La proposta di legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, o che in Italia hanno studiato, è tornata al centro delle polemiche dopo l’accelerazione del Pd in Parlamento. I democratici vorrebbero infatti far approvare definitivamente la legge da Camera e Senato prima che termini la legislatura, ma si scontrano con la dura opposizione di Lega Nord e destra, oltre che con l’astensionismo del Movimento 5 Stelle.
Cittadinanza “automatica”?
Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, preannunciando un referendum abrogativo nel caso passasse la legge, scrive il 15 giugno su Facebook: “No Ius Soli per la cittadinanza automatica agli immigrati”.
Un concetto ribadito anche da Matteo Salvini, che in un post parla di “folle legge voluta dal Pd, in base alla quale per il solo fatto di essere nati qui automaticamente si diventa cittadini italiani".
È una grave imprecisione. La proposta di legge in discussione innanzitutto non introduce lo “ius soli”, per cui chi nasce in Italia diventa automaticamente italiano. Introduce invece due forme di acquisto della cittadinanza “ibride”.
1. Lo “ius soli temperato”
Si parla infatti di “ius soli temperato”, per la parte della norma che dà la cittadinanza italiana ai figli, nati nel territorio della Repubblica, di genitori stranieri, se almeno uno di loro ha un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo.
Tale permesso, che a differenza degli altri tipi di permesso di soggiorno ha durata illimitata e non dev’essere rinnovato, viene rilasciato a diverse condizioni: lo straniero dev’essere residente legalmente in Italia da almeno 5 anni, senza interruzioni significative, deve dimostrare la conoscenza della lingua, avere un’abitazione idonea e un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale (nel 2017 ammonta a 5.824,91 euro).
Dunque i figli di chi non è in regola, di chi ha permessi di soggiorno temporanei e di chi non è stabilito in Italia da almeno 5 anni non avranno accesso alla cittadinanza.
Non solo. Per ottenere la cittadinanza è necessaria una dichiarazione di volontà in tal senso, espressa entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, da annotare a margine dell’atto di nascita.
Se tale dichiarazione non viene fatta prima che il figlio di immigrati sia divenuto maggiorenne, questi acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal compimento dei 18 anni.
2. Lo “ius culturae”
La seconda forma “ibrida” è lo “ius culturae”. La cittadinanza in questo caso viene concessa al minore straniero nato in Italia – o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età – che abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale e per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici o di formazione professionale.
Anche in questo caso la proposta di legge prevede che i genitori, entro il diciottesimo anno del figlio, o il diretto interessato, nei due anni successivi al compimento della maggiore età, presentino una dichiarazione di volontà di acquisire la cittadinanza.
Infine, in una seconda variante dello “ius culturae”, può chiedere la cittadinanza lo straniero che ha fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, che è legalmente residente da almeno sei anni, e che ha frequentato regolarmente un ciclo scolastico o di formazione professionale, con il conseguimento del titolo conclusivo.
Dunque è scorretto sia parlare genericamente di “ius soli”, sia paventare un qualsiasi automatismo nell’acquisto della cittadinanza italiana.
L’astensione del M5S
Il Movimento 5 Stelle ha dichiarato la propria astensione in Senato, come già fatto alla Camera, chiedendo che di una materia del genere se ne occupi l’Unione europea, la cui cittadinanza viene acquisita insieme a quella italiana.
Un atteggiamento, questo, stigmatizzato su Twitter da Roberto Giachetti, deputato del Pd e vicepresidente della Camera. Giachetti scrive: “Dopo le unioni civili, il M5S, nei fatti, vota contro lo ius soli. Come la Lega. Per Bersani sono ancora nuovo centro con cui allearsi?”.
L’astensione, in linea teorica, è la non partecipazione al voto, tuttavia al Senato la situazione “nei fatti” è diversa. A Palazzo Madama non basta che i senatori favorevoli superino i contrari, ma occorre che superino la somma dei contrari e di quelli che dichiarano la propria astensione. Gli astenuti in Senato sono infatti considerati presenti ai fini della determinazione della soglia di maggioranza – in altre parole: la maggioranza si calcola sul totale dei membri, che siano in aula o meno – a differenza della Camera, dove sono considerati presenti solo i deputati che esprimono voto favorevole o contrario. Gli astenuti, ai fini del voto, contano come non presenti.
Giachetti ha dunque ragione nel sostenere che l’astensione del M5S in concreto avrà lo stesso effetto di un voto contrario, come quello – citato dal deputato Pd – della Lega Nord.
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