Francesco D’Uva, nuovo capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera - subentrato a Giulia Grillo dopo la “promozione” di questa a ministro - ha dichiarato il 7 giugno, ospite di SkyTg24: “Diamo ogni anno 20 miliardi di euro all’Europa e ne riprendiamo soltanto 10, c’è qualcosa che non va”.
Lo stesso concetto è stato ripreso via Twitter da D’Uva, che condividendo il video di cui sopra ha scritto: “ogni anno diamo 20 miliardi di euro all'Europa e ne riprendiamo solamente 10. Una cosa totalmente illogica e inaccettabile!”.
Si tratta di cifre esagerate di diversi miliardi.
Quanto dà l’Italia alla UE
Nel 2016, ultimo anno per cui si hanno i dati, l’Italia ha versato nelle casse di Bruxelles 13,393 miliardi di euro. Nel 2015 erano stati 14,691 miliardi, nel 2014 14,594 e nel 2013 – record – 15,748 miliardi.
Dunque non è mai successo in tempi recenti che l’Italia desse venti miliardi all’Unione europea, e la media degli ultimi anni è di circa 14 miliardi di euro.
Quanto riceve l’Italia dalla UE
Per quanto riguarda i miliardi che l’Italia “riprende” dall’Europa, nel 2016 – ultimo dato disponibile – sono stati 11,592, nel 2015 12,338 miliardi, nel 2014 10,695 miliardi e nel 2013, di nuovo anno record, erano stati 12,554 miliardi di euro.
La cifra di 10 miliardi è più vicina al vero, anche se la media degli ultimi anni è in realtà più vicina agli 11,5 miliardi.
Il saldo
In ogni caso, è sbagliato sottintendere che la differenza tra quanto l’Italia dà e quanto riceve dall’Unione europea sia di dieci miliardi.
La differenza nel 2016 è stata di 1,8 miliardi, nel 2015 di 2,35 miliardi, nel 2014 di 3,9 miliardi e nel 2013 di 3,2 miliardi. La media degli ultimi anni è dunque di 2,8 miliardi circa, circa un quarto di quanto sostenuto da D’Uva.
La Corte dei Conti
La Corte dei Conti, come abbiamo già verificato in passato, dà dei numeri leggermente diversi ma questo dipende, come riconosce la Corte stessa, dalla parzialità delle fonti che prende in considerazione.
Ma, al di là dei numeri, nella sua Relazione sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari del 2017 la Corte dei Conti fa alcune considerazioni utili che riprenderemo più avanti.
Una cosa “illogica”?
Ma perché l’Italia versa tutti questi soldi all’Unione europea? Lo fa in ragione di un meccanismo molto semplice e meccanico. Tutti gli Stati dell’Unione europea sono infatti tenuti a contribuire al bilancio comunitario in proporzione al proprio Reddito Nazionale Lordo (Rnl), cioè il Pil aggiustato in base ai flussi di reddito tra Paesi. Lo stabilisce, da ultimo, la Decisione del Consiglio dell’Ue del 26 maggio 2014 (v. art. 2 co. 1 lett. c)).
Visto che l’Italia è il terzo Rnl nell’Unione europea, risulta il terzo contributore lordo. Questi contributi sono la fonte di finanziamento principale dell’Ue, accanto ai dazi sulle frontiere esterne dell’Unione e al prelievo di una quota del gettito Iva riscosso in ogni Paese.
Questo non significa, però, che la situazione non sia modificabile a vantaggio del proprio Paese. Ad esempio, il Regno Unito ha goduto finora di un meccanismo noto come “rebate”, confermato anche in una recente Decisione del Consiglio dell’Ue (v. art. 4).
Il meccanismo garantisce il rimborso immediato – a carico di tutti gli altri Stati membri – del 66% della differenza tra quanto dà e quanto riceve Londra da Bruxelles.
Non solo. Nel periodo 2014-2020, diversi Stati hanno ottenuto trattamenti speciali (v. art. 2 co.5 dalla Decisione, anche se di entità molto più ridotta del Regno Unito: la Danimarca, i Paesi Bassi e la Svezia beneficiano di riduzioni del proprio contributo annuo basato sul Rnl pari, rispettivamente, a 130 milioni di euro, 695 milioni e 185 milioni. L'Austria beneficia di una riduzione del proprio contributo annuo basato sul Rnl pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni nel 2015 e a 10 milioni nel 2016.
La Germania, l’Olanda e la Svezia hanno poi ottenuto (v. art. 2 co.4 della Decisione) una riduzione del prelievo da parte dell’Unione europea sul gettito Iva per il periodo 2014-2020.
Come riporta l’Europarlamento, “I meccanismi di correzione hanno suscitato numerose critiche, non ultima che rendono il sistema di finanziamento dell’Unione più complesso, meno trasparente, meno giusto e più difficile da riformare. Proposte avanzate in passato per riformare i meccanismi ad hoc esistenti con uno unitario, aperto a qualunque Stato si trovi in predeterminate condizioni di squilibri di bilancio, non hanno avuto successo”.
Il lato della spesa
Per quanto riguarda i miliardi ricevuti da Roma, la questione è meno semplice. Non dipende infatti solo da un calcolo matematico oggettivo ma anche, come sottolinea la Corte dei Conti nella sua Relazione, dalla capacità dell’Italia di ottenere prima e spendere poi i fondi europei.
“La dinamica degli accrediti dipende anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori nazionali, e dall'andamento del ciclo di programmazione”, scrivono infatti i giudici contabili “e quindi il saldo netto negativo non è di per sé espressione di un ‘trattamento’ deteriore per l'Italia rispetto a quello di Paesi che si suppongono più avvantaggiati”.
Conclusione
Non è vero che l’Italia dia ogni anno 20 miliardi alla Ue ricevendone indietro 10, con un saldo negativo dunque di 10 miliardi all’anno. Come abbiamo visto il saldo è di circa 2,8 miliardi di euro all’anno, circa un quarto di quanto sostenuto da D’Uva.
Per quanto riguarda eventuali meccanismi “illogici”, ci sono in realtà spiegazioni abbastanza puntuali di perché ciò accada. Poiché l’Italia non ha un regime speciale per i propri contributi al bilancio europeo, questi vengono regolati da un calcolo che si fonda sul Reddito nazionale lordo degli Stati membri.
Ovviamente il governo potrà, come fatto da altri Paesi per il precedente bilancio pluriennale 2014-2020, negoziare trattamenti di favore per il settennato 2021-2027. Ma sulla base di posizioni politiche e diplomatiche, non per una “illogicità” intrinseca dei criteri europei.
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