno persone (in percentuale) rispetto ai livelli pre-crisi è dimostrato dal tasso di occupazione, che era del 58,9 per cento al picco dell’aprile 2008 ed era quasi un punto percentuale in meno (58 per cento) a luglio scorso.
Lasciando da parte queste considerazioni, Matteo Renzi ha detto che da febbraio 2014 a oggi "ci sono 918.000 posti di lavoro in più": la cifra è corretta, se ci si riferisce più precisamente agli occupati e non ai posti di lavoro. Infatti, a febbraio 2014 - mese di insediamento del governo Renzi - gli occupati erano 22.145.000, mentre a luglio scorso avevano raggiunto i 23.063.000. La differenza è appunto di 918.000 occupati.
Ma Renzi non si è limitato a notare le cifre, e ha aggiunto subito dopo: "Insomma, c’è chi il milione di posti di lavoro lo promette in campagna elettorale e chi lo realizza. Ma per realizzarlo ci voleva il Jobs Act. Un passo in avanti".
Un milione di posti di lavoro
Il milione di posti di lavoro fu quello promesso da Silvio Berlusconi nel corso della campagna elettorale del 1994, e poi non realizzato, anche perché il suo primo governo durò soltanto otto mesi. In quel periodo di tempo, peraltro, gli occupati diminuirono di oltre 400 mila unità: da 20.962.000 nel secondo trimestre del 1994 ai 20.523.000 del gennaio 1995.
Nel corso della campagna elettorale del 2001, invece, il famoso “Contratto con gli italiani” firmato da Berlusconi negli studi di Porta a Porta alzò la promessa a un milione e mezzo, insieme al dimezzamento del tasso di disoccupazione.
In questo caso, Berlusconi avrebbe fatto meglio a restare fedele alla promessa di qualche anno prima (anche se in realtà i posti di lavoro da creare erano abbastanza variabili, nelle sue parole, arrivando fino a quattro milioni). Tra giugno 2001 e maggio 2006, infatti, mentre Berlusconi era al governo, gli occupati aumentarono in effetti di oltre un milione, da 21.850.000 (secondo trimestre 2001) a 22.954.000 (secondo trimestre 2006). Anche in questo caso, comunque, potrebbero non poter essere “posti di lavoro” nel senso di “nuove posizioni lavorative stabili”, perché tra gli occupati rientrano anche coloro che lavorano a tempo determinato, parziale o in modo saltuario.
Per realizzarlo ci voleva il Jobs Act?
Un punto importante della dichiarazione di Renzi è il riferimento al Jobs Act. Davvero il (quasi) milione di posti di lavoro è un suo effetto? L’ex premier ne sembra molto convinto: ha anche twittato, lo stesso 31 agosto, "il milione di posti di lavoro lo fa il Jobs Act".
Dati ISTAT: +918MILA posti lavoro da feb 2014 (inizio #millegiorni) a oggi. Il milione di posti di lavoro lo fa il #JobAct, adesso #avanti
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 31 agosto 2017
La risposta più onesta a questa domanda è “non si sa”, perché non possiamo sapere come sarebbero andate le cose senza l’approvazione di quelle misure, e bisogna valutare anche il contesto dell’economia italiana (ad esempio la timida ripresa della crescita e il conseguente aumento del Pil). Per valutarne l’impatto preciso ci vogliono studi specifici e fino ad ora non ne sono stati fatti molti: gli economisti, insomma, sono piuttosto divisi nel valutare l’effetto del Jobs Act.
Tra le critiche a un’interpretazione dei dati troppo favorevole al Jobs Act è stato fatto notare che, dalla fine delle decontribuzioni sui nuovi assunti, i posti di lavoro a tempo indeterminato hanno rallentato molto la loro crescita, e che parte dell’aumento del numero degli occupati viene dal ritardo nei pensionamenti imposto dalla riforma Fornero.
E poi, di preciso, che cos’è il Jobs Act?
Il governo Renzi ha infatti preso diverse misure nel campo del lavoro, alcune strutturali, come l’introduzione del contratto a tutele crescenti, altre invece temporanee, come le decontribuzioni per i nuovi assunti. Altre ancora sono arrivate prima che si cominciasse a parlare di “Jobs Act”.
Se prendiamo la definizione più generosa, e intendiamo con “Jobs Act” tutti i provvedimenti che sono andati verso una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro italiano, il primo, il cosiddetto ‘decreto Poletti’, è del marzo 2014 e riguardava soprattutto i contratti a termine. Il principale, invece, è stato approvato dal Parlamento all’inizio di dicembre dello stesso anno.
Le misure riguardano principalmente l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale - il contratto ‘a tutele crescenti’ - e alcune modifiche alla precedente disciplina sui licenziamenti che, ad esempio, eliminano la possibilità di reintegra nel caso di licenziamenti per motivi economici e la sostituiscono con il pagamento di un indennizzo.
Con la Legge di Stabilità 2015, invece, sono stati introdotti importanti sgravi contributivi con cui lo Stato si fa carico per tre anni dei contributi previdenziali per i nuovi assunti a tempo indeterminato nel corso del 2015 (i dettagli sono esposti in questa circolare dell’Inps). Con il nuovo anno la Legge di Stabilità 2016 ha ridotto sensibilmente la decontribuzione. Sono però misure non strutturali e che usano lo strumento della politica fiscale, non delle modifiche della legislazione sul lavoro.
In conclusione
Matteo Renzi ha ragione nel rilevare che, da febbraio 2014 a oggi, gli occupati sono aumentati di 918 mila unità (anche se parla di “posti di lavoro”, con una leggera imprecisione). Esagera però quando attribuisce tutto il merito al Jobs Act, la sua riforma del lavoro: sul mercato del lavoro italiano influiscono molte cose, e l’effetto delle misure approvate dal suo governo deve ancora essere determinato con precisione.